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VENERABILE

Maria Domenica Lazzeri, le virtù di chi ha imitato Cristo

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Riconosciute dalla Chiesa le virtù eroiche di Maria Domenica Lazzeri, ora venerabile. Mistica, il suo caso ebbe risonanza anche all’estero e fu studiato da più medici. Negli ultimi 14 anni si nutrì di sola Eucaristia e negli ultimi 13 ebbe le stimmate, vivendo la Passione di Gesù ogni venerdì e morendo a 33 anni.

Ecclesia 28_03_2023

La sua morte è avvenuta nel bel mezzo della Quaresima. E il 23 marzo di 175 anni dopo, ancora in piena Quaresima, a seguito dell’autorizzazione data dal Papa al Dicastero delle Cause dei Santi, è arrivato il riconoscimento delle sue virtù eroiche e, quindi, il titolo di venerabile, il passo che precede l’eventuale beatificazione (per la quale è richiesto l’accertamento di un miracolo).

Parliamo di Maria Domenica Lazzeri (o Lazzari, secondo la variante diffusa nei primi resoconti su di lei; 16 marzo 1815 - 4 aprile 1848), una mistica conosciuta come “l’Addolorata di Capriana”, nata e vissuta nell’omonimo paesino della Val di Fiemme, dove ha concluso la sua vita terrena all’età di 33 anni. Come Gesù. Una somiglianza che non si è limitata all’età, alla luce della condivisione dei dolori di Nostro Signore che la nuova venerabile ha vissuto nello spirito e nel corpo, rimanendo allettata per gli ultimi 14 anni della sua vita, con le stimmate e i segni della corona di spine per gli ultimi 13.

Ultima dei cinque figli di due genitori di salda fede cristiana (Bortolo e Margherita), Maria Domenica manifestò fin dalla fanciullezza una grande comprensione delle cose divine, tanto da stupire - per le sue domande e risposte - il maestro di religione. Frequentò la scuola fino ai 15 anni. Allo stesso tempo, aiutava la famiglia con le faccende domestiche, al mulino (il padre era un mugnaio) e nei campi. Una fanciulla ordinaria, insomma, sebbene con una spiccata devozione, che pure evitava di ostentare, nei limiti del possibile. Per lei ogni occasione era buona per nutrirsi di fede. Pregava tra un lavoro e l’altro, dedicando all’orazione anche momenti destinati al riposo. Le notti, non di rado, vegliava per leggere le opere dell’allora beato Alfonso Maria de’ Liguori e altri libri di istruzione religiosa. Ogni giorno partecipava alla Santa Messa. In particolare, tra tutte le devozioni, amava meditare sulla Passione di Cristo.

L’amore per Dio si rifletteva nel suo amore per il prossimo. Durante un’epidemia influenzale, si dedicò, assieme alla madre, a curare gli ammalati. Entrambe ne rimasero contagiate; la madre guarì, mentre Domenica iniziò a soffrire di svariati sintomi, come inappetenza, problemi respiratori, febbri e convulsioni. Altri eventi occorsi nella sua adolescenza contribuirono a segnarne la salute, tra cui la morte (per polmonite) dell’amato padre, quando la nostra venerabile aveva circa 13 anni. Un fatto che appunto le causò, oltre a un grande dolore nell’animo, anche lunghe ripercussioni a livello fisico. Ma Domenica affrontava i vari malori guardando costantemente a Gesù crocifisso e risorto, pur in mezzo agli immancabili alti e bassi, più o meno quotidiani.

