Mascherine, quegli obblighi infiniti che isolano l’Italia
Solo in Italia, fatta esclusione per la Cina, continueranno fino all'estate inoltrata le misure anti-Covid. Viene meno il Green Pass, ma resta l'obbligo della mascherina per moltissime circostanze, fino alla metà di giugno. Le contraddizioni non si contano: mascherina al cinema, ma non in discoteca, per esempio. Proteste delle categorie colpite.
I gestori di cinema e teatri sono sul piede di guerra. Gli operatori turistici sono perplessi. In compenso, spagnoli e greci sentitamente ringraziano il governo italiano, che ha deciso di mantenere imbavagliati per un altro mese e mezzo cittadini e turisti, prorogando l’obbligo della mascherina.
Da una parte viene tolto il Green Pass, che non verrà più richiesto a partire da domenica. Dall’altra si obbligano le persone a indossare la mascherina, che in gran parte del resto del mondo (se si eccettua la follia cinese della rincorsa al Covid zero) è ormai un reperto d’antiquariato. In questo modo si ritarda ulteriormente l’effettivo ritorno alla normalità e si perde competitività in ogni settore rispetto agli altri Stati.
La mascherina Ffp2 rimane obbligatoria fino al 15 giugno a bordo di tutti i mezzi di trasporto pubblico locale e a lunga percorrenza (treni, aerei, metropolitane, tram, bus, ecc) e andrà indossata anche per gli spettacoli e gli eventi sportivi al chiuso, quindi in cinema, teatri, sale da concerto, palazzetti dello sport e altri luoghi assimilati. Lo stabilisce un emendamento al decreto Riaperture approvato in commissione alla Camera e inserito in una ordinanza “ponte” del Ministro alla salute, Roberto Speranza, che resterà in vigore fino alla conversione del decreto.
Niente obbligo, invece, sul luogo di lavoro, ma faranno comunque fede i protocolli tra imprese e sindacati, sia nel pubblico che nel privato e si precisa che «è comunque raccomandato di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso pubblici o aperti al pubblico». A complicare ulteriormente le cose è stato il Ministro della pubblica amministrazione, Renato Brunetta, che ha firmato una circolare sull’utilizzo delle mascherine negli enti pubblici. Vi si legge che l’uso della mascherine Ffp2 «è raccomandato, in particolare, per il personale a contatto con il pubblico sprovvisto di idonee barriere protettive, per chi è in fila a mensa o in altri spazi comuni, per chi condivide la stanza con personale "fragile", negli ascensori e nei casi in cui gli spazi non possano escludere affollamenti». Inoltre, la mascherina è raccomandata «anche per il personale che svolga la prestazione in stanze in comune con uno o più lavoratori e anche nel corso di riunioni, se si è in coda, anche al bar o per entrare in ufficio e in presenza di una qualsiasi sintomatologia che riguardi le vie respiratorie».
Anche gli studenti dovranno sopportare la mascherina per l’intera giornata di lezioni e fino alla chiusura dell’anno scolastico. E’ stato infatti prorogato l’obbligo di mascherina chirurgica al chiuso per i visitatori delle strutture sanitarie e socio-sanitarie (ospedali, residenze sanitarie, strutture riabilitative, hospice) e per tutti gli studenti dai 6 anni in su, fino al 15 giugno. Surreale pensare che bimbi di 8-10 anni debbano augurarsi buone vacanze, in pieno giugno, con una mascherina incollata alla bocca.
Nessun obbligo, invece, per negozi, supermercati, ristoranti, bar, stadi e spettacoli all’aperto, discoteche anche al chiuso. Difficile comprendere la logica di un provvedimento che obbliga alla mascherina chi sta seduto (e magari distanziato) al cinema o al teatro per vedere uno spettacolo e non obbliga chi invece sta in una pista da ballo di una discoteca. E poi che senso ha generalizzare la misura per tutti i negozi? Ci sono negozi dove gli assembramenti sono molto frequenti e altri nei quali le distanze sono più facilmente garantite.
Ancora una volta queste regole sul Covid risultano schizofreniche e incomprensibili, figlie di una approssimazione decisionale che fa a pugni con il buon senso. E’ la riprova di quanto sia stata gestita male la pandemia sul piano delle azioni di contrasto e, ancor più, su quello della comunicazione ai cittadini e della condivisione delle scelte istituzionali con imprese e categorie di lavoratori.
Come detto, monta la protesta dei lavoratori del settore del cinema: «E' inaccettabile che sia ancora lo spettacolo l'unico a pagare una pesante e ormai non più sostenibile né comprensibile penalizzazione in materia di protocollo Covid», denuncia l'Anec - Associazione nazionale esercenti cinema - in una nota, sottolineando che «le misure vedono una generica raccomandazione per tutte le attività, comprese realtà commerciali sicuramente molto affollate e con elevate possibilità di contatto fra le persone, mentre si obbligano i cinema a imporre la FFP2, nemmeno le chirurgiche già concesse alle discoteche. Sono due anni che con senso di responsabilità gli esercenti hanno preso atto delle stringenti misure, applicate ogni volta in prima istanza ai cinema, ma adesso l'accanimento non è più comprensibile».
Secondo l'Anec nel 2020 si sono registrate perdite del 71% rispetto al 2019, mentre nel 2021 erano del 12%. E dopo i primi 4 mesi del 2022 si registrano ancora perdite del 60% sul 2019. «Nessun settore è in grado di resistere a numeri disastrosi di questo livello e, giunti a questo punto, è evidente che non si tratta più di un tema di salute ma di volontà politica incomprensibile e unicamente dannosa per il settore», si legge nella nota dell'associazione, che chiede «assunzione di responsabilità al Consiglio dei ministri per evitare ulteriore danno all'esercizio cinematografico, in vista di due mesi che vedranno arrivare in sala alcuni block-buster di forte appeal che potrebbero consentire un ritorno in sala di pubblico».
Negli altri Stati, in particolare Spagna, Grecia e anche Francia, dove non si utilizzano più le mascherine se non in circostanze eccezionali, il traguardo del ritorno alla normalità è già stato raggiunto, anche perché non si parla più di Covid e i mezzi di informazione neppure lontanamente si preoccupano di continuare a fornire la contabilità quotidiana di casi, ricoveri e decessi. Altrove il virus è già stato derubricato a influenza e non riempie più da mesi e mesi le cronache quotidiane. E a beneficiarne non è solo la psiche delle persone, ma anche lo stato di salute delle economie.