Malaria, altro che Covid: 405mila morti in un anno
I dati globali più recenti relativi alla malaria, resi noti dall’Oms, riportano 228 milioni di casi con 405.000 morti nel 2018. Per quanto dal 2010 al 2018 il tasso di diffusione della malaria sia sceso da 71 a 57 casi ogni mille persone a rischio, a partire dal 2014 di progressi ne sono stati fatti pochi. L'Onu parlò della sconfitta della malattia entro il 2015, ma oggi gli interventi si sono ridotti alla diffusione delle zanzariere.
Il 25 aprile è stata celebrata la Giornata mondiale contro la malaria, istituita dall’Oms nel 2007. Quest’anno la celebrazione è stata quasi ignorata, in parte perché l’attenzione mondiale è concentrata sulla pandemia di Covid-19, ma soprattutto perché da anni i risultati delle campagne contro la malaria, nonostante i progressi conseguiti, non sono soddisfacenti e richiamare l’attenzione sui dati relativi all’andamento dell’epidemia avrebbe avuto un brutto effetto sull’opinione pubblica già tanto allarmata.
I dati globali più recenti relativi al 2018, resi noti dall’Oms nel dicembre del 2019, riportano per quell’anno 228 milioni di casi, solo tre milioni meno che nel 2017. I morti sono stati 405.000, meno, ma di poco, che nel 2017 quando ne erano stati registrati 416.000. Il fatto preoccupante è che, per quanto dal 2010 al 2018 il tasso di diffusione della malaria sia sceso da 71 a 57 casi ogni mille persone a rischio, a partire dal 2014 di progressi ne sono stati fatti assai pochi e sempre meno, tanto che la situazione si può dire stazionaria. Il punto debole si conferma l’Africa sub-sahariana, con il 93 per cento dei casi globali, oltre la metà concentrati in sei paesi: Nigeria, Repubblica democratica del Congo, Uganda, Costa d’Avorio, Mozambico e Niger.
I risultati delle campagne di eradicazione della malaria sono tanto più deludenti, e anche imbarazzanti tenuto conto che l’Oms ha a disposizione grossi finanziamenti per realizzarle (nel 2018, 2,7 miliardi di dollari), in quanto più di dieci anni fa l’agenzia delle Nazioni Unite aveva annunciato l’imminente scomparsa della malattia. Il 25 aprile 2009 l’allora direttore generale dell’Unicef, Ann Veneman, aveva assicurato che entro il 31 dicembre 2010, termine fissato dal Segretario generale dell’Onu all’epoca Ban Ki-Moon, sarebbe stata disponibile una copertura universale degli “interventi essenziali per il controllo della malaria”, in grado di azzerare il numero dei morti entro il 2015: “siamo pronti – aveva dichiarato – per la prima volta nella storia, a rendere la malaria una causa rara di mortalità e malattia. La malaria ha i giorni contati”.
Invece centinaia di milioni di persone continuano a contrarre la malaria ogni anno e centinaia di migliaia ne muoiono. Il costo del piano di copertura universale intrapreso era di 5,3 miliardi di dollari per il 2009, 6,2 per il 2010, altri cinque miliardi di dollari tra il 2011 e il 2020. I finanziamenti all’Oms non sono mancati, l’agenzia godeva di fiducia, meritata grazie ad alcuni straordinari successi: come la campagna mondiale per l’eliminazione della poliomielite varata nel 1988, che ha fatto diminuire i casi del 99 per cento, dai 350.000 in 125 stati alle poche decine attuali, e quelle contro la meningite A che, riuscendo a vaccinare oltre 300 milioni di persone, hanno portato alla sua quasi totale scomparsa in Africa, nella cosiddetta “fascia della meningite”, dove nel 1996 una epidemia in pochi mesi aveva contagiato 250.000 persone uccidendone più di 25.000.
Ma con un vaccino intervenire è più semplice, anche in situazioni estreme. Lo dimostra l’andamento dell’epidemia di Ebola nell’est della Repubblica democratica del Congo dove per la prima volta le equipe sanitarie hanno potuto vaccinare la popolazione a rischio. Contro la malaria esiste un vaccino da appena un anno ed è in uso soltanto in tre stati africani: Kenya, Malawi e Ghana.
Tuttavia in molti paesi la malaria è stata debellata da decenni, e senza neanche richiedere l’intervento dell’Oms. Il modo per riuscirci è stato dappertutto lo stesso: togliere alle zanzare che ne sono il vettore il loro habitat con operazioni di bonifica delle zone malariche e disinfestarle con gli insetticidi. Il più efficace, il DDT, fu tolto dal commercio negli anni 70 del XX secolo in seguito alla campagna dell’Agenzia Americana per la Protezione dell’Ambiente che ne denunciò effetti cancerogeni e inquinanti tali da far prevedere un’imminente catastrofe ecologica. Una tempestiva smentita sulla base di studi nel frattempo effettuati non valse a far revocare il bando del DDT che è stato riabilitato solo nel 2005.
Peraltro, con o senza DDT, i governi dei paesi in cui la malaria è endemica e miete più vittime sono assai poco disposti a stanziare le risorse necessarie a intraprendere operazioni di disinfestazione e bonifica. Forse anche per la difficoltà di sostituirsi ad essi, sta di fatto che l’Oms come “interventi essenziali” ha inteso non le bonifiche né le disinfestazioni, bensì la distribuzione nelle regioni malariche di centinaia di milioni di zanzariere trattate con insetticidi, centinaia di milioni di insetticidi spray per abitazioni e di repellenti per uso personale: in altre parole i rimedi di solito usati per ridurre il rischio di contrarre la malattia in attesa o nell’impossibilità di estirparla. “L’unica prevenzione possibile è di tipo ‘meccanico’: la zanzariera. Far arrivare le zanzariere ovunque, questa è la vera sfida dei prossimi anni”: Oms, Unicef e Roll back malaria, la partnership nata nel 1998 per coordinare a livello mondiale le iniziative, hanno continuato a ripeterlo per anni.
Lo scorso gennaio è stato trionfalmente annunciato il traguardo raggiunto di 2 miliardi di zanzariere distribuite in tutto il mondo. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, ha commentato l’evento: “le zanzariere hanno salvato vite, prevenuto sofferenze e ci hanno portato due miliardi di passi più vicino alla nostra visione di un mondo senza malaria. Con la leadership dei Paesi colpiti e la collaborazione globale continueranno ad avere un ruolo vitale nel raggiungere questo obiettivo”.