Lupi elevati a bandiera, l'appello disperato dei pastori
“Ci uccidete per imporre la vostra civiltà di plastica. Ci uccidete con ipocrisia, camuffando il genocidio con il pretesto di quella natura che state distruggendo e del lupo elevato a bandiera”. E' l'appello dei pastori delle Alpi piemontesi, rappresentati da Anna Arneodo. Punta il dito contro il mito del "povero lupo", difeso dagli ecologisti che ignorano i pastori e la loro sicurezza. Il lupo è però ancora un pericolo, per ora solo per gli animali, ma, se dovesse crescere numericamente, anche per l'uomo.
“Ci uccidete per imporre la vostra civiltà di plastica. Ci uccidete con ipocrisia, camuffando il genocidio con il pretesto di quella natura che state distruggendo e del lupo elevato a bandiera”: pubblicato lo scorso 28 febbraio sul sito www.ruralpini.it, l’accorato messaggio di protesta che inizia con queste parole ha raggiunto in quattro giorni oltre 28 mila contatti, e raccolto più di 7600 condivisioni su Facebook. A scrivere è una donna che vive in montagna e della montagna, Anna Arneodo. Dopo studi all’università di Torino, Anna Arneodo ha scelto di rimanere nel villaggio nelle valli provenzali della provincia di Cuneo dove era cresciuta. Qui, madre di famiglia, pastora e animatrice della cultura trilingue del luogo, dove il provenzale, l’italiano e il francese s’intrecciano nella vita di ogni giorno, vede il suo lavoro di allevatrice di ovini reso sempre più difficile non dalla realtà delle cose ma dai luoghi comuni imposti dall’ideologia “verde”.
Quanto mai importante non solo per quanto produce direttamente ma anche per il suo ruolo di presidio e di tutela del territorio, la pastorizia viene ora messa alla corde anche dalla pretesa di dare di nuovo campo libero al lupo e all’orso. Alzando la voce anche a nome di tanti altri abitanti, allevatori e pastori di montagna, Arneodo punta il dito contro il mito del “povero lupo”. Cita al riguardo La Stampa di mercoledì 1 febbraio che ha dedicato al lupo un’intera pagina senza “una parola sui pastori, su chi vive e mantiene viva la montagna. Chi scrive, chi protesta, chi difende il lupo e le teorie ecologiste sta in città, ha lo stipendio assicurato, tanto tempo libero per farsi sentire, magari è anche vegano per sentirsi la coscienza pulita”. Non c’è spazio né attenzione alcuna invece per “Noi pastori, allevatori, gente di montagna che siamo quassù a presidiare il territorio (…) diamo perfino fastidio, siamo pietra di inciampo (…)”.
“Vivi ormai quassù ogni giorno con una malinconia”, conclude la pastora, con “una inquietudine dentro che ti spegne ogni entusiasmo, ogni voglia di combattere. Ci state massacrando. È un nuovo genocidio della montagna, fatto senza sporcarsi le mani. Ultima bandiera il lupo”. Ben più sensibile infatti ai numerosi e influenti “verdi” di città che ai pochi pastori e contadini di montagna, il potere politico avalla il mito del lupo remissivo e dell’orso bonaccione, caro a quelle masse urbane che dei grandi carnivori sanno solo quanto hanno appreso dai cartoni animati, dalle storie di Lupo Alberto e dell’orso Yoghi. Un mito infantile cui ora si sovrappone anche quello neo-pagano del lupo come totem della dea Natura.
Siamo di fronte a più di una generazione che in proposito resta anche da adulta nel mondo delle favole; e senza nemmeno accorgersi che, quantomeno nelle favole più antiche, resta traccia evidente della memoria del lupo antropofago. La pastorizia è ormai sotto tiro, ma già ci sono rischi pure per l’uomo in quanto tale. E’ vero che da molto tempo non si registrano più uccisioni di esseri umani da parte di lupi e di orsi nell’Europa occidentale (non però nell’Est europeo, in Russia e in Nordamerica). Ciò tuttavia non dimostra affatto che questi due grandi carnivori siano divenuti dei miti ruminanti. E’ solo una conseguenza del loro attuale scarso numero. Se tale numero aumenta oltre una certa soglia, e quindi si giunge alla loro prossimità con l’uomo, non solo l’aggressione di animali domestici ma anche quella di esseri umani, bambini innanzitutto, diventa inevitabile.
Negli archivi storici europei si trova documentazione di migliaia di casi del genere fino a tutto il secolo XIX. Fra i secoli XV e XIX sono circa 440 nel solo segmento del bacino del Po compreso tra Vercelli a nordovest e Mantova a sudest. Tra il 1801 e il 1825 sono documentati in Italia 112 attacchi di lupi all’uomo con 72 morti di cui 69 bambini Al di là di tutte le interpretazioni psicanalitiche che oggi ci si può permettere il lusso di dare, la favola di Cappuccetto Rosso rievoca, seppur favolisticamente, un rischio concreto. Oggi a questo rischio se ne potrebbe aggiungere pure un altro, tenuto conto della capacità del lupo di avvertire a distanza l’odore del sangue: quello di persone ferite per incidente stradale in attesa di soccorso in luoghi isolati. L’eco suscitata dal messaggio di protesta di Anna Arneodo è una novità positiva, ma è importante che diventi sempre più forte, e non resti isolato.