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DELIRIO ANTIRAZZISTA

Ma le uova non fanno male se colpiscono le Sentinelle

La vicenda dell'atleta azzurra di origine nigeriana Daisy Osakue, colpita al volto da un uovo lanciato da balordi, è da scuola di giornalismo. Benché fosse evidente da subito che non c'era motivo razziale, si è scatenato un can can incredibile. Neanche un fiato invece quando ad essere sistematicamente colpite da uova erano le Sentinelle in piedi.

Libertà religiosa 02_08_2018
Dopo l'aggressione alle Sentinelle in Piedi

Non tutte le uova vengono per nuocere. O di certo non tutte si guadagnano l’apertura dei tiggì, o migliaia di condivisioni sui social network, o ancora fiumi di inchiostro come quelli versati per la vicenda che ha visto Daisy Osakue, atleta azzurra under 23 di lancio del disco, colpita da un lancio di uova da un’auto in corsa nella notte del 29 luglio mentre rientrava nella sua casa di Moncalieri. Il tiratore forse non era scelto, ma aveva senz’altro una discreta mira perché ha colpito la ragazza in pieno volto, provocandole una lesione all’occhio sinistro che per qualche ora ha fatto temere che l'atleta, torinese di origine nigeriana, potesse non partecipare ai prossimi europei di atletica.

Le agenzie di stampa hanno divulgato la notizia lunedì mattina, scrivendo che gli inquirenti avevano subito escluso il movente razziale del gesto, ma la notizia viene immediatamente connotata grazie al post di Enrico “mitraglietta” Mentana, che per primo scrive su Facebook: «Salvini, Di Maio, ma come si fa a dire che non c'è un aumento allarmante di episodi di intolleranza nei confronti dei neri in questo paese?». Condisce la sua uscita con un tocco da lord inglese: l’hashtag #merde.

Come di fronte a un ordine di scuderia, poco dopo tutti i principali siti di informazione sono pronti a rilanciare. Ansa, Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, Espresso, Tg Rai, Sky, Mediaset all’unisono aprono con questa notizia titolando, in diverse declinazioni, sull’«allarme razzismo». Richiamati dalla parola d’ordine, sui social network sono apparsi uno dopo l’altro i paladini del politicamente corretto. In pole position l’ex "presidenta" della Camera, Laura Boldrini: «Mentre Salvini – quello che dovrebbe garantire la sicurezza nel nostro Paese – era impegnato a twittare slogan mussoliniani, ieri un’atleta italiana veniva aggredita da un branco di vigliacchi». Subito dopo il segretario fantasma del Pd, Maurizio Martina: «Chi nega la spirale razzista che sta crescendo nel nostro Paese, se ne rende complice #bastarazzismo»; e poi Cecile Kyenge, indimenticato ministro per l’integrazione del Governo Letta: «#DaisyOsakue, ennesima vittima di violenza razzista. Non arrendiamoci a questo clima d'odio: siamo in tanti, facciamo sentire la nostra voce: #bastarazzismo!».

Non poteva mancare Matteo Renzi, secondo cui Daisy Osakue è stata nientepopodimeno che «selvaggiamente picchiata da schifosi razzisti» e che ha aggiunto: «Gli attacchi contro persone di diverso colore della pelle sono una emergenza. Ormai è un'evidenza, che nessuno può negare, specie se siede al Governo». Il premio delirio del giorno comunque è andato a Rula Jebreal, giornalista e scrittrice palestinese naturalizzata italiana, che sempre ai social network ha affidato la sua acuta riflessione: «Daisy Osakue è stata attaccata e colpita da un gruppo di neo-nazisti in Italia. Le minacce stanno diventando sempre più micidiali per quelli tra noi che non sono considerati 'razzialmente puri' dal governo italiano». Ci mancavano solo gli hacker russi e poi avremmo avuto il quadro completo.

E dire che non ci voleva un’indagine del Fbi per capire che il razzismo non c’entrava nulla con questa vicenda. Bastava Google per apprendere che nelle ultime settimane a Moncalieri sono piovute uova da un’auto in corsa anche addosso ad un pensionato della zona e a un gruppo di donne ferme a chiacchierare fuori da un ristorante. Non è importante. Se ad essere danneggiati sono dei bianchi il lancio di uova smette di essere un fatto grave.

Non ci pare di ricordare titoloni o tweet indignati quando il lancio di uova era tra gli sport preferiti dei contestatori delle Sentinelle in Piedi,  insieme a spintoni e pugni che sono volati nelle piazze di Bologna, Rovereto, Genova, Torino ecc. D’altra parte si sa, meglio un uovo oggi che una Sentinella domani, per il resto la realtà non conta, quel che conta è spingere al massimo sull’allarme del momento e l’allarme del momento – realtà o non realtà – deve essere il razzismo. 

Che poi pensandoci, si tratta di un’emergenza del tutto nuova, nel nostro Paese: i razzisti devono essere arrivati in Italia tutti insieme, negli ultimi mesi, di certo non c’erano durante il Governo Gentiloni, men che meno durante il governo Renzi; l’allarme è scattato tutto ad un tratto, un po’ come avvenuto per le cosiddette fake news: le bugie infatti hanno iniziato ad essere un problema solo dal novembre del 2016, casualmente in concomitanza con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, prima non c’era nessun pericolo di notizie false, menzogne o manipolazioni dell’informazione. Tutti fedeli alla nuda verità. E che dire dell’emergenza omofobia, qualcuno se la ricorda? È scattata nel nostro Paese sul finire della primavera del 2013 quando si sono sprecati titoli, articoli e servizi televisivi, tutti a gridare  «allarme omofobia», casualmente proprio nel momento in cui veniva presentato l’omonimo testo di legge firmato dal piddino Ivan Scalfarotto. Ma non c’erano omofobi in Italia prima del 2013?

Non c’erano i razzisti in Italia prima di Matteo Salvini vicepremier? O divulgatori di fake news prima di Donald Trump alla Casa Bianca? Mistero. Ci resta l’hashtgag del giorno dopo, l’immancabile #siamotuttiDaisy, sulla scia del #jesuischarlie. In effetti rischiamo tutti di essere un po’ Daisy Osakue, ci piovono addosso notizie già cucinate come fossero uova sode, scansarle e provare ad andare a fondo è faticoso ed è più  facile accodarsi al mainstream: «L’Italia è un Paese razzista», «ce lo chiede l’Europa», e soprattutto il grido di battaglia Lgbt «love is love». O a questo punto dovremmo dire «l’ov is l’ov».