"Madri, non zitelle": la castità feconda delle suore
L'8 maggio 2013 Papa Francesco ha continuato all'udienza generale il ciclo di catechesi sul «Credo», iniziato da Benedetto XVI e si è soffermato sulla figura dello Spirito Santo, senza risparmiare un affondo sulla situazione delle religiose nel mondo.
L'8 maggio 2013 Papa Francesco ha continuato all'udienza generale il ciclo di catechesi sul «Credo», iniziato da Benedetto XVI e da lui proseguito, soffermandosi sulla figura dello Spirito Santo. Nella stessa giornata, ha avuto un impegnativo incontro con le partecipanti all'assemblea plenaria dell'Unione Internazionale delle Superiori Generali, in un momento storico in cui sulle religiose e sulla loro obbedienza - o disubbidienza - al Magistero ci sono serie controversie.
Nell'udienza generale il Papa ha meditato su queste parole del «Credo»: «Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita». Nel «Credo» proclamiamo dunque anzitutto che lo Spirito Santo è «Kýrios», Signore. Con questa espressione confessiamo «che Egli è veramente Dio come lo sono il Padre e il Figlio, oggetto, da parte nostra, dello stesso atto di adorazione e di glorificazione che rivolgiamo al Padre e al Figlio. Lo Spirito Santo, infatti, è la terza Persona della Santissima Trinità; è il grande dono del Cristo Risorto che apre la nostra mente e il nostro cuore alla fede». Proclamiamo quindi che lo Spirito Santo «dà la vita», cioè è «la sorgente inesauribile della vita di Dio in noi».
La «vita di Dio» non consiste semplicemente nel restare vivi. «L’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi desidera una vita piena e bella, giusta e buona, una vita che non sia minacciata dalla morte, ma che possa maturare e crescere fino alla sua pienezza.
L’uomo è come un viandante che, attraversando i deserti della vita, ha sete di un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare in profondità il suo desiderio profondo di luce, di amore, di bellezza e di pace. Tutti sentiamo questo desiderio!».
Inviandoci lo Spirito Santo «Gesù ci dona quest’acqua viva», come aveva promesso alla Samaritana. «Gesù è venuto a donarci quest’"acqua viva" che è lo Spirito Santo, perché la nostra vita sia guidata da Dio, sia animata da Dio, sia nutrita da Dio». Chi accetta l'«acqua viva», lo Spirito Santo, diventa un «uomo spirituale». Per sapere se lo siamo diventati davvero o no, dobbiamo chiederci: «pensiamo secondo Dio? Agiamo secondo Dio? O ci lasciamo guidare da tante altre cose che non sono propriamente Dio? Ciascuno di noi deve rispondere a questo nel profondo del suo cuore». L'uso della metafora dell'acqua non è casuale. Infatti «sappiamo che l’acqua è essenziale per la vita; senz’acqua si muore; essa disseta, lava, rende feconda la terra». E l'«acqua viva» che è lo Spirito Santo «prende dimora in noi, ci purifica, ci illumina, ci rinnova, ci trasforma perché ci rende partecipi della vita stessa di Dio che è Amore».
San Paolo insiste spesso sul fatto che lo Spirito Santo ci rende figli di Dio. Questo è «il dono prezioso che lo Spirito Santo porta nei nostri cuori: la vita stessa di Dio, vita di veri figli, un rapporto di confidenza, di libertà e di fiducia nell’amore e nella misericordia di Dio, che ha come effetto anche uno sguardo nuovo verso gli altri». Così, «l’acqua viva che è lo Spirito Santo disseta la nostra vita, perché ci dice che siamo amati da Dio come figli, che possiamo amare Dio come suoi figli e che con la sua grazia possiamo vivere da figli di Dio, come Gesù».
Dobbiamo però chiederci: «noi, ascoltiamo lo Spirito Santo? Cosa ci dice lo Spirito Santo? Dice: Dio ti ama. Ci dice questo. Dio ti ama, Dio ti vuole bene. Noi amiamo veramente Dio e gli altri, come Gesù? Lasciamoci guidare dallo Spirito Santo, lasciamo che Lui ci parli al cuore e ci dica questo: che Dio è amore, che Dio ci aspetta, che Dio è il Padre». E lo Spirito Santo parla nella Chiesa.
Lasciar parlare lo Spirito Santo è quanto ha raccomandato il Papa anche alle superiori religiose, scosse da polemiche soprattutto negli Stati Uniti. Al di là delle singole censure dottrinali e disciplinari, peraltro ribadite da comunicati recenti dei dicasteri vaticani competenti, i quali hanno chiarito che il cammino di correzione delle suore americane avviato da Benedetto XVI prosegue con Papa Francesco, il Pontefice è voluto andare alla radice del problema con tre semplici concetti.