Nel 1833, mentre era al lavoro nei campi, ebbe la prima apparizione della Madonna. Ne seguirono altre. Secondo quanto riferito da un suo confessore, la Madre celeste un giorno le chiese: «Vuoi tu godere le insanguinate piaghe di Gesù?». La sua risposta fu: «Se ne sono degna e se lo merito, sia fatta la tua volontà». I malanni di Maria Domenica si intensificarono, così come il mistero sulle sue condizioni. Dalla primavera del 1834 non assunse più né acqua né cibo, eccetto l’Eucaristia, un fatto comune ad altri mistici nella storia della Chiesa. Da quell’anno, come accennato, rimase tutto il tempo a letto, anche se a questa informazione va aggiunto il fatto che le furono attribuiti fenomeni di bilocazione, come riportato nelle lettere dell’allora vescovo di Trento, il beato Giovanni Nepomuceno de Tschiderer (1777-1860).

Nel gennaio 1835 ricevette le stimmate (alle mani, ai piedi e al costato); nel febbraio dello stesso anno, iniziò a manifestare anche i segni della corona di spine. Presentava altri segni della Passione lungo la schiena. Le sue piaghe sanguinavano ogni venerdì, quando i suoi dolori raggiungevano il culmine, fino ad essere pressoché insopportabili. In quei giorni la si sentiva gridare più volte frasi come: «Oh Dio, aiutatemi!».

Il suo caso ebbe risonanza internazionale, attirando a Capriana varie personalità dell’epoca, dal Trentino e dall’estero: religiosi, uomini del clero e laici, da Antonio Rosmini all’arcivescovo di Sidney, John Bede Polding. Il vescovo di Trento dovette prendere misure per limitare l’accesso alla casa di Maria Domenica, assecondando gli stessi desideri della mistica: infatti, lei aveva pena di tutte quelle visite, non amando quella visibilità e desiderando coltivare, piuttosto, il raccoglimento interiore. Ad ogni modo, a quanti la visitavano testimoniava la sua incondizionata fiducia in Dio e la sicura speranza nella vita eterna, alimentando così, in quei visitatori, il desiderio dei beni celesti.

I fenomeni che la riguardavano vennero studiati da più medici. Tra loro, Leonardo Cloch, prima medico condotto della Val di Fiemme e poi primario all’Ospedale civico-militare di Trento, che visitò più volte la stimmatizzata e nel 1837 pubblicò una propria relazione, di 25 pagine, negli Annali Universali di Medicina.

Il dottor Cloch descrisse tra l’altro le piaghe visibili della mistica, la quale aveva le mani continuamente congiunte - appoggiate al petto, come in preghiera - e il piede sinistro coperto dalla pianta del piede destro e dunque meno osservabile: su richiesta, faceva qualche piccolo movimento, di breve durata, ma ciò le costava terribili dolori e convulsioni. Si vedevano i segni dei chiodi. Sulla fronte presentava oltre quaranta piccoli fori, che il venerdì stillavano sangue (scorrendo pure su quello rappreso), come pure le altre piaghe del corpo: alle quattro del pomeriggio il flusso era cessato.

Scrive Cloch: «Questi forami erano piaghe o, se meglio piacesse, ulceri profonde, vive, aperte ed incavate: insomma, manifeste aperture del corpo, non infracidite, non tendenti a corruzione. Il sangue che usciva da esse era vivo, tenace, rutilante, e si poteva assomigliare al sangue arterioso. Il suo scorrere era lentissimo sì, ma pur visibile». Lo stesso Cloch, con la collaborazione del dottor Antonio Faes, scrisse altre relazioni sulla Lazzeri, presentandole alla sezione medica degli uomini di scienza italiani, ai congressi di Napoli (1845), Genova (1846) e Venezia (1847).

La “beata Meneghina”, com’è anche chiamata (come vezzeggiativo di Domenica), viveva le sue sofferenze nella consapevolezza di partecipare al mistero di Cristo, per la salvezza delle anime. Perciò diceva: «Voglio soffrire fino all’ultimo giorno del mondo, se piace al mio Cristo. Soffrire è la mia salute». I suoi dolori ebbero fine il 4 aprile 1848, quando fu chiamata nella gloria eterna, all’incontro definitivo con lo Sposo.