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SVEZIA

Mapà e pamma: i nuovi nomi gender di madre e padre

In Svezia un preside è stato denunciato all’Equality Ombudsman, l’ente governativo che si occupa principalmente di uguaglianza di genere, per aver usato il pronome femminile hon (lei) durante un colloquio di lavoro con una candidata che dice di non sentirsi “né donna né uomo”.

Famiglia 11_04_2016
Mamma e papà cambiano nome nella neolingua gendere

La neolingua delle associazioni Lgbt potrebbe presto ottenere un altro risultato diretto all’annacquamento culturale delle differenze sessuali. Come riporta il quotidiano The Local, infatti, in Svezia un preside è stato denunciato all’Equality Ombudsman, l’ente governativo che si occupa principalmente di uguaglianza di genere, per aver usato il pronome femminile hon (lei) durante un colloquio di lavoro con una candidata che dice di non sentirsi “né donna né uomo” e preferisce essere chiamata con un secondo nome (nel Paese scandinavo gli uomini possono scegliere nomi di donne e viceversa e, inoltre, sono legali 170 nomi unisex). 

Dall’Equality Ombudsman spiegano che «l’indagine è appena iniziata, quindi non sappiamo ancora se porteremo il caso in tribunale». La vicenda potrebbe rappresentare uno spartiacque per le rivendicazioni trans, perché se il preside venisse sanzionato si imporrebbe - anche in ambito linguistico - l’irrilevanza di un elemento oggettivo (il sesso di una persona) rispetto a uno soggettivo (il genere a cui una persona “si sente” o meno di appartenere), con tutto ciò che ne consegue sul piano della certezza del diritto. Comunque vada, il solo fatto di rischiare una sanzione per l’uso di un vocabolo corretto è già di per sé una forma di condizionamento. 

Questa denuncia arriva un anno dopo l’introduzione del pronome neutro hen nel Dizionario della Accademia svedese, pronome inventato da un linguista negli Anni ’60, ma mai radicatosi nell’uso comune, fino alla recente “riscoperta” da parte della comunità transgender che ha visto nel neologismo un potenziale cavallo di Troia per il radicamento di una cultura favorevole alle proprie richieste. Ora si può trovare il pronome hen in testi ufficiali, articoli di giornale, libri per l’infanzia, questi ultimi diffusi già a partire dagli asili nido, nonostante le proteste seguite alla diffusione nel 2012 del libro per bambini Kivi e il cane mostruoso, in cui non solo il termine hen sostituì i pronomi maschili e femminili ma furono introdotti pure altri vocaboli neutri come mappor (come se in italiano dicessimo mapà) e pammor (pamma) al posto di mamma e papà. 

Altro esempio paradigmatico della diffusione del gender in Svezia è l’asilo Egalia, dove dal 2010 le maestre si rivolgono ai bambini da 1 a 6 anni chiamandoli genericamente friend o con il pronome hen: i termini “lui” e “lei”, assieme a tutte le altre parole che identificano un maschio e una femmina, vengono rigorosamente evitati. A Egalia si considera “neutro” raccontare storie d’amore di due maschi di giraffa, mentre sono bandite favole classiche come Biancaneve e Cenerentola. A questa iniziativa, riproposta in modo simile da altri asili, se ne sono affiancate altre come quella di diversi rivenditori di giocattoli di allestire reparti di genere neutri all’interno dei negozi o come la campagna di una grande catena che tentò di promuovere le bambole per i bambini e le mitragliatrici per le bambine… 

Tutte queste operazioni culturali rientrano nel solco della “norma critica”, una teoria molto in voga (con diversi punti di contatto con l’ideologia gender) che punta a eliminare tutte le norme tradizionali della cultura svedese, in primis la distinzione uomo-donna. Non è un caso che la Svezia abbia uno dei più alti indici di gradimento (il 72%) agli occhi dell’Ilga, l’International lesbian and gay association, che ogni anno pubblica la cosiddetta Rainbow Map per registrare i progressi delle normative dei vari Stati verso la completa attuazione dell’agenda gay, a conferma ulteriore che l’ideologia gender esiste eccome e prevede di conseguire, uno dopo l’altro, tutti gli obiettivi che si è posta. 

Per restare in tema, l’indice di gradimento dell’Italia in chiave di norme gay-friendly è fermo al 22%, ma se - com’è probabile - la Camera approverà il ddl Cirinnà, certamente il nostro Paese registrerà un balzo percentuale, ricevendo la “benedizione” dell’Ilga. La Svezia prevede già il matrimonio egualitario e le adozioni arcobaleno, i trans possono cambiare genere senza sottoporsi a intervento chirurgico e molti Comuni svedesi hanno pensato di predisporre dei bagni “gender neutral”. Per l’Ilga, che grazie al suo status consultivo presso l’Onu e numerosi governi riesce a influenzare gli indirizzi politici, Stoccolma è sulla strada giusta, ma deve completare l’opera, perché «ci sono ancora importanti questioni irrisolte». Vista l’ultrapermissiva legislazione svedese, sorge una domanda: le rivendicazioni Lgbt prevedono un limite?