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IL VESCOVO DI PALERMO

Mafia e Religione, una smentita fragile e molti dubbi

Lo Stato controlla le omelie? Il vescovo di Palermo smentisce la partecipazione al Tavolo del Ministero della Giustizia su Mafia e Religione. Ma il suo nome è ancora tra gli estensori. Un arcivescovo a sua insaputa in una commissione statale? Ce ne sarebbe per uno scontro istituzionale ad alto livello. Eppure....I dubbi su una vicenda non chiara. 

Attualità 12_02_2018
Corrado Lorefice

Un vecchio adagio dice che le notizie false si smentiscono da sole, quelle vere hanno bisogno della rettifica ufficiale. Sul caso del Tavolo 13 del Ministero della Giustizia su Religione e Mafia arriva una smentita che apre più dubbi di quanti ne voglia sopire. E’ quella che l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice ha recapitato al quotidiano Il Giornale per dire di non avere mai partecipato al Tavolo in questione dove, tra le altre cose, è uscita l’indicazione di costituire un osservatorio di giudici e giornalisti per monitorare le prediche dei sacerdoti in chiave antimafia.

Una ingerenza inquietante da Repubblica Democratica Tedesca che La Nuova BQ ha denunciato nei giorni scorsi con questi articoli (qui e qui), alla luce delle forti critiche espresse al documento da parte del segretario della Cei mons. Nunzio Galantino. La cosa non poteva non imbarazzare alcuni membri della commissione ministeriale dato che, come riportato negli articoli, tra i partecipanti al tavolo figurava anche l’Arcivescovo di Palermo.

Ebbene: della vicenda si è occupato anche il quotidiano Il Giornale, che sabato ha ricevuto su carta intestata dell’Arcivescovo Corrado Lorefice una smentita. La rettifica, firmata da Lorefice e pubblicata nella pagina delle lettere dice: “Non ho mai preso parte al Tavolo su Religione e Mafia promosso dal Ministero della Giustizia e pertanto non posso essere annoverato tra gli estensori dei documenti prodotti. Conseguentemente la nota del Segretario della Conferenza episcopale Italiana non può ritenersi riferita alla mia persona”.

Curioso che Lorefice abbia mandato la nota al Giornale, che se ne è occupato solo marginalmente e non alla Nuova BQ che invece ha dato il via alle danze. Ma andiamo oltre.

Quello che stupisce è che Lorefice si sia precipitato a smentire la sua partecipazione quando questa è diventata di dominio pubblico ed è stata messa in contrapposizione al segretario Cei Galantino. Infatti nella sua smentita Lorefice sembra più preoccupato a far sapere che le parole di Galantino non possono certo essere attribuite a lui, piuttosto che a esprimere commenti sul tavolo.

La vicenda potrebbe chiudersi qui, come un incidente di percorso o una svista giornalistica. Eppure qualche cosa non torna. Anzi, molte cose.

A cominciare dal fatto che la solerzia che l'Arcivescovo ha avuto per dire di non avere mai partecipato al Tavolo, che tra le altre cose ha rampognato severamente la Cei per non aver accettato di collaborare, non è stata utilizzata in tutti questi mesi per correggere il ministero che sul portale continuava ad avere il nome di Lorefice, con tanto di titolo arcivescovile, tra i partecipanti il tavolo.

E sì che di tempo ce n’era, dato che i lavori degli Stati Generali sono stati presentati il 23 novembre a Milano a Palazzo Reale (una location non proprio secondaria) e il nome di Lorefice tra gli estensori del tavolo 13 figurava già da allora sul portale del Ministero e figura a tutt’oggi.

I lavori del tavolo 13 sono stati soltanto una delle 16 attività di cui si sono occupati gli Stati generali per volontà del Ministro della Giustizia Andrea Orlando, oggi candidato con il Pd: dal tavolo 1 su Mafia e Globalizzazione, il 2 su Mafia e Economia fino al Tavolo 16 sulle agromafie coordinato dal magistrato Giancarlo Caselli.

In mezzo tutti gli altri tavoli e al 13, appunto, l’argomento Mafia e Religione, affidato come coordinamento ad Alberto Melloni, della Fondazione per le scienze religione di Bologna che in quella commissione era in buona compagnia con altre 13 membri tra cui, appunto Lorefice e altri studiosi, alcuni dei quali provenienti proprio dalla scuola di Bologna dove lo stesso Lorefice ha studiato con il suo maestro, anch’egli presente al tavolo, Giuseppe Ruggeri.

Insomma: il nome del prelato compariva già allora tra gli estensori e compare ancor oggi, immutato.

Com’è possibile allora che il nome di Lorefice sia stato inserito così ufficialmente e in un contesto così a lui vicino, vista la presenza di Melloni & co, senza che lui ne fosse informato?

Si tratta dell’arcivescovo metropolita di Palermo, primate della Sicilia, non del parroco di Bollate, con tutto il rispetto: non può essere in una commissione del ministero di Giustizia dello Stato italiano in cui figura il suo nome e non saperlo. Se le cose fossero così perché oltre che a smentire sul giornale non ha denunciato il ministro e aperto un caso diplomatico?

C’è poi un altro aspetto: ammettiamo che Lorefice non abbia mai partecipato come ha detto. Non può ignorare che questa commissione abbia emanato un documento a suo nome: gli avranno mandato per lo meno la copia in copia conoscenza? E se non l’hanno avvisato dovrebbe querelare tutti i componenti della commissione, tra cui suoi amici personali, che non l’hanno avvertito dei lavori svolti e, infine, delle ardite tesi sostenute, come ad esempio quella che la Chiesa italiana non ha fatto abbastanza contro la lotta antimafia.

Guardando il corposo documento, si scopre che i lavori si sono svolti per via telematica per tre giorni. Forse un collegamento skype? In ogni caso è probabile che i vari contributi siano arrivati sul tavolo di Melloni che poi, da coordinatore, avrà fatto sintesi di tutto. Se al termine dei lavori, il 23 novembre, già durante la presentazione quindi, Lorefice compariva, come può oggi dire di non aver partecipato? Qualcuno avrà dovuto inserire il suo nome. Per quale motivo? E chi?

La domanda non è peregrina, perché Lorefice è primate della Chiesa siciliana, quindi quello che dice lui su Mafia e Religione ha il crisma dell’autorità episcopale massima in regione. Un incidente del genere non può essere derubricato a semplice svista o a dimenticanza di qualcuno. Non vorremmo che Lorefice ora, per cavarsi d’impaccio, iniziasse ad accampare scuse che potrebbero essere facilmente smentite.

Di chi è la colpa? Di Lorefice che non si è affrettato a chiedere la cancellazione nell’elenco dei partecipanti? O di Melloni, che da coordinatore non ha verificato bene il novero dei suoi collaboratori? O infine del ministro Andrea Orlando, che ha inserito in un tavolo voluto politicamente da lui un pezzo da 90 della Chiesa Siciliana a sua insaputa? O forse, del solito giornalista che se n’è accorto e ha fatto notare la stranezza di un vescovo che compare in una commissione che accusa gli altri vescovi di comportamenti al limite della connivenza mafiosa?

La vicenda è seria, in ballo c’è uno scontro che, dalle veementi parole di Galantino, sembra covare sotto la cenere. Forse sarà bene che qualcuno chiarisca.