Il primo è quello della vocazione che, anche per le suore, «è sempre una iniziativa di Dio. È Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita consacrata e questo significa compiere continuamente un "esodo" da voi stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul suo Vangelo, sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti». Se non si comprende che una vocazione religiosa consiste nel seguire la volontà di Dio e lo Spirito Santo, non seguire un progetto umano, tutti i problemi saranno impostati in modo sbagliato. Se invece si concepisce la vocazione come docile risposta allo Spirito, allora si comprende anche come «adorazione del Signore e servizio a Lui nei fratelli e nelle sorelle», «adorare e servire [siano] due atteggiamenti che non si possono separare, ma che devono andare sempre insieme».
Questo tenere sempre insieme adorazione e servizio aiuta a seguire i voti nei quali la vocazione si è fatta concreta: obbedienza, povertà, castità. L’obbedienza è «ascolto della volontà di Dio, nella mozione interiore dello Spirito Santo autenticata dalla Chiesa, accettando che l’obbedienza passi anche attraverso le mediazioni umane».
Non avrebbe senso parlare di una generica «obbedienza» a Dio e allo Spirito Santo che ignorasse la «funzione mediatrice» del Magistero, del Papa, dei vescovi.
La povertà - un tema caro a Papa Francesco - non è solo povertà materiale, ma è pure «indicazione a tutta la Chiesa che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, non sono i mezzi umani che lo fanno crescere, ma è primariamente la potenza, la grazia del Signore, che opera attraverso la nostra debolezza».
La povertà non deve diventare un'ideologia. «La povertà teorica non ci serve. La povertà si impara toccando la carne di Cristo povero, negli umili, nei poveri, negli ammalati, nei bambini», ma anche in tutti coloro - non sempre poveri in senso materiale - «che sono nelle periferie esistenziali della vita» e che sono vittima degli «idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita».
Quindi la castità, «carisma prezioso» che non passa di moda e che «mostra come l’affettività ha il suo posto nella libertà matura e diventa un segno del mondo futuro, per far risplendere sempre il primato di Dio. Ma, per favore, una castità "feconda", una castità che genera figli spirituali nella Chiesa. La consacrata è madre, deve essere madre e non "zitella"! Scusatemi se parlo così, ma è importante questa maternità della vita consacrata, questa fecondità!». Una fecondità, ancora, non semplicemente umana ma da vivere pienamente nella Chiesa e con la Chiesa.
Il secondo concetto richiamato da Papa Francesco è l'autorità, intesa come servizio, «che ha il suo vertice luminoso sulla Croce». «Benedetto XVI - ha ricordato Papa Francesco -, con grande sapienza, ha richiamato più volte alla Chiesa che se per l’uomo spesso autorità è sinonimo di possesso, di dominio, di successo, per Dio autorità è sempre sinonimo di servizio, di umiltà, di amore».
Il Pontefice ha denunciato - non è la prima volta - il «danno che arrecano al Popolo di Dio gli uomini e le donne di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che "usano" il popolo, la Chiesa, i fratelli e le sorelle – quelli che dovrebbero servire -, come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali. Ma questi fanno un danno grande alla Chiesa».
Il terzo concetto illustrato dal Papa alle superiori religiose è «l’ecclesialità come una delle dimensioni costitutive della vita consacrata, dimensione che deve essere costantemente ripresa e approfondita nella vita». Non senza un'evidente allusione alle recenti controversie americane, Papa Francesco ha affermato che «non è possibile che una consacrata e un consacrato non "sentano" con la Chiesa». E questo sentire con la Chiesa non può essere solo proclamato a parole: trova «una sua espressione filiale nella fedeltà al Magistero, nella comunione con i Pastori e il Successore di Pietro, Vescovo di Roma, segno visibile dell’unità».
Ci sono suore che talora argomentano cercando di scusare i loro contrasti con la gerarchia in nome dell'urgenza dell'annuncio e della testimonianza della carità. Risponde Papa Francesco che «l'annuncio e la testimonianza del Vangelo, per ogni cristiano, non sono mai un atto isolato. Questo è importante». Un sacerdote, un religioso, una religiosa, un laico impegnato nel l'evangelizzazione «non agisce, come ricordava molto bene Paolo VI [1897-1978] "in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa" (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80).
E proseguiva Paolo VI: è una dicotomia assurda pensare di vivere con Gesù senza la Chiesa, di seguire Gesù al di fuori della Chiesa, di amare Gesù senza amare la Chiesa (cfr ibid., 16)». Gli istituti religiosi, ha detto il Papa alle superiore, vanno guidati e formati sempre «nella sana dottrina della Chiesa, nell’amore alla Chiesa e nello spirito ecclesiale». Un ordine di suore dovrebbe «diventare icona vivente della Madonna e della nostra Santa Madre Chiesa gerarchica», ha concluso Papa Francesco. L'aggettivo «gerarchica» non sembra scelto a caso.