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Santi e animali / 6

Maria e il serpente secondo Caravaggio

Nella Genesi, dopo l’episodio del peccato originale, è prefigurata la Vergine Maria che schiaccia la testa al serpente, simbolo del demonio. Un quadro di Caravaggio (Madonna dei Palafrenieri) rappresenta questo tema, anche se fuori dai canoni iconografici.
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Cultura 10_10_2022

Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi. (Genesi 3,9: 15-20).


Il binomio Maria Vergine/serpente è uno dei più interessanti della Bibbia, per il contrasto che i due rappresentano. Maria, che per privilegio divino è esentata non solo dal peccato originale ma anche dalle sue drammatiche conseguenze, è Colei che schiaccia la testa del serpente, sconfiggendolo. Lui rappresenta il maligno, il demonio, che ci ha portati al peccato originale e alle sue conseguenze, da cui Lei, Madre del Redentore, con il predominio che ha per grazia di Dio, cerca di liberarci.

La testimonianza dell’esorcista Padre Gabriele Amorth (1925-2016) ce lo conferma: «Anni addietro un mio amico bresciano, don Faustino Negrini, morto alcuni anni fa mentre esercitava il ministero d’esorcista presso il piccolo santuario della Stella, mi raccontava come costrinse il demonio a fargli l’apologia della Madonna. Gli chiese: “Perché hai tanto terrore quando nomino la Vergine Maria?”. Si sentì rispondere, per mezzo dell’indemoniata: “Perché è la creatura più umile di tutte e io sono il più superbo; è la più obbediente e io sono il più ribelle (a Dio); è la più pura e io sono il più sozzo”. Ricordandomi questo episodio, nel 1991, mentre esorcizzavo un indemoniato, ho ripetuto al demonio le parole dette in onore di Maria e gli ho ingiunto (senza avere la più pallida idea di quello che mi sarebbe stato risposto): “La Vergine Immacolata è stata elogiata per tre virtù. Tu ora mi devi dire quale è la quarta virtù, per cui tu ne hai tanta paura”. Subito mi sono sentito rispondere: “È la sola creatura che mi può vincere interamente, perché non è mai stata sfiorata dalla più piccola ombra di peccato”».

Anche san Bernardo non esita ad esprimere questi concetti con un’affermazione decisa, che ha ispirato la preghiera di Dante alla Vergine: «Veneriamo Maria con tutto l’impeto del nostro cuore, dei nostri affetti, dei nostri desideri. Così vuole Colui che stabilì che noi ricevessimo tutto per mezzo di Maria». La devozione a Maria è così intensa proprio perché, per noi umani, Lei, l’Immacolata, rappresenta la speranza della liberazione dal peccato originale. Con la sua presenza, Maria intercede per noi presso Dio e presso Suo Figlio. La sua umanità ce la fa sentire vicina e familiare. È una giovane donna nata fra i monti della Bassa Galilea, sposa di Giuseppe. Per volere divino, diventa madre. Maria è una persona eccezionale in cui Dio ha trovato la piena disponibilità per la realizzazione del suo piano di salvezza. Perché Lui non elargisce i Suoi doni a chiunque, ma a persone fuori dal comune, alle quali può affidare delle missioni da svolgere. A Maria ha affidato la più importante, quella di dare alla luce Suo Figlio. Il Signore ha colmato di grazie la Vergine Maria, rendendo possibile a noi di ricevere, attraverso di Lei, la grazia della Redenzione.

Il serpente, invece, creatura silenziosa e misteriosa, è simbolo sia del maligno che di tutte le nostre paure. La paura è un’azione demoniaca che impedisce all’uomo di andare avanti, di superare i propri limiti, di rendere l’impossibile possibile. L’uomo dovrebbe solo essere timorato di Dio, che è un dono ben diverso dall’aver paura. Eppure, nella sua superbia, il demonio vuole che abbiamo paura di lui.

Nella Galleria Borghese c’è uno straordinario dipinto di Caravaggio, un olio su tela, intitolato Madonna dei Palafrenieri, chiamato anche Madonna della serpe. È un dipinto di grandi dimensioni (misura 292 x 211 cm) ed era stato commissionato all’artista nel 1605 dalla prestigiosa Confraternita dei Palafrenieri Pontifici, che ha una storia affascinante, che vale la pena di leggere. Il simbolismo di questa opera è di enorme potenza. Il dipinto ritrae infatti la Vergine Maria che sostiene suo figlio, nudo e paffuto, mentre insieme schiacciano il serpente (simbolo del male). Sant'Anna, madre di Maria, assiste alla scena che evoca la lotta teologica e cosmica tra il bene e il male celebrando il trionfo del primo sul secondo.

L'opera era destinata all'altare della cappella nella nuova Basilica di San Pietro in Vaticano ma venne rifiutata. Probabilmente per via di diverse scelte rappresentative dell'autore: il bambino Gesù nudo e troppo cresciuto, Maria che si mostra con il seno in vista, abbigliata come una popolana e poi il motivo principale: sant'Anna, che il dipinto doveva esaltare, non è ritratta in modo iconografico, ma appare in atteggiamento meditativo ed è piuttosto perplessa. Anche in un altro dipinto, La Madonna dei pellegrini, Caravaggio si era ispirato alle donne di bassa levatura sociale per illustrare Maria, che vediamo visitata da due pellegrini con i piedi sporchi e i vestiti sdruciti. Anche in quel caso, l’immagine molto realistica e l'atteggiamento umano dei personaggi, calati nella cruda realtà popolare, avevano suscitato polemiche. Per dipingere il serpente, Caravaggio si è probabilmente ispirato a un cervone, rettile velenoso tra i tre più lunghi d'Europa nonché il più lungo in Italia.

Scipione Borghese, raffinato e avido collezionista, riuscì ad ottenere il dipinto per la propria quadreria nel 1606, pagandolo 100 scudi. Il dipinto si trova tuttora nella collezione della galleria Borghese.