Martin Luther King e il sogno della libertà
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Il discorso pronunciato da Martin Luther King il 28 agosto 1963 (“I have a dream”) è un capolavoro di retorica. L’orazione si fissa nella mente per le anafore ampie che percorrono tutto il ragionamento.
Il 4 aprile 1968 venne assassinato Martin Luther King. Il pastore protestante aveva combattuto per anni in nome dei diritti civili degli afroamericani. Neanche trentenne, era stato aggredito con un coltello nel 1958, dopo che l’anno precedente aveva cofondato la Southern Christian Leadership Conference che si batteva negli Stati Uniti per il diritto di voto, per la fine dello sfruttamento e della segregazione razziale.
Quando nel 1964 ricevette il Premio Nobel per la pace sottolineò che non era conferito a lui, ma a tutto il movimento di quegli uomini di buona volontà che si erano battuti con lui: lui era solo la figura più nota e autorevole, rappresentativa di tutto quel cammino di cambiamento. Il 7 dicembre 1964, pochi giorni prima di ricevere il Nobel, tenne un discorso a Londra in cui sottolineava i progressi avvenuti in quegli anni in America: si era assistito ad un graduale declino della segregazione razziale, alla fine o quasi del linciaggio, ad un’estensione del diritto di voto dei neri. Soprattutto Luther King sottolineava il cammino durante il quale «i Negri cominciarono a sentire di essere qualcuno, la loro religione rivelò loro che Dio ama tutti i suoi figli e che tutti gli uomini sono fatti a sua immagine, e che la cosa importante di un uomo non è la sua specificità, ma il suo fondamento, non la consistenza dei suoi capelli o il colore della sua pelle, ma la sua eterna dignità e il suo valore».
Il suo discorso più celebre fu quello pronunciato il 28 agosto 1963, durante la “Marcia su Washington per il lavoro e per la libertà” dinanzi a 250.000 uomini, presso il Lincoln Memorial, monumento a ricordo del presidente americano assassinato quasi cent’anni prima, nel 1865. Il discorso passò alla storia come: I have a dream. Gli Stati Uniti erano sotto la presidenza di J. F. Kennedy che sarebbe stato assassinato il 22 novembre dello stesso anno.
Capolavoro di retorica, l’orazione si fissa nella mente per le anafore ampie che percorrono tutto il ragionamento in maniera quasi ossessiva, a sottolineare un cammino lungo, iniziato da tempo e non ancora concluso: per quattro volte «Non potremo mai essere soddisfatti finché»; due volte «alcuni di voi»; per sei volte «ritornate»; per sei volte «io ho un sogno»; per sette volte «risuoni la libertà».
Esattamente cent’anni prima il presidente Abraham Lincoln aveva tenuto un discorso a Gettysburg: era stato inaugurato un cimitero nazionale proprio nel luogo ove si era svolta una delle battaglie più sanguinose della guerra civile tra nordisti e sudisti che aveva provocato almeno 50.000 morti. Lincoln ricordava che la nazione americana era nata dal principio «che tutti gli uomini sono creati uguali», conscia di un compito grande: che tutti i morti della guerra civile per la causa della liberazione dalla schiavitù non fossero morti invano.
Nel suo discorso Luther King riprese i formulari tipici dei sermoni biblici e le immagini dell’Antico Testamento che indicano l’attesa di un mondo nuovo: ogni valle sarà elevata, ogni collina e montagna sarà abbassata, i luoghi aspri saranno spianati e i luoghi tortuosi diventeranno diritti.
Ecco una parte significativa del discorso del 28 agosto 1963. Luther King parla a nome di tutti. Lui interpreta un popolo, quelle persone che sono in marcia con lui, da anni, per chiedere e ottenere la libertà. Utilizza il «noi» come duemila anni prima Cicerone nell’esordio della prima Catilinaria: nella famosa orazione il console romano identificava e isolava il nemico di Roma e di tutti gli onesti cittadini, Catilina; Luther King non identifica il nemico nelle sue parole, ma riconosce il bene, l’ideale, il sogno che in tanti guardano e verso cui sono in cammino.
Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città.
Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai neri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.
Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono: "Riservato ai bianchi".
Non potremo mai essere soddisfatti finché i neri del Mississippi non potranno votare e i neri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare.
No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l'acqua e il diritto come un fiume possente.
Non ho dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere.
Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.
Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.
E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho un sogno. È un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.
Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
Io ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell'arroganza dell'ingiustizia, colmo dell'arroganza dell'oppressione, si trasformerà in un'oasi di libertà e giustizia.
Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho un sogno, oggi!. […]
Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.
Risuoni la libertà negli alti Allegani della Pennsylvania.
Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.
Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.
Ma non soltanto.
Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.
Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.
Wojtyła ai polacchi, quando un discorso cambia la storia
Ci sono discorsi che hanno contribuito a cambiare il corso della storia. Tra essi va ricordato certamente quello di san Giovanni Paolo II nella sua visita del 1983 alla Polonia. Parole attualissime.