Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

PAPA FRANCESCO

Molise, un grande patto fra lavoro e famiglia

Papa Francesco si è recato in visita pastorale in Molise, una regione particolarmente segnata dalla crisi economica. Il messaggio centrale della visita è stato che la crisi induce spesso a cercare soluzioni che pensano di porre rimedio ai problemi del lavoro e dell'economia trascurando la famiglia e i suoi diritti.

Editoriali 06_07_2014
Papa Francesco in Molise

Il 5 luglio 2014 Papa Francesco si è recato in visita pastorale in Molise, una regione  particolarmente segnata dalla crisi economica. Il messaggio centrale della visita è stato che la crisi induce spesso a cercare soluzioni che pensano di porre rimedio ai problemi del lavoro e dell'economia trascurando la famiglia e i suoi diritti. Queste soluzioni, ha spiegato il Pontefice, stanno fallendo. Solo un grande patto tra il lavoro e la famiglia può indicare un'autentica via d'uscita dalla crisi. Ma occorre, ha aggiungo, che la famiglia sia fondata su scelte definitive, mentre oggi anche il matrimonio è in difficoltà a causa di una diffusa cultura del provvisorio.

La visita è iniziata dall'Università del Molise, dove il Papa ha incontrato il mondo del lavoro. Non è casuale, ha affermato Francesco, che per un incontro sulla difficile situazione economica sia stata scelta un'università. Questa scelta «esprime l’importanza della ricerca e della formazione anche per rispondere alle nuove complesse domande che l’attuale crisi economica pone, sul piano locale, nazionale e internazionale». Non ci sono «facili soluzioni» alla crisi, ha aggiunto il Pontefice, ma il Molise è un esempio di come sia importante non liquidare frettolosamente l'agricoltura come una componente dell'economia che alcuni considerano di minor valore. Al contrario, «il restare del contadino sulla terra non è rimanere fisso; è fare un dialogo, un dialogo fecondo, un dialogo creativo. È il dialogo dell’uomo con la sua terra che la fa fiorire, la fa diventare per tutti noi feconda».L'agricoltura, bene intesa, risponde anche a «una delle grandi sfide della nostra epoca: convertirci ad uno sviluppo che sappia rispettare il creato», non «sfruttare» ma «coltivare» la terra.

Per l'agricoltura come per l'industria vale l'invito, anche in tempi di crisi, a «conciliare i tempi del lavoro con i tempi della famiglia». Come fa spesso, Papa Francesco lo ha spiegato con un aneddoto personale che fa riferimento alla confessione: «Io vado al confessionale, confesso gente; adesso non tanto come lo facevo nell’altra diocesi … Quando viene una mamma o un papà giovane, domando: ‘Quanti bambini hai?’ e faccio un’altra domanda, sempre: ‘Dimmi: tu giochi con i tuoi bambini?’. La maggioranza: ‘Come, Padre?’ – ‘Sì, sì: tu giochi? Perdi tempo con i tuoi bambini?’. Stiamo perdendo questa scienza, questa saggezza di giocare con i nostri bambini. La situazione economica ci spinge a questo, a perdere questo. Per favore, perdere il tempo con i nostri bambini!».

Non si tratta di un aspetto marginale. Al contrario, «è un punto ‘critico’, un punto che ci permette di discernere, di valutare la qualità umana del sistema economico in cui ci troviamo. E all’interno di questo ambito si colloca anche la questione della domenica lavorativa, che non interessa solo i credenti, ma interessa tutti, come scelta etica». Anche questo della domenica è un tema solo apparentemente secondario, fra le tante sfide dell'economia di oggi. «La domenica libera dal lavoro – eccettuati i servizi necessari – sta ad affermare che la priorità non è all’economico, ma all’umano, al gratuito, alle relazioni non commerciali ma familiari, amicali, per i credenti alla relazione con Dio e con la comunità. Forse è giunto il momento di domandarci se quella di lavorare alla domenica è una vera libertà». Lavoro e famiglia non devono essere contrapposti. Lo stesso travaglio della maternità è a suo modo un lavoro, e rappresenta la dignità del lavoro: un travaglio che «è orientato alla vita, è pieno di speranza».

Nella Messa celebrata a Campobasso il Papa è tornato sulla relazione fra famiglia e lavoro, ambiti entrambi della «testimonianza della carità» che è «la via maestra dell’evangelizzazione. In questo la Chiesa è sempre stata ‘in prima linea’, presenza materna e fraterna che condivide le difficoltà e le fragilità della gente. In questo modo, la comunità cristiana cerca di infondere nella società quel ‘supplemento d’anima’ che consente di guardare oltre e di sperare». Di fronte alle sfide che riguardano il lavoro e la famiglia molti oggi parlano di libertà. Ma la vera libertà «la dà sempre il Signore: la libertà anzitutto dal peccato, dall’egoismo in tutte le sue forme: la libertà di donarsi e di farlo con gioia, come la Vergine di Nazareth che è libera da sé stessa». Questa, ha aggiunto il Papa, «è la libertà che ci ha donato Dio, e noi non dobbiamo perderla: la libertà di adorare Dio, di servire Dio e di servirlo anche nei nostri fratelli».

