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L'Italia ostaggio dei pro-pal

Ma quale sciopero? È stato un atto eversivo a nostre spese

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Venerdì nero per la mobilità, per l’economia e per la tenuta istituzionale. Autostrade e tangenziali bloccate, treni nel caos. Perché occorre tornare al rispetto delle regole.

Attualità 04_10_2025

L’Italia si è svegliata ieri sotto il segno di un nuovo sciopero generale che ha paralizzato il Paese, bloccando treni, metropolitane, trasporti pubblici, scuole, ospedali, uffici pubblici, snodi stradali e aeroportuali. Una protesta proclamata da Cgil e Usb in segno di solidarietà con la popolazione palestinese e in risposta all’attacco dell’esercito israeliano alla missione umanitaria della Global Sumud Flotilla, ma che ha avuto un impatto devastante sulla vita quotidiana di milioni di cittadini.

Si è trattato di un venerdì nero per la mobilità, per l’economia e per la tenuta istituzionale. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha parlato trionfalmente di un successo straordinario, citando oltre due milioni di partecipanti distribuiti in un centinaio di piazze italiane. Ma accanto all’enfasi idealistica delle dichiarazioni sindacali si è fatto sentire il peso concreto di una protesta che ha costretto milioni di persone a rinunciare alla possibilità di andare a lavorare, di raggiungere un ospedale, un parente bisognoso, una scuola, un appuntamento medico, un impegno urgente. Centinaia i voli cancellati, treni fermi per ore, autobus deserti, caos sulle autostrade e le tangenziali bloccate da picchetti improvvisati. Un’interruzione della normalità, una sospensione dei diritti democratici che ha suscitato indignazione e polemiche.

La presidente della Commissione di garanzia sugli scioperi, Paola Bellocchi, ha dichiarato senza mezzi termini che si è trattato di uno sciopero illegittimo, poiché non è stato rispettato il preavviso di dieci giorni previsto dalla normativa vigente. «Quello di oggi non è uno sciopero qualsiasi – ha spiegato ieri – ha un grande impatto emotivo e va trattato con delicatezza, ma la legge è chiara». Bellocchi ha precisato che, seppure il comma 7 dell’articolo 2 della legge sullo sciopero consenta deroghe in casi eccezionali come gravi eventi lesivi dell’incolumità dei lavoratori o per la difesa dell’ordine costituzionale, non siamo in presenza di una situazione che rientri in quelle categorie: «Il legislatore ha previsto due eccezioni: un colpo di Stato, una strage terroristica, un attacco diretto alla Costituzione. Qui parliamo di una questione umanitaria seria, drammatica, ma esterna al rapporto di lavoro e non tale da giustificare l’elusione delle regole». Ha aggiunto che la Global Flotilla è una missione volontaria in una zona di guerra, dunque non assimilabile a un contesto lavorativo nazionale.

Il punto, quindi, non sono le ragioni dello sciopero, bensì le modalità: un’azione messa in campo all’ultimo minuto, che ha colto impreparati milioni di cittadini e migliaia di aziende. A intervenire con durezza è stato il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che non ha nascosto la sua irritazione: «Se oggi chi sciopera illegalmente crea un danno di miliardi di euro al sistema Italia, alle imprese, ai lavoratori, la sanzione deve essere proporzionale al danno. Chi restituisce la giornata di lavoro al milione di italiani che oggi non potranno prendere un treno o un autobus? Lo organizza Landini e lo paghi Landini». Salvini ha spiegato di aver scelto di non precettare i lavoratori «per dare un segnale di dialogo, per abbassare i toni in un momento delicato», ma ha anche avvertito che la pazienza ha un limite: «Da qui a fine anno sono già proclamati altri 44 scioperi. Se oggi la fiducia che come ministro ho dato non verrà rispettata, la prossima volta sapremo come intervenire».

Una tensione altissima che ha evidenziato ancora una volta il nodo irrisolto del rapporto tra diritto allo sciopero e tutela degli altri diritti collettivi e individuali ugualmente meritevoli di tutela. Il tema è particolarmente spinoso quando si ha a che fare con scioperi cosiddetti “selvaggi”, convocati senza un congruo preavviso, spesso di venerdì, con un impatto devastante su tutto il fine settimana. La sensazione diffusa è quella di una protesta che travalica i confini del dissenso legittimo per diventare una forma di violenza istituzionale, una sospensione forzata della vita democratica, una forma di terrorismo morbido, così definita da molti commentatori, che scardina la fiducia nel sistema e piega l’interesse pubblico agli obiettivi politici di pochi.

La paralisi del Paese in nome di una causa – per quanto sentita – non risolve la questione israelo-palestinese, non salva vite, non cambia i rapporti di forza sul piano geopolitico. Resta invece la ferita inferta a milioni di lavoratori, pendolari, studenti, cittadini, che si sono ritrovati ostaggio di una mobilitazione decisa unilateralmente, fuori dalle regole e senza alcuna possibilità di prepararsi. È sempre più difficile giustificare questi scioperi senza regole, soprattutto quando si colpiscono settori essenziali della vita pubblica come la sanità, i trasporti, l’istruzione e l’amministrazione.

L’Italia si ferma ufficialmente per Gaza ma in realtà si ferma per altre finalità di destabilizzazione, si ferma male, senza protezioni, senza alternative, senza alcuna tutela per chi lavora o ha bisogno di cure. È un blocco non simbolico, ma reale, che danneggia soprattutto le fasce più deboli. Il risultato è un Paese diviso, stremato e disorientato, dove il diritto alla protesta rischia di trasformarsi in attentato istituzionale, mentre il diritto alla mobilità, al lavoro, alla salute viene calpestato. Se davvero si vuole che la protesta sia uno strumento di cambiamento e non un atto eversivo, allora occorre tornare al rispetto delle regole, anche nei momenti di maggiore tensione emotiva. Il gesto simbolico perde ogni forza se genera solo rabbia e disservizi. E mentre le piazze si riempiono, tutto il resto del Paese paga le conseguenze di una decisione estrema, immotivata e che costringe l’Italia ad inchinarsi ad un’altra giornata di paralisi annunciata.