Magistero: istruzioni per l'uso nella Bussola Mensile di marzo
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Custodire ed esporre la Parola, senza cedere alle mode del mondo: è il compito dei Pastori della Chiesa, cui dedichiamo il Primo Piano. E poi numerosi approfondimenti, per concludere con un esame di coscienza che ci aiuterà a vivere bene la Quaresima.

Quando si parla di Magistero, il pensiero della maggior parte dei cattolici è che sia «qualcosa che riguarda preti e vescovi». In realtà esso «è fondamentale perché ci trasmette e interpreta “autenticamente”» ciò che Gesù ci ha rivelato, ricorda il direttore Riccardo Cascioli nell’Editoriale in apertura della Bussola Mensile di marzo, che dedica il Primo Piano proprio al “mistero del Magistero”, con approfondimenti di don Mauro Gagliardi, padre Serafino Lanzetta, padre Giorgio Carbone e Luisella Scrosati.
Compito del Magistero è «custodire ed esporre la Parola; da questo unico deposito della fede, il Magistero attinge tutto ciò che propone a credere», come insegna il Concilio Vaticano II. Esistono tre gradi del Magistero che richiedono un differente assenso da parte dei fedeli. Il primo livello consiste nel credere «con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelato». Questo Magistero è detto infallibile ed «è certamente esente da qualunque errore in materia di fede»; a esso «si deve l’assenso di fede teologale».
«Lo stesso assenso fermo della fede teologale è dovuto anche quando la Chiesa propone in modo definitivo» una verità che «non è formalmente rivelata, ma ha una relazione così stretta con la rivelazione da essere indispensabile, “necessaria per custodire e esporre fedelmente il deposito della fede”». In entrambe le forme del magistero, «queste verità o sono definite con giudizio solenne dal papa ex cathedra o dal collegio dei vescovi riuniti in concilio, oppure sono proposte infallibilmente dal magistero ordinario e universale».
Il terzo grado del magistero consiste in «quegli insegnamenti presentati “come veri o almeno come sicuri, anche se non sono stati definiti con giudizio solenne né proposti come definitivi dal Magistero ordinario e universale”», a cui «il fedele risponde con “l’ossequio religioso della volontà e dell’intelletto”».
Nel successivo articolo, di Stefano Fontana, indaghiamo il concetto di natura, che è certamente travisato ai nostri tempi; infatti quando si parla di natura si pensa subito «all’ambiente fisico e materiale» oppure viene intesa «come sinonimo di spontaneo». Il suo senso autentico è invece «l’essenza di qualche cosa in quanto capace di orientarne l’azione». Ma perché al giorno d’oggi la natura viene negata? Per il semplice fatto che, secondo alcuni, «limiterebbe o annullerebbe la libertà». Ma i limiti che la natura comporta, sia materiali che morali, «non uccidono la libertà, anzi la irrobustiscono».
Un excursus sui cinque film della serie “God’s Not Dead” ci viene proposto da don Stefano Bimbi. I primi due film, tradotti in italiano, hanno avuto un enorme successo in America come in Italia. Malgrado la caduta nel politicamente corretto del terzo film, tutta la serie si propone come uno spaccato di vita, prevalentemente in ambito scolastico, di cristiani americani osteggiati e perseguitati da sedicenti propugnatori della laicità. Le vicende sono inventate ma «prendono spunto da decine di casi reali finiti in tribunale riguardanti la libertà di religione».
«Una delle reliquie meno conosciute, ma più preziose della cristianità», è «la “tunica senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo” indossata dal Signore sulla via del Calvario». Michael Hesemann riassume l’eterna diatriba fra la città tedesca di Treviri e quella francese di Argenteuil, dovuta alla rivendicazione da parte di entrambe della «preziosa tunica indossata da Gesù». Molte analisi furono eseguite sulla tunica di Argenteuil, le quali hanno portato ad affermare con certezza che «la tunica fu indossata dallo stesso uomo che aveva lasciato il sangue e la sua immagine sulla Sindone di Torino». Molto probabilmente, però anche la veste di Treviri fu di Cristo, poiché «gli antichi ebrei indossavano sia un indumento interno sia uno esterno».
Troppo poco conosciuto è un beato torinese di cui celebriamo il bicentenario della nascita proprio nel mese di marzo, Francesco Faà di Bruno. Caro amico di San Giovanni Bosco, egli spese la sua vita a servizio dei meno abbienti. Da laico compì numerose opere in qualità di «militare, matematico, inventore e musicista», scrive Stefano Chiappalone. Insolita fu poi la sua preoccupazione nei confronti delle donne affinché non si perdessero, sia materialmente che spiritualmente; a tal proposito fondò la Pia Opera di Santa Zita nel 1859 e la congregazione delle Minime di Nostra Signora del Suffragio nel 1869. Solo in seguito ricevette l’ordinazione sacerdotale per vivere da presbitero «poco più di un decennio».
Ma la fede ti rende davvero uno «sfigato»? Agli occhi del mondo, sì. Il credente è visto come uno che non ha capito niente, uno che la vita non se la sa godere, ma è proprio il contrario: lo psicologo Roberto Marchesini spiega che «la fede non annulla l’umanità delle persone», anzi, «è proprio la grazia divina a perfezionare la natura umana».
Stesso numero, altro beato, don Stefano Caprio racconta la vicenda di Leonid Fëdorov. Convertitosi dall’ortodossia al cattolicesimo a soli vent’anni, missionario nel suo stesso Paese, la Russia, Leonid fu esempio luminoso di cattolicesimo russo di rito orientale. Consapevole di ciò a cui sarebbe andato incontro, «allo scoppio della Prima guerra mondiale» tornò in patria, «dove lo attendeva l’esilio siberiano». Venne liberato durante la rivoluzione di febbraio, ma dopo qualche anno venne condannato dai sovietici a «dieci anni di reclusione, che trascorse nel principale campo di concentramento per i detenuti per motivi religiosi, sopra il Circolo Polare Artico. Anche in questo contesto apocalittico, Fëdorov si distinse come guida spirituale tra i sacerdoti e i vescovi detenuti, cattolici latini e greci e ortodossi».
Storie affascinanti quelle dei beati e dei santi poco conosciuti ma riprese dalla Bussola per darne eco e diffusione, affinché siano di modello e ispirazione per noi cattolici che ci troviamo a tribolare in questo mondo scristianizzato.
Concludiamo in bellezza il numero di marzo con un esame di coscienza preparato da don Calogero D’Ugo per vivere bene la Quaresima. Ogni sera, prima di addormentarci, dovremmo passare in rassegna la nostra giornata per scorgere ciò che abbiamo compiuto di bene e di male, nel «nostro rapporto con Dio, col prossimo e con noi stessi». Questa pratica di «cura della propria anima» è fondamentale se vogliamo davvero fare un cammino spirituale, «che è cammino di santità». Non si pensi che sia un’abitudine difficile da acquisire; dobbiamo ricordare che non siamo «soli nel nostro cammino spirituale: lo Spirito Santo ci spinge interiormente verso il bene».
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