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LETTERA SULLA PEDOFILIA

L'ultima "enciclica" di Benedetto XVI

Si presenta come un piccolo contributo al tema della pedofilia nella Chiesa, ma la lettera che il papa emerito Benedetto XVI ha reso pubblica ieri tocca molti punti nevralgici e suona come un’umile offerta di soccorso ai pastori della Chiesa per evitare il naufragio totale, ormai prossimo. Richiama al vero male che porta come conseguenza tutti gli altri: l'allontanarsi da Dio. E risponde ai Dubia riconfermando l'esistenza di atti intrinsecamente malvagi, denuncia la banalizzazione della Comunione, richiama al dovere di proteggere la fede anche nei processi penali.
- COSA DICE LA LETTERA DI BENEDETTO XVI, di Nico Spuntoni
- LA STRADA È SEGNATA, di Riccardo Cascioli

Ecclesia 12_04_2019
Il papa emerito Benedetto XVI

Li chiama “appunti con i quali fornire qualche indicazione che potesse essere di aiuto in questo momento difficile”, con riferimento al problema della pedofilia, ma in realtà ci troviamo di fronte a quella che potrebbe essere considerata l’ultima “enciclica” di Benedetto XVI, una straordinaria diagnosi della “grande calamità” con cui “è stata colpita la vergine, figlia del mio popolo”, una radicale terapia per guarire la sua “ferita mortale” (cf. Ger. 14, 17).

C’è tutto Benedetto in questo scritto: tutti i temi a lui cari si ritrovano qui intrecciati per dare al lettore una visione d’insieme che gli permetta di affrontare la presente tempesta su un’imbarcazione sicura. È dunque una mano tesa a noi cristiani sballottati da venti tumultuosi e sempre in pericolo di essere travolti dalla mareggiata; ma è anche e principalmente un’umile offerta di soccorso ai pastori della Chiesa, in primis papa Francesco, per evitare il naufragio totale, ormai prossimo.

Il cuore pulsante di tutta la riflessione è racchiuso nella terza parte, dopo due sezioni dedicate a ripercorrere il collasso della società e della teologia morale e le sue ripercussioni sulla formazione sacerdotale: “La forza del male nasce dal nostro rifiuto dell’amore a Dio”. Come già affermava Sant’Ireneo di Lione, “la comunione con Dio è la vita, la luce e il godimento dei suoi beni. Ma su quanti si separano da lui per loro libera decisione fa cadere la separazione scelta da loro”. Se allontaniamo da noi la vita, la luce, la purezza, il bene, perché sorprenderci se a poco a poco la morte ci serra la gola, le tenebre ci avvolgono, la sporcizia morale ci imbratta ed il male ci soffoca? È un tema tanto caro a Benedetto XVI, che ne aveva parlato anni fa con Peter Seewald in questi termini: “Chi si allontana da Dio, chi si allontana dal bene, sperimenta la sua collera. Chi si pone al di fuori dell'amore, sprofonda nel negativo. Non è quindi un colpo inferto da un dittatore assetato di potere, ma è soltanto l'espressione della logica intrinseca a un'azione. Se io mi pongo al di fuori di ciò che è conforme alla mia idea di creazione, al di fuori dell'amore che mi sorregge, allora precipito nel vuoto, nelle tenebre”.

Quando le cose precipitano, nel mondo e nella Chiesa, è il segno evidente che ci siamo allontanati da Dio, che abbiamo invitato Dio ad accomodarsi nella sala d’attesa di un mondo che si vanta del proprio laicismo e di una Chiesa che fa sfoggio di essere ormai adulta ed emancipata. È solo in questa prospettiva che si può comprendere tutta la serietà di un’affermazione che i soloni dei nostri salotti mediatici saranno pronti a bollare come riduttiva e semplicistica: “Come ha potuto la pedofilia raggiungere una dimensione del genere? In ultima analisi il motivo sta nell’assenza di Dio. Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che non sembra avere utilità pratica”.

Ecco perché pensare di uscire da questa crisi agitandosi per costruire una Chiesa fatta da noi, una Chiesa dall’orizzonte solo sociale e politico “non può rappresentare alcuna speranza” ed è “in verità una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivo”. Ed ecco perché Benedetto XVI punta tutto su quella che ormai è conosciuta come “opzione Benedetto”: “Creare spazi di vita per la fede”, ispirandosi al catecumenato antico come “spazio di esistenza nel quale quel che era specifico e nuovo del modo di vivere cristiano veniva insegnato ed anche salvaguardato rispetto al modo di vivere comune”. Bisogna ripartire da qui, “iniziare di nuovo da noi stessi a vivere di Dio [...] cambia tutto se Dio non lo si presuppone, ma lo si antepone. Se non lo si lascia in qualche modo sullo sfondo ma lo si riconosce come centro del nostro pensare, parlare e agire”.

