Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
ORE DECISIVE

Midrar, Cedu-Pilato. Oggi il distacco del ventilatore

Fallita per la famiglia di Midrar Ali anche l’ultima via legale, con il ricorso respinto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Al piccolo di 5 mesi, con una grave lesione cerebrale, sarà staccato il ventilatore dopo le 14 (le 15 in Italia). Per i giudici inglesi «è già morto» da ottobre, eppure continua a crescere. I genitori sono aggrappati alla speranza che Midrar si sforzi di respirare da solo.

Vita e bioetica 21_02_2020

Le vie legali sono terminate. Oggi, dopo le 14 (le 15 in Italia), il personale del Saint Mary’s Hospital di Manchester staccherà il ventilatore a Midrar Ali, il bambino di cinque mesi che soffre di una grave lesione cerebrale dal momento del parto. La Nuova Bussola ha appreso la notizia direttamente dal padre del piccolo, Karwan, uno scienziato biomedico di 35 anni e di fede musulmana, che a sua volta lo ha saputo dall’ospedale. Al riguardo non è stato emesso dai giudici un ordine esecutivo, ma la sentenza di primo grado dà comunque ai medici l’autorizzazione a staccare il supporto vitale per permettere a Midrar «una morte buona e dignitosa» (così l’istanza del trust sanitario, presentata il 29 novembre e poi accolta dal giudice Nathalie Lieven).

Vie legali terminate, dicevamo. Ieri, infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha rigettato il ricorso presentato lunedì 17 febbraio dai legali della famiglia. C’era da aspettarselo, verrebbe da dire, visto che il comportamento pilatesco della Cedu si era già manifestato in altre recenti e ben note vicende di eutanasia di Stato, riguardanti il Regno Unito (vedi Charlie Gard e Alfie Evans) e anche la Francia (vedi Vincent Lambert).

Questo di Midrar, poi, si presentava a livello legale come un caso ancora più difficile per una vittoria pro vita, stante la dichiarazione di «morte del tronco cerebrale» fatta dai medici del Saint Mary’s sulla base di tre test neurologici, condivisa da un dottore esterno chiamato dai familiari (il professor Wilkinson, che ha visitato Midrar il 30 gennaio: le sue conclusioni sono state incluse nella decisione della Corte d’Appello) e appunto accolta dai giudici.

Ricordiamo che i giudici di secondo grado, il 14 febbraio, avevano negato il permesso all’appello presentato dalla famiglia, che ha sempre contestato i risultati dei test neurologici e anche l’opportunità di eseguirli su un neonato.

Nella sentenza integrale pubblicata qualche giorno più tardi (ma con la data del 14) a nome del presidente della Corte, Andrew McFarlane, e sottoscritta dai giudici Nicholas Patten ed Eleanor King, nel respingere la carta della valutazione del “miglior interesse” del bambino giocata dai legali dei familiari, si legge che «la corte non sta dicendo che è nel miglior interesse del bambino morire, ma piuttosto che il bambino è già morto». Proprio così: «già morto». Dichiarazione che fa a pugni con la logica e anche con la suddetta istanza dell’ospedale, da cui è originata la battaglia giudiziaria, e che contiene la richiesta, come abbiamo visto, di «una morte buona e dignitosa».

Del resto, nel riassunto per la stampa che aveva anticipato l’uscita della sentenza integrale, sulla falsariga di una sentenza emessa nel 2015 dal giudice Hayden [Re A (A Child)], la Corte dava indicazioni di dichiarare che «Midrar è morto alle 20.01 dell’1 ottobre 2019», data del primo test neurologico, quando il bimbo era nato da appena 13 giorni. L’avevamo già detto giorni fa: una convenzione clinica, quella della «morte cerebrale» (collegata al tema dell’ampliamento del numero di donatori di organi), diventa così una realtà giuridica, che supera e ignora volutamente la realtà effettiva, la quale ci dice che il bambino non è morto dopo 13 giorni, ma continua a vivere a oltre quattro mesi e mezzo di distanza dal primo test neurologico. Basti ricordare che la crescita del bambino è proseguita, e il suo ultimo peso rilevato è di 7.9 chili.

Ma torniamo al distacco del ventilatore previsto per le 14 inglesi. Il padre, nel tardo pomeriggio di ieri, ci ha spiegato che avrebbe passato l’intera notte in compagnia di Midrar, vegliando a turno con la moglie Shokhan, sia per trascorrere con il figlio quelle che potrebbero essere le sue ultime ore di vita terrena sia per controllare che non venga sedato. La speranza residua è che il bambino, una volta staccato il ventilatore, faccia dei tentativi di respirare da solo, perché in quel caso la situazione del piccolo andrebbe contro uno dei criteri previsti dal Codice medico del 2008 citato nelle sentenze di primo e secondo grado, il Code of practice for the diagnosis and confirmation of death (che non è una legge dello Stato bensì un protocollo contenente criteri per la determinazione della «morte del tronco cerebrale»). Se ciò avvenisse, i medici sarebbero in sostanza tenuti a riattaccare il ventilatore.

Proprio in virtù della speranza che Midrar si sforzi di respirare a ventilatore staccato, e nel timore che lo staff dell’ospedale liquidi una tale eventualità come “riflesso”, i genitori hanno cercato un medico esterno disponibile a certificare gli eventuali movimenti respiratori del loro bambino. Invano, fino a ieri, dal momento che nessuno dei tre dottori contattati direttamente dalla famiglia (più altri indirettamente) hanno accettato. «Non so se per paura o perché sono impegnate, ma le persone non vogliono essere coinvolte in questo caso», ci dice il padre. Sembra che solo un miracolo possa salvare a questo punto Midrar. Gli toglieranno l’ossigeno… ma non facciamogli mancare le nostre preghiere.