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E' SCONTRO CON LA CEI

La Scuola di Bologna vuole prendersi anche l'Antimafia

Galantino accusa il tavolo ministeriale su Mafia e Religione definendolo "banale e arrogante". Ma l'obiettivo non è il Guardasigilli, bensì il suo "tifoso" Alberto Melloni, che con il vescovo "dosettiano" di Palermo confeziona uno studio per accusare la Chiesa di non fare lotta antimafia. 

-IL DOCUMENTO: LO STATO CONTROLLI LE PREDICHE

Attualità 07_02_2018
Galantino e Melloni

Ci mancava anche lo scontro ecclesiale per il controllo del mainstream antimafia. L’attacco è di quelli eclatanti, ma è passato in sordina, forse perché nessuno si è accorto della sua portata. Il terreno è il campo dell’antimafia dove fa specie che due vescovi si mettano l’un contro l’altro per il controllo della vulgata sulla legalità. Soprattutto se uno dei protagonisti è il segretario della Cei Nunzio Galantino, che della Conferenza Episcopale Italiana sembra anche il presidente ombra.

I fatti risalgono a qualche giorno fa. Galantino viene invitato a Roma a Contromafiecorruzione, un’iniziativa organizzata da Rete Libera di don Ciotti. Nel portare il suo sostegno ai partecipanti, il vescovo si lancia su un j’accuse molto preciso. E’ rivolto agli Stati Generali per la Lotta alle mafie, un organismo ministeriale creato dal titolare della Giustizia Andrea Orlando che ha lavorato su diversi tavoli e ha presentato i suoi lavori a fine novembre scorso a Milano.

In particolare, nel mirino del vescovo segretario è finito il tavolo 13, quello che Orlando ha istituito per affrontare la tematica su Mafia e Religione. A Galantino non sono piaciute le conclusioni di questo tavolo.

“Tra le affermazioni, banalità, non documentate, scritte con una buona dose di arroganza e sicuramente sostenute da preconcetti e mancanza di conoscenze dirette, leggo di una fattuale estraneità delle Chiese, o almeno della Chiesa cattolica, a una lotta alle mafie”, ha detto. E ha proseguito: “Posso esibire, storie, nomi e fatti che, non da oggi, vedono uomini e donne di Chiesa impegnati, non intorno al Tavolo 13, ma per strada mettendoci faccia e impegno”. Poi ha rincarato la dose bocciando di fatto quel tavolo ministeriale: “La mia non è una rivendicazione quanto piuttosto la voglia di prendere le distanze da chi farebbe bene ad abbandonare ideologismi sterili per vedere dove c’è l’impegno e riconoscerlo”.

Insomma, l’attacco di Galantino è significativo, ma sbaglierebbe chi pensasse che l’obiettivo del segretario Cei fosse solo politico, o almeno di quella politica Pd che tramite Orlando ha licenziato il documento sostenendo la tesi che la Chiesa non faccia abbastanza per la cultura antimafia.

No. E’ uno scontro tutto ecclesiale. Per capire il peso di questo scontro infatti è bene andare a guardare chi ha composto fino al novembre scorso il Tavolo 13 promosso dal ministero. In cima troviamo una vecchia conoscenza del cattolicesimo democratico, quell’Alberto Melloni che del ministro Orlando è stato non solo consulente in questo tavolo, ma di cui è anche tifoso politico, avendo appoggiato pubblicamente la sua candidatura nell’aprile scorso alle primarie Pd. Un tifo politico che Melloni non nasconde e che probabilmente si ravviverà in questi giorni dato che l’esponente della minoranza Pd è candidato in un collegio a Reggio Emilia, che non è solo un fortino elettorale rosso, ma è anche la città in cui Melloni vive e insegna, quando non è impegnato in altri incarichi consulenziali.

