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EDITORIALE

Mancuso, teologo senza Dio

In un recente articolo scrive del rispetto che si deve a chi ha deciso liberamente di porre fine ai suoi giorni. Come dire: prestare la corda a chi si vuole impiccare. Soltanto un grande vuoto umano può propagandare e giustificare la solitudine che uccide.

Editoriali 15_05_2013
Vito Mancuso

Letture: ci sono quelle buone e quelle cattive. Tra le cattive ne registro un mazzetto. Per intanto, quella di un autore che si definisce e si fa definire ‘teologo’, Vito Mancuso. Qualche tempo fa avevo letto con una certa simpatia qualche suo intervento, nel tentativo di riconoscergli lo sforzo di avvicinare la teologia ai problemi dell’uomo d’oggi. Ormai però mi sembra di vederlo imbarcato con l’equipaggio di chi si fa servo dei luoghi comuni ampiamente propagandati sui mass-media.

In un recente articolo, dopo un elaborato argomentare venato di richiami cristiani, Mancuso scrive: “E se un essere umano ha liberamente scelto di mettere fine alla sua vita-bios perché per lui o per lei l'esistenza è diventata una prigione e una tortura, chi veramente vuole il "suo" bene, chi veramente si dispone con vicinanza solidale alla sua situazione, lo deve rispettare”. Come dire che se io vedo un uomo o una donna determinati a tentare il suicidio, ‘per il bene che gli voglio’ gli presto anche la corda.

Non so quale condizione personale viva Mancuso, ma certamente appare un uomo solo, che non vede e non sa immaginare altra ‘vicinanza solidale’ verso il prossimo in difficoltà se non quella di collaborare alla sua disperazione. E’ strano che un ‘teologo’ non abbia in mente e non suggerisca la via della carità, della vicinanza, del sostegno fraterno, che ha salvato e salva ogni giorno persone disperate o travolte da situazioni tremende, malati terminali, uomini e donne soli. Nelle situazioni difficili e nei grandi dolori, la nostra società chiama all’appello schiere di psicologi specializzati nell’assistenza alle persone colpite. Potrà essere una salutare garza sulla ferita.

Ma certi dolori colpiscono il profondo del cuore, che solo una ‘medicina diversa’ può guarire. Perché dunque essere così reticenti nell’annunciare la fede, nel proporre Cristo Crocifisso e Risorto? E’ la missione di ogni cristiano, teologo o prete o laico o padre o madre o amico o collega. E’ il dono che è stato fatto a noi in favore di tutti. Perché lasciarci nel deserto, come se Cristo non fosse ancora vivo, non potesse percorrere le nostre strade, non potesse entrare nelle nostre case, raccogliendo i tormenti e le attese della vita? Dice il Vangelo che se un figlio ci chiede un pane, non gli daremo certo un sasso. Se c’è bisogno di speranza, di carità, di vicinanza, di aiuto concreto, non possiamo propagandare e giustificare la solitudine che uccide.