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CENTRALISMO

L'Ue sanziona Polonia e Ungheria, mossa da pregiudizi contro l'Est

Il Parlamento europeo chiede di sanzionare la Polonia, per la sua riforma sulla giustizia. Anche l'Ungheria è stata punita, per le sue presunte violazioni dei valori comuni dell'Ue. L'atteggiamento punitivo contro due Paesi che si schierano in difesa delle loro identità nazionali e cristiane è molto rivelatore dell'ideologia europeista. 

Esteri 30_01_2020
Viktor Orban (Ungheria) incontra Sebastian Kurz (Austria)

“L'UE deve stabilire richieste chiare e indicare scadenze certe per la Polonia e l'Ungheria in merito allo stato di diritto e alla possibile violazione della indipendenza giudiziaria”, così hanno deciso i deputati del Parlamento Europeo votando il 16 gennaio una Risoluzione sul rispetto dell’articolo 7 del trattato dell'Ue. Nei mesi scorsi la Commissione europea ha avviato la procedura di sanzioni ai sensi dell'articolo 7 contro la Polonia per la sua gestione del sistema giudiziario nel 2017, mentre il Parlamento europeo ha avviato la stessa procedura contro il governo di Budapest per infrazione delle norme e dei valori dell'Ue nel 2018.

Secondo la risoluzione, il Parlamento “esprime rammarico per il fatto che le audizioni (con i rappresentanti dei rispettivi Governi) non hanno ancora portato a progressi significativi da parte dei due Stati membri in questione, in merito a rimediare a chiari rischi di una grave violazione dei valori ”. La risoluzione chiede inoltre alla Commissione Europea di considerare "l'uso di tutti gli strumenti leciti del caso per difendere i trattati" nonché di parametrare i finanziamenti dell'Ue alla valutazione dello stato di diritto in un determinato paese. Una vecchia richiesta fatta dal precedente Commissario alla Giustizia Timmermans a cui, pare, anche il nuovo Commissario Didier Reynders si è adeguato.

La situazione è figlia di un chiarissimo pregiudizio verso Polonia e Ungheria, Paesi che si ostinano a difendere i valori e le radici cristiane e, insieme, sono il ‘motore’ del Gruppo di Visegrad e delle tante coalizione di Paesi Ue ed extra Ue che chiedono un puntuale rispetto dei diritti nazionali e del principio di sussidiarietà. Cos’è l'articolo 7? E’ un meccanismo del trattato di Lisbona che garantisce che "tutti i paesi dell'Ue rispettino i valori comuni dell'Ue". Era concepito come un modo per mitigare e impedire agli Stati membri di retrocedere dai valori europei. Sebbene la misura sia entrata in vigore col trattato di Amsterdam del 1999, non era mai stata attivata sino al 2017. Nel dicembre 2017, la Commissione europea ha avviato la procedura di violazione dell'articolo 7 contro la Polonia per le controverse riforme giudiziarie, successivamente il Parlamento europeo ha votato per l'avvio del procedimento sanzionatorio contro l'Ungheria. Quando può essere attivato l'articolo 7? Quando esiste "un chiaro rischio" che uno Stato membro dell'Ue violi i valori fondamentali che includono: "dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e rispetto dei diritti umani, compresi i diritti di persone appartenenti a minoranze". Come funziona l'articolo 7? La procedura si sviluppa in due fasi.

Prima Fase: una proposta di attivazione dell'articolo 7 può essere avanzata dal Parlamento europeo, dalla Commissione europea o da un terzo degli Stati membri. A questo punto, la maggioranza dei quattro quinti degli Stati membri in seno al Consiglio dell'Ue deve quindi decidere con votazione che lo Stato in questione viola chiaramente i valori dell'Ue e adottare la proposta. Una volta presa la decisione da parte di 22 membri su 27 del Consiglio Europeo, La medesima proposta deve anche essere sostenuta dal Parlamento europeo.

Seconda Fase: a questo punto il Consiglio deve dare un ‘avvertimento formale e presentare raccomandazioni’ per le riforme necessarie al paese in questione. Una volta ricevuta la formale risposta da parte del Paese, gli Stati membri devono decidere all'unanimità di avviare sanzioni e sospendere i diritti di voto di quel paese.

Sul piano politico sono chiare le ragioni dell’accanimento verso Polonia e Ungheria, già riemerse con ferocia durante la selezione ed audizione dei Commissari Europei lo scorso anno, ma altrettanto chiaro che sia i 4 Paesi di Visegrad, sia altri Paesi europei, sono in grado di avere una ‘minoranza di blocco’ sufficiente per impedire il voto favorevole dei 4/5 necessari alla prima fase del procedimento e, comunque, impedire la unanimità, a conclusione della seconda fase. La Polonia ha tenuto diverse audizioni nei consigli degli affari generali negli ultimi due anni, mentre l'Ungheria è stata invitata a fornire proprie relazioni e audizioni solo negli scorsi mesi, sotto la guida della Presidenza finlandese. I deputati europei vorrebbero essere invitati alle audizioni ed incontri tra il Consiglio, la Commissione e i rappresentanti di Polonia ed Ungheria, ma sinora la richiesta è sempre stata rifiutata.