Si comprende allora come mai Benedetto XVI denuncia con dolore un atteggiamento “largamente dominante” nei confronti dell’Eucaristia, “un modo di trattare con Lui che distrugge la grandezza del mistero”; il riferimento è particolarmente alla banalizzazione della Comunione, che ormai viene data a tutti, come gesto di cortesia per la loro presenza.

Ed è ancora questo mettere da parte di Dio che permette di comprendere il crollo della vita e della teologia morale. Benedetto XVI lega la verità, da lui ribadita ben tre volte, dell’esistenza di “azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvagie” al primato di Dio: “Ci sono valori che non è mai lecito sacrificare in nome di un valore ancora più alto e che stanno al di sopra anche della conservazione della vita fisica. Dio è di più anche della sopravvivenza fisica. Una vita che fosse acquistata a prezzo del rinnegamento di Dio, una vita basata su un’ultima menzogna, è una non-vita. Il martirio è una categoria fondamentale dell’esistenza cristiana. Che esso in fondo, nella teoria sostenuta da Böckle e da molti altri, non sia più moralmente necessario, mostra che qui ne va dell’essenza stessa del cristianesimo”.

Bisognerà tornare e ritornare sui contenuti di questo intervento di Benedetto XVI; qui si è voluta dare solo una chiave di lettura. Penso che intanto sia di fondamentale importanza tirare almeno tre conseguenze.

La prima. L’affermazione concreta del primato di Dio, di Gesù Cristo, nella vita dei singoli, delle società e della Chiesa è l’unica soluzione per uscire realmente dalla crisi epocale che stiamo vivendo. A questo primato è legato tutti il resto: la vita morale, la professione della retta fede, la vita liturgica, l’azione apostolica. Il punto è che, se è vero che tutte queste dimensioni dell’essere cristiano, vengono adulterate quando non sono più centrate in Dio, è altrettanto vero che il primato di Dio non si realizza altrimenti nella vita cristiana che in tutte queste sue dimensioni. Esse dunque simul stabunt, simul cadent. Questo scritto è un grande appello all’unità delle forze sane presenti nella Chiesa e nel mondo: agire perché si riconosca il primato di Dio sulla vita umana, lavorare perché nelle nostre liturgie Dio torni ad essere il centro, insegnare la retta dottrina ai piccoli e ai grandi, tutto questo concorre al bene delle anime e al risanamento della Chiesa. Perdersi dietro a considerazioni su chi sia il più grande (cf. Lc. 22, 24), su cosa sia più importante, etc., finisce per fiaccare l’energia del corpo mistico.

Seconda. La Chiesa è la Sposa di Cristo ed è Cristo che la conduce, la purifica, la salva. E l’essenza profonda della Chiesa è quella di aprirsi alla vita e alla salvezza che proviene dal suo Sposo. Quando c’è una crisi nella vita della Chiesa, è perché si è confidato in qualche idolo “opera delle mani dell’uomo” (Sal. 115, 4), si è andati dietro a “mariti adulteri” da cui ci siamo lasciati sedurre. Dunque, per favore, meno piani pastorali, e più vita della grazia.

Infine, quando si leggono e si meditano interventi di questo tipo, non è possibile non provare un po’ di timore. Non ci si deve nascondere: se si legge bene il testo, si capisce che Benedetto XVI ha risposto con chiarezza ai famosi dubia dei quattro Cardinali e ha respinto l’idea che certe circostanze possano mutare l’intrinseca malvagità di un atto; ha preso posizione sulla concessione dell’Eucaristia ai divorziati-risposati e ai protestanti; ha chiaramente messo il dito nella piaga del “pastoralismo” in voga; si è pronunciato sull’esclusività del garantismo nel diritto penale, a discapito della protezione della fede. Ha fatto capire con chiarezza che stiamo finendo nel baratro.

Forse che sia l’ultimo richiamo dal Cielo per dare una vera svolta a questa “stagione ecclesiale”? Lo si ascolterà? O forse, come si sta già facendo per il pontificato di Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI, si continuerà a fare finta che essi siano ormai superati?

“Io inviai a voi tutti i miei servitori, i profeti, con premura e sempre; eppure essi non li ascoltarono e non prestarono orecchio. Resero dura la loro nuca, divennero peggiori dei loro padri [...] Questo è il popolo che non ascolta la voce del Signore suo Dio né accetta la correzione. La fedeltà è sparita, è stata bandita dalla loro bocca” (Ger. 7, 25-26.28). Per capire cosa accade a chi non ascolta gli estremi appelli di Dio, andate a leggere il capitolo 8 di Geremia. Noi non abbiamo il coraggio di riportarlo.