Morto McCain, conservatore ma non "un conservatore"
Eroe nel Vietnam: fatto prigioniero dai comunisti venne torturato ma non cedette. Senatore veterano: dal 1987 venne eletto nel seggio dell'Arizona e poi sempre rieletto. Corse nel 2008 contro Obama. Con McCain è morto un pezzo di America. Buckley lo definì "conservatore", ma non "un conservatore": conservatore sì, ma non in termini assoluti.
Al senatore John McCain (1936-2018) andavano strette tutte le definizioni. Repubblicano granitico, ha sempre trovato il modo per distinguersi. William F. Buckley Jr. (1925-2008), il fondatore storico di National Review, la casa comune giornalistica dei conservatori, ebbe a definire McCain «conservatore», ma non «un conservatore»: fra le due definizioni, solo apparentemente simili, Buckley, maestro di retorica pubblica, ci volle far passare la differenza fra un termine relativo e un termine assoluto, in specie riguardo agli assoluti morali.
McCain era sì contro l’aborto e contro le unioni omosessuali, ma, al lato pratico, per esempio quando l’aula doveva votare su questa o su quella specifica proposta di legge, trovava sovente il modo di fare la pecora nera. Era per esempio favorevole alla sperimentazione scientifica sugli embrioni umani al punto di volerne il finanziamento pubblico. Era contro i matrimoni omosessuali, ma non li voleva vietare a livello federale, preferendo che ci pensassero i singoli Stati dell’Unione: una posizione perfettamente in linea con la tradizione del federalismo americano, ma nel caso specifico a rischio boomerang. In una stagione, come quella attuale, dove la cultura conservatrice ha di fatto conquistato tutto il Grand Old Party (GOP, l’altro nome del Partito Repubblicano), e dove gli ultimi elementi liberal sono solo le classiche eccezioni che confermano la regola, McCain ha insomma rappresentato un tertium genus. Un genus più unico che raro. Oggi non c’è, infatti, un altro Repubblicano come McCain.
Nella sua lunga e movimentata carriera è riuscito a guadagnarsi il rispetto di tutti, amici e avversari. È stato un eroe di guerra, pluridecorato, abituato alla vita militare sin dalla culla. Letteralmente. Nacque infatti con il nome completo di John Sidney McCain III il 29 agosto 1936 nella base navale di Coco Solo nella Zona del Canale di Panama (cioè quella parte della repubblica panamense che dal 1903 al 1979 è stata soggetta alla sovranità degli Stati Uniti), figlio di un ammiraglio a quattro stelle della Marina, figlio anch’egli di un ammiraglio a quattro stelle della Marina. Dopo una laurea all’Accademia navale nel 1958, fu aviatore nella US Navy. Ovviamente finì in Vietnam a combattere il comunismo e nel 1967 quasi morì nel rogo della portaerei USS Forrestal per un guasto elettrico che aveva incendiato un missile. Accade in luglio. Fece appena in tempo a riprendersi che in ottobre venne abbattuto sopra il cielo di Hanoi durante l’Operazione Rombo di Tuono con cui la 2a Divisione Aerea degli Stati Uniti bombardava sistematicamente il Vietnam del Nord. Ferite gravi ovunque, due braccia e una gamba fratturate, a rischio di annegamento dopo essere finito in un lago con il paracadute, venne catturato dal nemico che con il calcio di un fucile gli fratturò una spalla per poi prenderlo a baionettate. I rossi si rifiutarono di curarlo. Solo in seguito gli badarono, ma fu acqua fresca. Fu torturato. Quando lo cambiarono di carcere i due commilitoni americani che lo videro arrivare non gli diedero una settimana di vita. Ma McCain, tempra d’acciaio, sopravvisse. Anche quando lo misero in isolamento, per due anni. A metà del 1968 suo padre diventò capo supremo di tutte le forze americane in Vietnam e Hanoi si offrì di rimandare a casa l’aviere McCain per farci bella figura. McCain disse che avrebbe accettato solo se con lui fossero stati mandati a casa anche gli altri americani suoi compagni di prigionia. Hanoi rifiutò la richiesta di McCain e McCain rifiutò l’offerta di Hanoi. Pensarono dunque bene d’intensificare le torture. Un giorno McCain pensò persino al suicidio, ma i comunisti non glielo permisero: volevano continuare il lorio gioco sadico.