Ora, a parte la curiosità di Melloni che viene nominato coordinatore del tavolo da Orlando, di cui politicamente fa il tifo, ma evidentemente non ci sarà materia per conflitti di interessi vari, è significativo andare a spulciare anche gli altri nomi del board ministeriale. E qui si scopre che ci sono davvero tante conoscenze di Melloni. Esperti di religione forse sì, ma chissà poi quanto esperti di mafia, malavita, legalità, criminalità organizzata etc…

In tutto, compreso Melloni ci sono 14 membri. E tra questi spiccano diversi componenti della Fondazione per le Scienze Religiose di Bologna, il think tank del cattolicesimo progressista di cui Melloni è segretario plenipotenziario e già beneficiato lautamente dagli ultimi governi, non senza ambiguità.

C’è ad esempio Davide Dainese, classe 1981, che è membro della Scuola di Bologna e si occupa prevalentemente di Tarda Antichità e Patristica. E c’è Silvia Cristofori, ricercatrice di antropologia culturale che ha svolto ricerche in Rwanda e nel contesto migratorio romano. Anche qui non c’è traccia di competenze nel campo di boss e mammasantissima. Forse un po’ di esperienza potrebbe avercela un altro membro del tavolo, e anch’egli membro in via San Vitale a Bologna, don Giuseppe Ruggieri, che è entrato in Fondazione nel lontano 1978 e ha al suo attivo numerose pubblicazioni. Ma nessuna, ahinoi, nel campo della lotta alla Mafia, né al rapporto tra Chiesa e criminalità organizzata. Insomma: per trovare un qualche membro della Fondazione più o meno con attinenza alla tematica in oggetto bisogna ricorrere a monsignor Corrado Lorefice, da pochi anni vescovo di Palermo. Che almeno è siciliano, il che non significa automaticamente che si intenda di Mafia, ma almeno in questa penuria di competenze fornite da via San Vitale, può fare la sua figura. Di sicuro è considerato affiliatissimo alla scuola di Bologna, dove ha studiato e grazie alla quale ha potuto dare alle stampe un volume sulla Chiesa povera di Dossetti e Lercaro, uno dei “core business” della Fscire.

Non è questo il luogo per analizzare le conclusioni del tavolo, per questo rimandiamo a un successivo articolo, se non dire che le conclusioni scaturite dagli incontri della commissione, appena tre in tutto, hanno fortemente irritato il segretario della Cei. Per una sorta di ingerenza negli affari della Chiesa portati avanti da un governo ma con il lavoro di esponenti di Chiesa, vedi il vescovo Lorefice, e di studiosi che si fregiano, vedi Melloni, la patente di cattolici doc, moderni e molto vicini a Papa Francesco.

E a questo tentativo di indirizzare le politiche antimafia della Chiesa italiana Galantino ha risposto con una veemenza che di fatto smentisce la granitica sicurezza che la Scuola di Bologna ha sempre vantato circa il suo potere nella mappa del cattolicesimo che conta. Di sicuro è uno scontro insolito, dove l’antimafia non è altro che una scusa per disegnare equilibri e scenari di potere diversi.

Con questo documento bocciato da Galantino si chiedono alla Chiesa e alla Santa Sede interventi canonici e magisteriali nuovi, ma si preannuncia anche l’inquietante scenario di un monitoraggio della predicazione dei preti, per controllarli in chiave antimafia.

E si denuncia anche l’impossibilità della Cei a collaborare con il tavolo di Orlando. La relazione licenziata da Melloni e dai suoi uomini parla chiaro quando denuncia “la difficoltà manifestata dalla presidenza (Bassetti) e dalla segreteria (Galantino) della Cei a contribuire in forma di audizione scritta ai lavori del tavolo” oltre al “diniego alla richiesta da indirizzare all’episcopato di una lettera che chiedeva a ciascuna chiesa diocesana di confessione cattolico-romana di prendere posizione sul tema”. Una difficoltà che per Melloni & co è indice della “fattuale estraneità delle Chiese – o almeno sicuramente della Chiesa cattolica – a una lotta alle mafie che, essenzialmente, è condotta soltanto dalle istituzioni dello Stato”.

Firmato, rivisto e corretto per conto di un governo Pd dalla scuola di Bologna, nota esperta di mafie e affini.