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POLITICA

Matterella rende omaggio solo ai partigiani rossi

Il Presidente della Repubblica introduce una novità: non celebra il 25 aprile solo a Roma, ma anche a Varallo Sesia, per ricordare le Repubbliche Partigiane. Tuttavia si reca in Val Sesia, che fu governata dai partigiani comunisti e non in Val d'Ossola che era nelle mani di quelli cattolici. Perché?

Editoriali 26_04_2016
Sergio Mattarella

Scegliendo di celebrare l’anniversario del 25 aprile non solo a Roma ma anche a Varallo Sesia per dare così risalto e riconoscimento all’esperienza delle Repubbliche partigiane, il presidente Mattarella si è lodevolmente impegnato in un gesto non convenzionale. Nello stesso tempo – con una decisione il cui significato è forse sfuggito al grande pubblico ma non di certo ai proverbiali addetti ai lavori - ha fatto però ancora una volta una scelta di campo del tutto in sintonia con il male oscuro dell’area da cui proviene: quel cattolicesimo sociale in fin dei conti sempre subalterno al Pci e ai suoi eredi.

Le “zone libere” o Repubbliche partigiane furono circa 20. Si trattò di casi in cui i partigiani giunsero a controllare dei territori da cui le forze nazi-fasciste erano state costrette a ritirarsi, e per un certo tempo ne assunsero il governo. Ebbero consistenza assai diversa e tra l’altro la storia di alcune di esse, formatesi tra i monti dell’Emilia-Romagna, non è priva di pagine anche molto oscure. Di tale esperienza i due esempi più rilevanti furono ad ogni modo  la “zona libera” della Valsesia e rispettivamente la Repubblica Ossolana, sorte in due valli alpine tra l’altro contigue del Piemonte nordorientale: appunto la Val Sesia, percorsa dal fiume omonimo, e la Val d’Ossola, percorsa dal fiume Toce. In entrambi i casi la Resistenza giunse a controllare territori di entità rilevante e con un consistente apparato industriale, compresi i due capoluoghi di vallata, rispettivamente Varallo Sesia e Domodossola, dove vennero insediati veri e propri governi provvisori.

Le somiglianze però finiscono qui. Ben diverso era infatti l’orientamento politico della Resistenza nelle due valli. In Val Sesia, sotto la guida del comandante partigiano comunista Cino Moscatelli, un “quadro” del Partito formatosi a Mosca, venne instaurato un regime di tipo sovietico. In Val d’Ossola, dove le Fiamme Verdi, ossia i partigiani di area cattolica e laica non marxista, predominavano e avevano avuto un ruolo-chiave nella conquista di Domodossola, nei quaranta giorni (10 settembre 1944 – 23 ottobre 1944) in cui durò la Repubblica Ossolana si diede con grande rapidità e con grande originalità istituzioni di democrazia molto avanzata ispirate a principi spesso attinti alla dottrina sociale cattolica. Disponendo allora di un notevole apparato industriale e di riserve di energia idro-elettrica, e avendo il vantaggio di confinare con la Svizzera (con la quale fece in tempo a firmare un trattato di assistenza), la Repubblica Ossolana avrebbe tra l’altro potuto reggere sino alla fine della guerra se gli Alleati – che avevano ormai il totale dominio dell’aria – avessero deciso di sostenerla, il che invece non accadde.  

Chi dunque conosce la vicenda delle Repubbliche partigiane, e in particolare quella dei due casi maggiori di cui si diceva, tanto prossimi tra loro geograficamente quanto remoti da un punto di vista politico, non può non domandarsi perché mai, volendo celebrare tale esperienza, Mattarella non sia andato a Domodossola a rievocare la Repubblica Ossolana invece che a Varallo Sesia a rievocare la “zona libera” che Cino Moscatelli e i suoi governarono con un Consiglio di Valle che in realtà era un soviet. Nel suo discorso a Varallo Sesia Mattarella ha evocato le esperienze-pilota di autonomia locale e di autonomia sociale di cui la “zona libera” della Valsesia sarebbe stata teatro. Lo avevano male informato? Credeva di trovarsi in Val d’Ossola? Voleva fare un “ganascino” alla vecchia guardia dell’attuale Pd? Quale sarà la risposta giusta? La prima, la seconda, la terza? Quale che sia c’è di che preoccuparsi.