La storia di McCain è però una storia vera, non un’americanata da film di cassetta. Giunse infatti il giorno in cui l’eroe cedette. “Confessò” chissà che cosa. Gli erano saltati i nervi, non era più lui. Se n’è sempre pentito, ma ha pure spiegato il fatto nell’unico modo lecito a un figlio dell’Occidente cortese e cristiano che è diversissimo da un samurai giapponese per il quale l’onore è dio al posto di Dio. Disse che tutti gli uomini, che sono uomini e non autonomi o fumetti, hanno un punto di rottura. Che anche gli eroi piangono, e che non c’è da vergognarsene. Poi si rialzò, non mollando un millimetro ai pacifisti e alla propaganda, anzi benedicendo i bombardamenti americani. Il 14 marzo 1973 fu finalmente liberato. Il suo fisico piagato non è mai più stato capace di sollevare le braccia sopra la testa. Queste cose e molte altre McCain ha saputo metterle in libri-verità che si leggono come romanzi d’appendice, a partire dal primo, un titolo che sembra una medaglia al valore, Faith of My Fathers, del 1999, divenuto nel 2005 anche un film per la televisione.
Tutti si sono inchinati a McCain. Persino Barack Obama, combattuto aspramente da McCain che non gliele ha mai mandate a dire. Tutti tranne Donald J. Trump, il quale, irritato da commenti pesanti di McCain sul suo elettorato (“pazzi”), nel 2016 toccò il fondo rinfacciandogli di essere stato catturato in Vietnam. Nemmeno l’onore delle armi, una vigliaccata che resta iscritta negli annali della vergogna.
Ritiratosi dalla Marina nel 1981 con il grado di capitano, si accasò in Arizona e nel 1982 fu eletto alla Camera federale dei deputati, servendovi per due mandati. Nel 1987 venne eletto al Senato e poi ancora per altri cinque mandati. Pensò anche alla Casa Bianca. Accadde dapprima nel 2000, ma nelle primarie cedette a George W. Bush Jr., che divenne presidente e lo stesso di nuovo nel 2004. Una volta uscito di scena l’avversario, McCain fu di fatto l’unico a volere scendere in campo nel 2008. Ma fu una lotta impari. Da un lato stava la comunque ingombrante eredità di un presidente importante e controverso come Bush Jr., dall’altro il di fatto imbattibile Obama. McCain andò dritto filato contro l’iceberg e colò a picco. Scelse Sarah Palin per la vicepresidenza, e fu una mossa che salvò il salvabile. Sovente si legge il contrario, ma sono i numeri a dirlo. Nel 2004 Bush vinse con 62.040.610 voti, nel 2008 McCain e la Palin persero con 59.948.323. Uno scarto ridotto. E i numeri con cui allora McCain perse furono superiori a quelli con cui John F. Kerry perse nel 2004 contro Bush (59.028.444). Nel 2008 la differenza la fece davvero Obama in persona (cioè grazie alla sua persona) ottenendo ben 69.498.516. Il “disastro Repubblicano” però non ci fu. Fu merito della Palin, che portò a McCain una gran parte di quel mondo conservatore che invece McCain non lo ha mai amato, e fu merito di McCain, o di chi per lui, per avere scelto la Palin (che pure non amava).
La sua carriera McCain l’ha di fatto chiusa ponendo nell’urna il voto decisivo che ha bocciato la riforma sanitaria di Trump, e questo molti non gliel’hanno perdonato. Poi il cancro lo ha divorato. Si è giocato la malattia in pubblico e alla fine ha deciso d’interrompere le cure. Il 25 agosto, a quattro giorni dall’82esimo compleanno, si è spento nella sua casa di Cornville, in Arizona. Verrà ricordato per le mille contraddizioni.