Mosca-Kiev, scontro navale innesca la bomba Crimea
La tensione torna ad alzarsi in Ucraina. Stavolta, uno scontro navale ha coinvolto direttamente le forze armate regolari dei due paesi ex sovietici e non solo milizie irregolari. Il terreno di scontro è lo stretto di Kerch, che separa la Crimea dalla Russia. E le conseguenze possono essere gravi
Dopo anni che non si parlava più della guerra in Ucraina, la tensione torna ad essere molto alta fra Kiev e Mosca. Stavolta, un incidente militare, avvenuto domenica, ha coinvolto direttamente le forze armate regolari dei due paesi ex sovietici e non solo milizie irregolari. Il terreno di scontro è il Mar di Azov, un piccolo mare interno che bagna le coste di Ucraina e Russia e della autoproclamata repubblica filo-russa di Donetsk. L’incidente fra navi militari russe e ucraine è avvenuto nello Stretto di Kerch, area strategica che divide il Mare di Azov dal Mar Nero. Ora occorre solo aspettare e vedere quanto saranno pesanti le inevitabili ripercussioni.
L’incidente militare è avvenuto quando, domenica, tre navi militari ucraine, salpate da Odessa (sul Mar Nero occidentale) e dirette al porto di Mariupol (all’estremità settentrionale del Mare di Azov) stavano accingendosi ad attraversare lo stretto di Kerch. A quel punto la piccola formazione navale, costituita da due cannoniere e un rimorchiatore, è stata accostata da unità della Guardia Costiera russa che, dopo alcuni colpi di avvertimento (secondo la versione russa) oppure di punto in bianco (secondo quella ucraina), hanno speronato il rimorchiatore e abbordato le tre unità avversarie. Fonti ucraine parlano di sei feriti, fonti russe di tre, tutti fra gli uomini degli equipaggi ucraini. I russi non hanno subito alcuna perdita. Ventitré uomini degli equipaggi ucraini sono stati fatti prigionieri dai russi. Dopo violente proteste di piazza contro l'ambasciata russa a Kiev e un serrato dibattito parlamentare, la Rada (assemblea parlamentare) ucraina ha approvato, con 276 voti contro 30 l'applicazione della legge marziale. Questa restringerà notevolmente le libertà civili e politiche in 10 regioni confinanti con la Russia, la Transnistria (repubblica autoproclamatasi indipendente dalla Moldova, dove stazionano permanentemente truppe russe) e con le regioni del Donbass, per un periodo di un mese, dal 28 novembre al 28 dicembre.
Le diplomazie pubbliche dei due paesi ex sovietici stanno diffondendo le loro versioni dei fatti e spiegando le loro ragioni. Secondo la versione dell’Fsb, il servizio segreto russo responsabile della guardia alle frontiere, gli ucraini hanno violato le acque territoriali della Federazione Russa, tentando di attraversare lo stretto di Kerch senza prima avvertire Mosca e poi non rispondendo all’alt. Secondo la versione ucraina, la Guardia Costiera russa ha deliberatamente attaccato le navi ucraine, quando queste ultime avevano il pieno diritto di passare attraverso lo Stretto di Kerch. E d’altra parte, nelle ultime settimane, altre navi da guerra ucraine hanno attraversato lo stesso stretto senza subire conseguenze. La navigazione sia dei russi che degli ucraini da e per il Mar di Azov, è libera e regolata da un trattato firmato da entrambe le parti nel 2003. Da un punto di vista giuridico, la posizione dell’Ucraina è dunque molto solida. Perché allora i russi rivendicano una legittima difesa delle acque territoriali? Perché dal 2014, da quando hanno occupato e poi annesso la Crimea, considerano la penisola (e anche lo stretto) come parte della Federazione Russa. Da quando Putin ha inaugurato il ponte che collega le due sponde dello stretto di Kerch, il livello di guardia russo è salito e gli ucraini lamentano ritardi nel passaggio delle navi mercantili, sottoposte a ispezioni più accurate da parte delle autorità di Mosca. Queste ultime giustificano le misure di sicurezza col pericolo di attentati al ponte. E in generale da un elevato livello di tensione da marzo, da quando la Guardia Costiera dell’Ucraina ha sequestrato un peschereccio russo salpato dalla Crimea.
Il punto veramente dolente di tutta la questione, dunque, è la Crimea. La Russia, da quando l’ha annessa militarmente nel 2014, la considera come una propria regione. L’Ucraina, che non ha mai rinunciato alla sua sovranità sulla penisola, non ci pensa neppure di riconoscerne la separazione. Oltre alla stessa Russia, solo pochi governi al mondo hanno sostenuto l’annessione della Crimea, cioè Armenia e Kirghizistan nell’ex Urss, la Siria (Assad) nel Medio Oriente, Cuba, Venezuela, Nicaragua e Bolivia in Sud America, Zimbabwe e Sudan in Africa e Corea del Nord in Asia. Per il resto, la comunità internazionale, quasi all’unanimità, nega il diritto russo sulla Crimea e riconosce l’integrità e l’indivisibilità del territorio ucraino. Però è come se l’avesse accettato “nei fatti”, perché anche negli accordi di Minsk, che hanno posto ufficialmente fine ai combattimenti nelle regioni separatiste pro-russe di Donetsk e Luhansk, mediati dall’Unione Europea, il reintegro della Crimea nel territorio ucraino non compare neppure nelle clausole. Si parla di ripristino della frontiera orientale ucraina, ma non di quella meridionale, che include la penisola annessa. Non è stata intrapresa alcuna azione concreta per facilitare il ritorno della Crimea sotto la sovranità di Kiev. Al tempo stesso, la Federazione Russa ha esteso le sue leggi, la sua valuta e persino il suo fuso orario al territorio annesso. Per dare maggior continuità territoriale, la Russia ha costruito a tempo record il lungo ponte sullo stretto di Kerch. E per ribadire l’importanza rivestita dalla penisola, in più di un’occasione Putin ha ventilato l’ipotesi di difenderla anche con armi nucleari, se necessario. Da una parte dunque, vediamo un’Ucraina che non rinuncia alla Crimea, ma non ha la forza per riconquistarla e una comunità internazionale che l’appoggia a parole, ma nei fatti non mostra alcuna intenzione di agire. Dall’altra, abbiamo una Russia che ha contro la comunità internazionale, ma è determinata ad andare fino in fondo per difendere il territorio che ha appena annesso e che considera suo a tutti gli effetti.
In questo contesto, l’incidente navale di domenica rischia di innescare di nuovo una bomba finora inesplosa. Perché, se finora, si era potuta sorvolare la questione della Crimea, d’ora in avanti una qualunque dichiarazione obbligherà a prender posizione pro o contro l’annessione. Accettare il punto di vista russo in questo incidente, infatti, significa accettare, di fatto, l’annessione russa della Crimea. Viceversa, accettare la versione ucraina, vuol dire ribadire la condanna internazionale dell’annessione. Un impegno che non si limiterà solo a parole di riprovazione, se l’incidente dovesse dare il via a un’escalation militare, oltre che politica.