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FRANCIA

Macron piglia tutto, quali lezioni per l'Italia

Macron ha vinto a man bassa nelle elezioni parlamentari francesi, con il suo nuovo movimento En Marche. Ha svuotato il Partito Socialista (da cui proviene), messo in minoranza i Repubblicani, emarginato il Fronte Nazionale. In Italia la sinistra esulta: è la vittoria della classe dirigente tecnocratica. 

Esteri 20_06_2017

Per farsi un’idea chiara del significato delle elezioni legislative dell’altro ieri in Francia, che hanno dato a Macron la maggioranza assoluta dei seggi nell’Assemblea Nazionale (351 su 577), basta riflettere su alcuni pochi dati: il 56% degli elettori non si è recato a votare, e il Front National di Marine Le Pen ha ottenuto solo 8 seggi. Alle recenti elezioni presidenziali Marine Le Pen aveva ottenuto il 21,42  al primo turno (27 aprile) e il 33,94% dei voti al ballottaggio del successivo 7 maggio. E’ evidente che la maggior parte dei francesi ha guardato a queste elezioni come a una scontata ratifica dell’elezione di Macron; e vista la situazione ha ritenuto che astenersi fosse il modo migliore per dire “no” a tale ratifica.  

Ciononostante non è certo di poco rilievo il risultato dei Repubblicani, il partito già di François Fillon, che entra nell’Assemblea con più di cento deputati qualificandosi così come prima forza di opposizione (sempre che poi non scelga di saltare sul carro dei vincitori). La disfatta dei socialisti, passati dai 289 seggi della scorsa legislatura agli 86 ottenuti con queste elezioni, conferma come il nuovo elettorato di Macron sia costituito in larga misura da persone che fino alle scorse elezioni avevano votato socialista.

La Francia e l’Italia si somigliano molto, anche se assai meno di quanto talvolta si dica. Perciò quanto sta accadendo in Francia è per noi di specifico interesse. Svanito a sinistra il marxismo e in grave crisi a destra il post-gollismo (in cui anche il grosso della presenza cattolica si riconosceva), dal profondo della storia della Francia repubblicana sta riemergendo con Macron la cultura liberal-radicale: una cultura politica che, facendo propri tanto temi di “sinistra” quanto temi di “destra”, tende perciò a riempire di sé quasi per intero la scena della vita pubblica, salvo spazi di sfogo lasciati sia a destra che a sinistra ai proverbiali estremisti di opposte tendenze.

A chi legge il francese suggeriamo al riguardo un’interessante intervista allo storico e sociologo Pierre Rosanvallon apparsa il 15 giugno scorso su Le Monde. E’ un’analisi molto acuta di come l’ascesa di Macron stia ridefinendo la linea di demarcazione tra destra e sinistra in Francia; e di come un’élite di alti funzionari dello Stato usciti dalla prestigiosa Ena, la Scuola Nazionale di (alta) Amministrazione, si stia ponendo in Francia come un ceto politico alternativo a quello che siede in Parlamento. Un ceto politico legittimato non dal voto popolare bensì innanzitutto dal prestigio della sua cultura, della sua ottima educazione e della sua filosofia tecnocratica. Macron è uno di loro.

Non sorprende perciò che il nuovo presidente francese e il suo “En Marche!” suscitino l’entusiasmo di chi, in Italia, coltiva il medesimo sogno. Quindi de la Repubblica che di tale progetto è, non da oggi, la principale forza motrice. Non è però affatto scontato che un progetto del genere possa così facilmente riuscire anche da noi. La Francia è un Paese socialmente e politicamente molto più strutturato dell’Italia. A destra, a sinistra, o da qualunque altra parte in Francia, se chi tiene in mano i fili li tira, qualcosa si muove.

In Italia invece può succedere che, tirati i fili, non succeda nulla. Il nostro Macron è già lì bell’e pronto: si chiama Paolo Gentiloni. E’ invece senza alcuna certezza la risposta alla domanda: “Riusciranno i nostri eroi a falciare in due anni sotto i piedi del Pd di Matteo Renzi tutta l’erba elettorale che occorre per mette …en marche Gentiloni e ridurre il Pd alle attuali dimensioni del Ps francese?" Prendendo spunto dal nome del convegno/spettacolo messo in scena nello scorso fine settimana a Bologna da la Repubblica su un modello liberamente ispirato al Meeting di Rimini, diremo che non sarà facile (per fortuna) passare dalla “Repubblica delle Idee” a quella dei fatti.

Avere il fallimento altrui come unica speranza non è tuttavia di grande conforto. In questo quadro occorre piuttosto domandarsi che cosa possono fare coloro che continuano a riconoscersi nella tradizione popolare; coloro insomma che stanno dalla parte del popolo, ovvero del grande e primario soggetto sociale da cui tale progetto innanzitutto prescinde. Questo è il problema sul quale è urgente cominciare a interrogarsi alzando gli occhi da ogni prospettiva di breve periodo, che è già cattiva consigliera quando si è sulla cresta dell’onda, ma che più che mai è una pura e semplice perdita di tempo quando si è ai minimi termini. E questo è oggi il caso dei cattolici in Italia.