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PRIMITIVISMO

Mito del "buon selvaggio", arma culturale anti-cristiana

Nessuno crede davvero che un tempo l’umanità fosse mite e pacifica, organizzata in società egualitarie e capace di vivere in armonia con la natura. La vita nelle comunità pre-moderne era breve e brutale. Eppure il mito del "buon selvaggio" è sempre più diffuso: perché è un'arma intellettuale rivolta contro l'Occidente cristiano.

Cultura 18_02_2016
Jean J. Rousseau, padre del mito del Buon Selvaggio

Nessuno crede davvero che un tempo l’umanità fosse mite e pacifica, organizzata in società egualitarie e capace di vivere in armonia con la natura. Lo sanno tutti che è un mito inventato, come tanti altri.

In realtà gli uomini delle origini non erano né egualitari né pacifici. Tanto meno vivevano in armonia con la natura. Invece soccombevano ad essa, incapaci di difendersi da virus, batteri, fenomeni atmosferici avversi, escursioni termiche, terremoti, vulcani. Questo ha significato per millenni una vita ai limiti della sopravvivenza, il rischio di estinzione ogni qualvolta, moltiplicandosi e accelerando perciò l'esaurimento delle risorse naturali, una comunità raggiungeva una soglia critica nel rapporto popolazione-ambiente; un “equilibrio” con la natura fatto di elevata mortalità infantile, di brevità della vita, di periodiche decimazioni a causa di carestie, epidemie, esodi forzati, guerre di conquista e di razzia. Né quegli uomini esitavano a far strage di animali e deserto di terre fertili e foreste: trovando un limite solo nell’essere pochi e muniti di attrezzi rudimentali.

Al contrario, il mito descrive una umanità legata alla natura da un’alleanza sacra, attenta a trarne nutrimento e vita senza chiedere più del necessario, senza sottrarle più di quanto potesse offrire, riconoscente alla Terra, madre e garante della vita. Cacciatori, pescatori, raccoglitori – dice – traevano da fauna e flora selvatiche il loro nutrimento e la natura ricostruiva spontaneamente le proprie risorse. Ma questo rapporto ideale, di devoto rispetto e venerazione, si è incrinato fin da quando gli uomini hanno appreso ad allevare gli animali e a domesticare le piante. Da allora – continua il mito – gli uomini, moltiplicandosi e alimentando sempre nuovi bisogni artificiali, hanno incominciato a consumare, violare, sfigurare la natura con interventi via via più intrusivi e devastanti. Infine è intervenuta una religione a legittimare e sacralizzare la pretesa dell’uomo di disporre della natura, plasmarla, sfruttarla allo stremo e una rivoluzione gliene ha fornito i mezzi. 

Ed ecco la ragione di esistere del mito: nel fatto di costituire il necessario fondamento delle ideologie avverse all’Occidente cristiano. La religione, infatti, è il cristianesimo, che distingue ed eleva l’uomo, gli affida e sottomette il resto del creato. Nella Genesi è detto una prima volta nel racconto della creazione: “Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra’. Poi Dio disse: ‘Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo’". 

Dopo il diluvio universale, Dio stabilisce l’alleanza con Noè, i suoi figli e tutti i loro discendenti dicendo: “siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra. Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere. Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe”.

La rivoluzione, articolata in più fasi, è quella industriale che ha dotato l’umanità di una capacità produttiva e di un potere sulla natura straordinari.

Cristianesimo e rivoluzione industriale sono stati in effetti elementi decisivi per la nascita della civiltà occidentale moderna che ha visto la luce due secoli or sono quando le nuove, immense risorse disponibili nella finanza, nell’amministrazione, nella scienza e nella tecnologia hanno incominciato a essere usate in modo costruttivo in Europa e in America Settentrionale, consentendo enormi conquiste economiche e sociali. La civiltà occidentale ha dato vita a una società che è capace di progressi scientifici, tecnologici ed economici incomparabilmente superiori a quelli di ogni altra società e che – forse unica nella storia umana – considera giusto solo un mondo in cui tutti abbiano pari opportunità di contribuire al progresso materiale, intellettuale e morale dell’umanità e di goderne i frutti. 

Ma, proprio nel cuore di questa società più sicura, libera e operosa, è nata la rivolta contro l’umanità che ne è artefice e contro i fattori che più hanno contribuito alla sua formazione. Un fronte interno antioccidentale accusa il cristianesimo “antropocentrico” che crea “un solco tra l’uomo e il resto della creazione” e riduce la natura a “scenario della vicenda umana”. Gli contrappone gli esempi virtuosi di altre religioni – l’induismo, il buddhismo – e dei culti animisti. All’industrializzazione attribuisce effetti materiali e morali catastrofici. Denuncia i danni, a suo dire, ormai quasi irreparabili di un modo di produzione e di uno stile di vita che, tradendo la saggezza millenaria di popoli che si accontentavano dei frutti della terra, inquina e sfrutta la natura, imprimendole una “impronta ecologica” insostenibile che presto ridurrà la Terra a una roccia sterile e arroventata.  

Tutta colpa dell’uomo moderno, occidentale, espressione di una umanità degenerata e corrotta.