APPROFONDIMENTO
Ma l'Italia c'era già nel XIII secolo
Un libro del cardinale Giacomo Biffi mette in risalto come l'identità nazionale preceda di sei secoli l'unità dello Stato.
Attualità
17_03_2011
In occasione della ricorrenza del centocinquantesimo anniversario dell’unificazione italiana varrebbe la pena per tutti noi italiani leggere il pregevole libro del cardinale Giacomo Biffi L’unità d’Italia. Questi ricorda un pensiero di Dostoevskij del lontano 1877:
L’Italia porta con sé da duemila anni un’idea grandiosa, reale, organica: l’idea di una unione generale dei popoli del mondo, che fu di Roma e poi dei papi. E il popolo italiano si sente depositario di un’idea universale e chi non lo sa lo intuisce. La scienza e l’arte italiana sono piene di quella idea grande.
La peculiarità dell’Italia risiede nella sua universalità. Del resto Dante nel VI Canto del Purgatorio laddove in toni polemici si scaglia contro il suo paese con queste parole
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
ricorda poi come la nostra sia la patria sia dell’Impero che del Papato. A parte gli strali scagliati contro la corruzione e la inadeguatezza dei potenti non pochi sono gli entusiasmi del Fiorentino nei confronti della sua terra, «il bel paese dove il sì suona», il bel giardino d’Europa. L’Italia c’è, eccome c’è, già all’epoca di Dante (1265-1321), ma già prima quando nel 1224 san Francesco d’Assisi scriveva quel «Cantico delle creature» che avrebbe poi rappresentato l’inizio della letteratura italiana.
Ne è ben cosciente Solov’ev che nel 1895 scriveva:
Fra tutti i popoli europei il primo che raggiunse un’autocoscienza nazionale fu l’Italia. I creatori dell’autentica grandezza dell’Italia erano senza dubbio veri patrioti e conferivano un valore altissimo alla propria patria[…]. Essi non ritenevano conforme a verità e bellezza affermare se stessi e la propria nazionalità, ma si affermavano direttamente nel vero e nel bello.[…] Le opere d’arte italiane glorificavano l’Italia perché sono pregevoli in se stesse, pregevoli per tutti.
Erede dello spirito della classicità greco-romana, il popolo italiano è diventato sempre più creativo nell’arte, nella letteratura, nelle opere sociali e caritative all’interno di quella grande eredità cristiana a cui si è ispirato durante i secoli. La grandezza dei pittori Cimabue e Giotto, delle tre corone fiorentine Dante, Petrarca, Boccaccio, di Machiavelli, di Guicciardini, di Ariosto e di Tasso, dei pittori Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Leonardo fino ad arrivare a quel Tiepolo che decorerà la residenza imperiale di Wurzburg nel Settecento o agli architetti italiani che contribuiranno in maniera considerevole alla realizzazione di san Pietroburgo ci narra di uno splendore che ha impressionato e influenzato tutto il mondo per secoli dal Duecento fino al Settecento. Italia è sempre stata sinonimo di letteratura, di cultura, di arte, di gastronomia, di musica sinfonica e operistica.
Napoleone può ben rubare i capolavori d’arte italiana nel 1796. Ma, come scrive Foscolo ne "I sepolcri", gli stranieri ci possono depredare di tutto, ma non della «memoria». Questa è quella che contraddistingue l’anima di un popolo, la sua tradizione, la sua cultura. Noi italiani siamo i depositari di questa memoria, siamo orgogliosi di questa memoria. Solo in questa memoria possono risiedere la creatività e la giovinezza di un popolo come ricorda Cesare Pavese ne "Il mestiere di vivere":
Quando un popolo non ha più senso vitale del suo passato si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori anche noi, quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia.
Il popolo italiano esisteva già prima che si facesse l’unità d’Italia. Il 17 marzo 1861 si è realizzata l’unità statuale dell’Italia, non certo quella nazionale. La nazione esisteva già. Aveva torto il D’Azeglio quando sosteneva che una volta fatta l’Italia si dovessero fare gli italiani, a meno che non intendesse che gli italiani dovessero essere modellati e plasmati secondo i valori piemontesi che poco avevano a che fare con la millenaria cultura italiana.
Che cosa univa l’Italia in un unico popolo? Proprio quella fede e quella cultura cattolica che il neonato Regno d’Italia cercava in un certo modo di sradicare con provvedimenti spesso violenti.
Il Risorgimento ha senz’altro avuto come merito quello di portare l’indipendenza e l’unità all’Italia, valori che non possono essere messi in discussione. Col cardinale Biffi, ci chiediamo, però, come possa lo stato servire meglio la nazione, dato già preesistente. L’auspicio è che questo anniversario sia l’occasione per una riflessione seria sulla nostra tradizione e sulla grandezza di una cultura che è stata prolifica finché è stata radicata nella propria storia.