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Malore, Becciu e Cina: il sistema fa quadrato attorno a Parolin

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Il potere che manovra la grande stampa sta facendo sparire o negare le notizie che potrebbero danneggiare l'ex segretario di Stato vaticano nella corsa al pontificato. Più grave di tutte la nomina di due vescovi cinesi da parte del regime in tempo di sede vacante.

Editoriali 05_05_2025 English

Non c’è che dire: il potere che domina i media sta facendo quadrato attorno alla figura dell’ex segretario di Stato Pietro Parolin, proteggendolo nella sua corsa verso il papato. In che modo? Ignorando e facendo sparire notizie e articoli che potrebbero in qualche modo danneggiarlo e, anzi, lanciando campagne contro chi cerca di dare notizie puntuali.

Il primo fatto curioso è la sparizione di un articolo sull’ultimo numero del settimanale L’Espresso, ritirato proprio mentre stava andando in stampa. Se ne è accorto Professione Reporter per il semplice fatto che il titolo dell’articolo (“Parolin, la diplomazia dell’invisibile”) è rimasto nel sommario, due pagine riempite al volo con la pubblicità. Cosa c’era scritto in quell’articolo? Non si sa, ma è forte il sospetto che ci fosse qualcosa di sgradito all’ex segretario di Stato che, con il settimanale progressista, deve avere un buon feeling. Si ricorderà infatti che fu proprio L’Espresso nel settembre 2020 a pubblicare l’inchiesta sull’acquisto da parte del Vaticano di un palazzo a Londra, che fu all’origine dei guai del cardinale Angelo Becciu. Questi, da numero 2 della Segreteria di Stato, alle spalle del cardinale Parolin, veniva indicato come il regista di un’operazione fraudolenta e fallimentare per la Santa Sede.

Non sorprendentemente è passata così in secondo piano anche la contemporanea notizia della condanna decisa dall’Alta Corte britannica contro la Segreteria di Stato della Santa Sede, sempre per l’affare del palazzo di Londra: 4 milioni di euro (1,5 subito) da pagare al finanziere Raffaele Mincione. La Segreteria di Stato (leggi Parolin) aveva accusato Mincione di frode, accuse smentite dal tribunale britannico. Un altro schiaffo all’ex segretario di Stato su cui si è preferito non soffermarsi troppo.

Ancora più significativa è la storia sul malore che il cardinale Parolin avrebbe avuto la sera dello scorso 30 aprile: un brusco rialzo della pressione, con intervento medico di circa un’ora. La notizia, circolata tra i cardinali, è stata prima ignorata, poi quando è cominciata a girare sulla stampa internazionale, è arrivata la smentita ufficiale della Sala Stampa. Nel frattempo in Italia Corriere della Sera, Repubblica, Messaggero e altri si sono lanciati in attacchi sguaiati contro presunti corvi, con retroscena inventati di sana pianta e neanche troppo originali (c’è sempre di mezzo la destra americana, che nella narrazione di sinistra occupa lo stesso ruolo che aveva la CIA nelle assemblee studentesche degli anni ’70). Notevole anche il lavorio di uomini di Curia per smentire una notizia – che invece molte fonti danno per vera – che potrebbe nuocere in chiave elettorale proprio mentre si cerca di guadagnare i voti necessari tra i sostenitori del cardinale ungherese Peter Erdo.

Il fatto però indubbiamente più grave, che dimostra il fallimento dell’approccio diplomatico del cardinale Parolin, è la nomina da parte della Cina di due vescovi proprio nel periodo di sede vacante. Come abbiamo già scritto si tratta di Wu Jianlin, ausiliare a Shanghai, e Li Jianlin a Xinxiang, nella provincia dell’Henan. Il gesto di Pechino è molto grave perché solo la nomina papale ha canonicamente valore, e in questo modo il regime comunista vuole affermare con nettezza il totale controllo della Chiesa cattolica cinese. È una sfida diretta alla Santa Sede e a chiunque sarà il prossimo Papa, ma soprattutto è la sconfitta di chi ha voluto e difeso a spada tratta, anche contro ogni evidenza, l’accordo segreto firmato nel 2018 e poi rinnovato ogni due anni fino al 2024, quando il rinnovo è stato allungato a quattro anni.

Pur essendo segrete le condizioni dell’accordo, la Segreteria di Stato ha sempre assicurato che il Papa ha l’ultima parola sulle nomine. Cosa però puntualmente smentita dai fatti, visto che dei 12 vescovi nominati dopo il 2018 (è questa la stima che sembra più realistica) sono diversi i casi in cui è stato evidente che il Papa ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco. E senza considerare che si tratta di tutti vescovi ben integrati nelle strutture del Partito Comunista Cinese. Il caso più clamoroso è stato quello del vescovo di Shanghai, Josef Shen Bin, insediato dalle autorità cinesi il 4 aprile 2023 senza neanche avvertire la Santa Sede. Che protestò (senza però alzare troppo la voce) ma poi dovette ingoiare la nomina e farla proprio il successivo 15 luglio. In nome dell’accordo con la Cina, la Santa Sede ha dovuto digerire anche la ridefinizione geografica di alcune diocesi, che il governo di Pechino vuole coincidano con i confini amministrativi. Così dalle 150 tra arcidiocesi, diocesi e prefetture apostoliche previste dall’Annuario Pontificio si dovrà scendere a poco meno di cento.

E anche considerando le ultime nomine, il confronto tra il bollettino vaticano e il rispettivo comunicato cinese (in cui peraltro mai si fa riferimento al Papa) mostra che ci sono diversi mesi di differenza nelle date ufficiali di nomina. Come nel caso del nuovo vescovo di Luliang, Anthony Ji Weizhong, ordinato lo scorso 20 gennaio: per il governo cinese il vescovo è stato eletto il 19 luglio 2024, ma per la Santa Sede la nomina del Papa è arrivata il 28 ottobre successivo, oltre tre mesi dopo.

Ora con la nomina di due vescovi in tempo di sede vacante il governo cinese ha alzato ancora l’asticella mostrando, per chi vuole vedere, che il re è nudo, che in Cina è il Partito Comunista che nomina i vescovi e che - come abbiamo sempre sostenuto - quell’accordo rappresenta la svendita della Chiesa al regime comunista; un’umiliazione per i cattolici cinesi e uno sfregio alla memoria dei tanti martiri che hanno versato il sangue per la loro fedeltà al Papa e alla Chiesa universale.

Eppure, una cosa così importante non ha trovato spazio nella grande stampa italiana (e non solo), tutta tesa a promuovere colui che di questo disastro diplomatico è il principale artefice.

E visto che parliamo di Cina è giusto non dimenticare che in Conclave ci sono altri cardinali in prima linea nel sostenere Parolin in questo accordo con la Cina. Matteo Zuppi, anzitutto, visto che la “sua” Comunità di S. Egidio sponsorizza fortemente l’accordo ed è stata la principale alleata di Parolin e di papa Francesco. Né va dimenticato il nuovo vescovo di Hong Kong, il cardinale Stephen Chow Sau-yan, che addirittura per i suoi sacerdoti promuove corsi di sinicizzazione (di fatto la creazione di una Chiesa nazionale cinese sotto la guida del regime). E infine il cardinale filippino Luis Antonio Tagle, secondo cui l’accordo con la Cina serve a «salvaguardare la valida successione apostolica e la natura sacramentale della Chiesa cattolica in Cina». A quale prezzo, evidentemente non importa.