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EDITORIALE

Madri che uccidono i figli

La strage di Lecco dice del male che avvolgeva la vita di una madre, un male così inconcepibile che le ha armato la stessa mano che fino a poco tempo prima faceva carezze. Ma a quanti figli le madri negano la vita ogni giorno?

Editoriali 11_03_2014
Due delle figlie uccise dalla madre a Lecco

La strage di Lecco non può lasciare indifferenti. Edlira Dobrishi, una donna albanese lasciata poco tempo fa dal marito, ha ucciso a coltellate le sue tre figliolette di 3, 10 e 13 anni. Una madre che uccide le sue figlie, una tragedia terrificante. Abbiamo chiesto di commentare questo tremendo fatto di cronaca a chi meglio conosce - perché ci convive quotidianamente nel suo lavoro al Centro di Aiuto alla Vita - ciò che si agita nell'animo di una madre che intende disfarsi dei propri figli. (R.Cas.)

“Ogni madre si augura di non sopravvivere alla morte di un figlio!” Tante volte ho sentito ripetere questa frase che dà la dimensione della profondità dell’amore materno, qualcosa del tutto speciale rispetto ai tanti amori che si possono provare nella vita. E così altre frasi ascoltate per esempio ai telegiornali: “Era una donna solare! Tutta dedita alle sue figlie!” E ancora: ”Quando la figlia maggiore dimenticava qualcosa a casa, la mamma voleva essere lei a consegnargliela in classe per poterle dare un bacino”. “Nessuno si è mai accorto che la sua fosse una situazione di indigenza”.

Se ne potrebbero citare cento altre e tutte dicono come la fatica di Edlira fosse così spaventosa e così nascosta. A uno a uno, probabilmente, i suoi pensieri e le sue emozioni sono state avvolte da una spessa sostanza nera. Facevano male, un male tanto insopportabile da non poter essere decodificato. Un male tanto profondo che l’anima scambiava per un “bene” l’orrore di togliere la vita a chi lei stessa aveva dato la vita. Un male così inconcepibile che le ha armato la mano che faceva carezze.

“Siamo ancora capaci di piangere? -  interrogava papa Francesco parlando qualche giorno fa ai parroci romani – Siamo ancora capaci di piangere per il nostro popolo?”

Il mio popolo è fatto di donne, donne affaticate dalla vita, abbandonate, a volte senza nessuna speranza, non solari ma oscurate, sole. La parola solitudine così usuale e facile da usare, è quella che porta ai gesti più drammatici. 
”Sono ancora capace di piangere per un bambino non nato? Un bambino a cui la sua mamma ha impedito di nascere?”
Sì, sono ancora capace di piangere.
La vita intrisa di morte di questa madre, continua a colmare di lacrime non piante, la mia maternità. I figli ti commuovono da subito, forse da quando ancora non sai che già sono dentro di te.

“Prendi, Signore, ciò che vuoi di me, la vita stessa, ma preserva i miei figli”.
Una volta un sacerdote mi disse: “Sa perché lei ha perso la vista? Perché i suoi figli fossero preservati”. Sono stata contenta.

Dove ha perso Edlira tutto ciò? Sua madre dichiara che l’aver abortito spontaneamente il quarto figlio che aspettava l’ha resa depressa. Questa è un’altra delle parole che si usano impropriamente. La depressione, a livello clinico, è una grave patologia, spesso non riconosciuta ma che conduce al desiderio di non vivere.

Di questo soffre Edlira? Dove eravamo tutti noi? Perché non ci siamo resi conto di questa commistione tra vita e morte?

“Siamo ancora capaci di piangere?”

A quanti figli le madri negano la vita ogni giorno? Quelli sono piccolissimi e nascosti, ma la madre resta una madre e il figlio un figlio.

Edlira ha adagiato le sue figlie sul letto matrimoniale dove, forse, erano state concepite e le ha vegliate per quattro ore. Ho conosciuto una donna che ha compiuto o subito dieci aborti procurati. Lei non li ha vegliati quei bimbi, quei figli.

Il mio dolore è denso, buio, invasivo, e non so se sto soffrendo per Edlira o per le sue figlie che lei disperava di rendere felici. Sola con la non-vita dentro.

Dove ci si procura la felicità per i figli? Nessuno ce l’ha mai detto. Da sole, abbandonate, povere, sradicate dalla propria Terra, lontane dalla propria madre, tradite, ci si può abbandonare all’inferno.

“Lettera a un bambino non nato” era una delle letture di Edlira. Chi era per lei il bambino non nato? E se fosse stata lei stessa?

“Siamo ancora capaci di piangere?” 

Che le nostre lacrime siano per tutti i figli che hanno avuto la morte dalla loro madre e tante lacrime, forse anche più copiose, siano per le madri che hanno dato la morte ai loro figli.