Madre Assunta Marchetti, una vita per la fede degli emigrati
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Cofondatrice delle Scalabriniane, aveva un animo contemplativo. Su richiesta del fratello, padre Giuseppe Marchetti, iniziò la sua opera tra gli orfani come missionaria in Brasile. Vi rimarrà 53 anni, vissuti a estendere il regno di Dio.
«Le Suore di S. Carlo considereranno come loro missione particolare e principale dare tutto l’appoggio e assecondare per quanto possibile e conveniente le opere di zelo intraprese dalla Congregazione dei Missionari di San Carlo, fondata dal servo di Dio mons. Giovanni Battista Scalabrini, col fine di conservare la fede e la religione negli emigranti». Così recitavano le Costituzioni delle Suore di S. Carlo, meglio conosciute come Scalabriniane, approvate nel 1914 dal vescovo di San Paolo, in Brasile.
Una congregazione, quella delle Scalabriniane, che deve tanto a una religiosa di cui oggi ricorre la memoria liturgica: la beata Assunta Marchetti (15 agosto 1871 – 1 luglio 1948). Suor Assunta e il venerabile padre Giuseppe Marchetti (3 ottobre 1869 – 14 dicembre 1896), suo fratello, sono infatti i due cofondatori delle Suore di S. Carlo, avendo contribuito in modo straordinario – ciascuno con i talenti ricevuti – a realizzare l’idea originaria di Scalabrini, chiaramente sempre confrontandosi con il santo fondatore e vescovo di Piacenza. Il quale, dopo aver fondato i Missionari di San Carlo (1887), anelava di completare l’opera con un istituto femminile, convinto del fatto che «vi sono cose nelle migrazioni che solo le donne possono intuire».
Assunta era nata a Lombrici (provincia di Lucca) in una famiglia numerosa (11 figli, lei la prima femmina), povera di mezzi economici, ma con un grande senso del lavoro e del sacrificio e saldamente ancorata alla fede. Già da piccola, aveva il sogno di farsi suora. Ogni mattina, in qualunque stagione, si alzava presto per andare a Messa con la madre. E, dopo la celebrazione, si tratteneva in chiesa per fare compagnia al Signore e ringraziarlo, in particolare per il dono dell’Eucaristia. Ancora fanciulla, pregava per essere illuminata su come fare la volontà di Dio. Sentendosi chiamata alla vita contemplativa, desiderava entrare tra le Carmelitane. Ma la madre, pur non volendola ostacolare, le chiese di attendere ancora un po’ di tempo, perché aveva bisogno dell’aiuto di Assunta per prendersi cura dei figli più piccoli. E la futura beata, per amore della famiglia, acconsentì.
La stessa Assunta non mancava di incoraggiare il fratello Giuseppe, che dal canto suo sentiva fortissima, anche lui già da bambino, la chiamata a farsi sacerdote. Tra i due fratelli ci fu sempre un legame intenso, cementato dall’amore al buon Dio.
Facciamo un salto al marzo 1895. Giuseppe Marchetti è sacerdote da tre anni; e da pochi mesi si trova in Brasile, come missionario esterno dell’istituto religioso fondato da Scalabrini. In quei pochi mesi in Sudamerica, padre Giuseppe ha già dato vita e gettato i semi di una serie incredibile di opere, su tutte l’Orfanotrofio Cristoforo Colombo, che sarebbe stato inaugurato, a tempo di record, entro la fine del 1895. Ma già a marzo di quello stesso anno, appunto, il sacerdote toscano aveva le idee chiare non solo sulla necessità che giungessero suore nella missione ma anche sui passi da seguire: sarebbero state all’inizio delle «dame di carità» e poi, scriveva, «quando avranno dato prova, potranno davvero formare una congregazione. Son troppo necessarie, sento che Gesù le vuole per togliere una piaga nell’immigrazione che i Padri non potrebbero togliere». Del gruppo di pioniere avrebbero fatto parte la madre Carolina (nel frattempo rimasta vedova), la sorella Assunta e altre due giovani.
Ma quando padre Giuseppe tornò in Italia, nell’estate del 1895, trovò titubante Assunta, che ancora aspirava alla vita contemplativa. Ma il fratello sentiva che Dio la chiamava a quella missione. Perciò la condusse davanti a un quadro del Sacro Cuore e le disse: «Laggiù sono solo con tutti quegli orfanelli. Guarda il cuore di Gesù e rispondimi». Dopo essersi raccolta in preghiera davanti a quel quadro, Assunta diede il suo sì.