Questa libertà va difesa anche all'interno della Chiesa, dove «il Signore ci libera da ambizioni e rivalità, che minano l’unità della comunione. Ci libera dalla sfiducia, dalla tristezza – questa tristezza è pericolosa, perché ci butta giù; è pericolosa, state attenti!». E la tristezza nasce quando ci abbandoniamo alle «lamentele» o agli «atteggiamenti negativi, che rendono le persone autoreferenziali, preoccupate più di difendersi che di donarsi», al grigiore esistenziale», alla mancanza di «gioia e coraggio». Riprendendo un tema che gli è caro, Papa Francesco ha affermato che questi problemi nascono quando manca l'«adorazione a Dio», quando non si dedica il tempo necessario alla vita spirituale e alla preghiera.

Nel pomeriggio il Papa ha incontrato i giovani nel Piazzale del Santuario di Castelpetroso. Ha parlato loro dell'entusiasmo, parola che «viene dal greco e vuol dire avere qualcosa di Dio dentro o essere dentro Dio. L’entusiasmo, quando è sano, segnala questo: che uno ha dentro qualcosa di Dio e lo esprime gioiosamente». L'entusiasmo come «essere dentro Dio» è la via perché i giovani possano prepararsi alle sfide della famiglia e del lavoro. Oggi i giovani che si avviano al matrimonio hanno spesso paura di scelte «per sempre». Voi, ha detto il Papa, «provate il forte timore di sbagliare: è vero, chi cammina può sbagliare. La paura di coinvolgervi troppo nelle cose, l’avete sentita, tante volte; la tentazione di lasciare sempre aperta una piccola via di fuga, che all’occorrenza possa aprire sempre nuovi scenari e possibilità. Io vado in questa direzione, scelgo questa direzione, ma lascio aperta questa porta: se non mi piace, torno e me ne vado. Questa provvisorietà non fa bene: non fa bene, perché ti fa venire la mente buia e il cuore freddo».

Certo, la società contemporanea e le sue ideologie «non offrono un clima favorevole alla formazione di scelte di vita stabili con legami solidi, costruiti su una roccia d’amore, di responsabilità piuttosto che sulla sabbia dell’emozione del momento. L’aspirazione all’autonomia individuale è spinta fino al punto da mettere sempre tutto in discussione e da spezzare con relativa facilità scelte importanti e lungamente ponderate, percorsi di vita liberamente intrapresi con impegno e dedizione. Questo alimenta la superficialità nell’assunzione delle responsabilità, poiché nel profondo dell’animo esse rischiano di venir considerate come qualcosa di cui ci si possa comunque liberare». Ma in realtà «la cultura del provvisorio non esalta la nostra libertà, ma ci priva del nostro vero destino, delle mete più vere ed autentiche. È una vita a pezzi. È triste arrivare a una certa età, guardare il cammino che abbiamo fatto e trovare che è stato fatto a pezzi diversi, senza unità, senza definitività: tutto provvisorio … Non lasciatevi rubare il desiderio di costruire nella vostra vita cose grandi e solide!».

«Da soli non possiamo farcela», ha aggiunto il Papa: «di fronte alla pressione degli eventi e delle mode, da soli mai riusciremo a trovare la via giusta, e se anche la trovassimo, non avremmo la forza sufficiente per perseverare, per affrontare le salite e gli ostacoli imprevisti». Ma se accettiamo la compagnia di Gesù, che si dona definitivamente e perdona definitivamente, allora possiamo trovare la forza di compiere scelte definitive. Gesù «non toglie autonomia o libertà; al contrario, irrobustendo la nostra fragilità, ci permette di essere veramente liberi».

La Chiesa, anche nei momenti più difficili, ci è vicina. A Isernia il Papa ha aperto solennemente l'Anno Giubilare Celestiniano, che commemora la nascita del Papa San Celestino V (1214-1296), che nel 1294 rinunciò al pontificato. Un gesto - come quello, più recente e diverso, di Benedetto XVI - che fu per molti sconvolgente e misterioso. Ma la Chiesa ha finito per riconoscere la santità di Celestino V e, con essa, come il Signore attraverso i santi faccia sempre risuonare la sua voce, pure non sempre facile da comprendere, nella storia. Noi cattolici, ha concluso il Papa, non siamo «dei sognatori, degli illusi»: la santità «non è una fuga, non è un’evasione dalla realtà e dai suoi problemi, è la risposta che viene dal Vangelo: l’amore come forza di purificazione delle coscienze, forza di un rinnovamento dei rapporti sociali, forza di progettazione per un’economia diversa, che pone al centro la persona, il lavoro, la famiglia».