Giunta in Brasile nel novembre 1895, la beata mostrò – fin dai primi tempi di quell’avventura, durata ben 53 anni – come il fratello avesse visto giusto nel volerla lì. Si legge in una biografia scritta da Barbara Sartori: «Assunta, che era economa della casa, aveva una predilezione per i lavori più umili e faticosi. Considerava un onore – ed esigeva fosse riservato solo a lei – accogliere per prima gli orfani che il fratello portava dalle piantagioni. (…) Denutrizione, parassiti, piaghe ed una profonda tristezza negli occhi: così si presentavano gli orfanelli a suor Assunta. Lei, dolce ed energica come una vera mamma, li lavava, li rasava, con un temperino estraeva gli insetti annidati sotto le unghie. Poi preparava da mangiare e li metteva a letto. Il mattino dopo, nei loro occhi brillava una luce nuova. La luce della speranza».
Alla morte prematura di padre Giuseppe, rimasto vittima a 27 anni di un’epidemia di tifo per la sua carità senza riserve, ricaddero su Assunta sia il peso principale nella gestione concreta dell’orfanotrofio sia il dovere di custodire il carisma di quell’opera avviata dal fratello. In più, rimaneva irrisolta tutta la questione relativa al suo status di religiosa. Qui basti dire che la beata, tra una vicissitudine e l’altra, dovette fare praticamente tre noviziati. E solo l’1 gennaio 1912 poté professare, come Missionaria di San Carlo, i voti perpetui in forma pubblica. Un’attesa lunga 16 anni, vissuta con un’umiltà e un’obbedienza eroiche.
In quello stesso anno, Assunta divenne la Madre Generale delle Scalabriniane, che sotto la sua guida – sia in occasione del primo mandato (1912-1918) che del secondo (1927-1935) – si espansero e consolidarono dentro e fuori San Paolo, passando indenni anche dai tentativi di screditarne l’opera, che dava fastidio a poteri come la Massoneria. Fu sempre per mezzo delle virtù di Madre Assunta e dell’aiuto celeste che la congregazione superò il periodo burrascoso degli anni Venti, quando l’istituto fu a un passo dal dividersi e dal perdere definitivamente la sua identità. «Siamo certi che la nostra Congregazione è opera di Dio, perché non ci sono mancate le croci. Coraggio e confidenza, il buon Dio – scriveva nel 1930 – ci ricompenserà di tutto quanto abbiamo fatto per la gloria di Dio e per la nostra Congregazione».
Lei era sempre sorretta dal suo animo dedito alla contemplazione. Ogni volta che poteva, anche di notte, stava in cappella, per adorare il Santissimo Sacramento. Prediligeva il Rosario, che recitava anche in cammino, tra un’occupazione e l’altra. Suor Teresinha Zambiasi raccontava – avendolo saputo direttamente dai propri genitori, testimoni oculari – che Madre Assunta e altre due consorelle, per avere di che vivere, coltivavano un terreno che era stato loro ceduto dal padre della stessa suor Teresinha. La quale spiegava di essere rimasta impressionata dall’apprendere che le tre suore si dividevano i compiti così: due lavoravano, mentre la terza rimaneva in piedi recitando il Rosario.
Dopo aver sopportato con serena accettazione una malattia alla gamba che la afflisse per 35 anni, Assunta – che nel frattempo era voluta tornare tra i suoi orfani – esalò l’ultimo respiro terreno alle 15.15 di giovedì 1 luglio 1948, giorno del Preziosissimo Sangue di Gesù. «Oggi, in questa casa, è morta la carità», disse in lacrime suor Clarice Baraldini, che oltre mezzo secolo addietro era stata la prima orfana accolta dal fratello della nostra beata.
Scalabrini, il santo che portava i migranti a Cristo
Canonizzato Giovanni Battista Scalabrini, lucidissimo nel capire i bisogni, innanzitutto spirituali, degli emigrati. Si curò di mantenere viva la fede cattolica e l’amor patrio degli italiani all’estero. Tutta la sua visione dell’emigrazione è centrata sulla Provvidenza.