In breve sintesi, alla Polonia si imputa una riforma della giustizia che minerebbe l’indipendenza dei magistrati. Il governo polacco ha sempre risposto che le proprie riforme sono simili a quelle francesi e di altri Paesi europei, riforme necessarie anche perché dall’era comunista nessuna riforma della giustizia è stata introdotta nell’ordinamento ed, infine, che le minacce nei suoi confronti rappresentano un tentativo ingiustificato di influenzare gli affari interni di uno stato membro. In Ungheria, dopo le feroci polemiche sulle riforme costituzionali del 2012-2013, ora si mette in discussione la legislazione del Governo sui mass media, sulla trasparenza dei finanziamenti esteri alle Ong (volontariato) approvate dal 2017 in poi e quelle misure che hanno portato al trasferimento della Università Europea (CEU) di Soros.

Il voto sulla Risoluzione contro Polonia e Ungheria non è una sorpresa, 446 a favore, 178 contrari e 41 astensioni, ciò che ha stupito e rischia di avere gravi conseguenze, è che la stragrande maggioranza dei Popolari Europei abbia votato a favore, perché ciò potrebbe anticipare l’espulsione di Fidesz dal PPE e, di conseguenza, la nascita di una nuova famiglia politica e gruppo parlamentare europeo più fortemente ispirato ai valori democratico cristiani e promosso dagli ungheresi. Dopotutto, non si può immaginare che paesi e governi con forti riferimenti cristiani possano impunemente subire insulti e accuse, spesso stravaganti, da famiglie politiche e leaders della vecchia Europa, senza reagire. Solo per memoria, due anni orsono Guy Verhofstadt, allora leader dei Liberali europei e oggi Presidente della Convenzione del futuro dell’Unione, aveva definito  i "valori nazionalisti" della Polonia e dell'Ungheria come "razzisti" perche cercavano di  proteggere le proprie tradizioni e violavano "libertà, democrazia e stato di diritto".

La gatta frettolosa fece i gattini ciechi. Infatti, l’abuso di accuse verso Polonia ed Ungheria sta dimostrando quanto in realtà essi, ed in generale i Paesi europei orientali, siano divenuti i ‘capri espiatori’ della vecchia Europa, ormai incapace persino di una minima obiettività di giudizio. Lo ha dimostrato a chiare lettere, in un articolo sul The Guardian dei giorni scorsi ,  Agata Gostyńska-Jakubowska, ricercatrice del prestigioso Centro per le rifome Europee di Bruxelles. (Né il The Guardian, né il Centro per le riforme Euoropee, hanno mai avuto simpatie per i nazionalisti e sovranisti).

Ebbene, si deve prendere atto che il "doppio standard" è ormai divenuto il metro di giudizio ordinario in Europa, quantomeno quando si deve valutare i Paesi orientali o governati da maggioranze sovraniste. Il problema non sarebbe solo in Polonia e Ungheria. “Il declino nel rispetto dello stato di diritto è… una questione a livello dell'UE e ha il potenziale per minare il funzionamento dell'intero blocco. L'indice annuale sullo stato di diritto del World Justice Project e gli indicatori di governance della Banca Mondiale mostrano un deterioramento in altri Paesi dell'Ue, tra cui Bulgaria, Francia, Italia e Grecia. In Grecia, la condanna del capo statistico del Paese per la condivisione di dati economici con l'Ue secondo cui le statistiche contraddittorie precedentemente utilizzate dal Paese per indurre in errore i creditori internazionali ha gettato un'ombra sul sistema giudiziario. In Italia, i procedimenti giudiziari richiedono più tempo che in qualsiasi altra parte d'Europa, e molti criminali sfuggono alla punizione a causa dello statuto delle limitazioni… Le autorità francesi hanno risposto agli attacchi terroristici con leggi che conferiscono loro ampi poteri di sorveglianza con poca supervisione giudiziaria, minacciando i diritti fondamentali delle persone. L'indipendenza dei media, fondamentale per tenere conto dei governi, è sempre più sotto pressione in moltissimi Paesi. Giornalisti investigativi sono stati assassinati a Malta e in Slovacchia rispettivamente nel 2017 e nel 2018, provocando crisi politiche in entrambi i paesi.

L'Ue dovrebbe adottare un approccio più strutturato per affrontare il cosiddetto insuccesso democratico. Dovrebbe iniziare migliorando i suoi metodi di monitoraggio e intervento precoce” . Lo stato di diritto non può essere una questione Est-Ovest: “tutti gli Stati membri dovrebbero essere trattati allo stesso modo rigorosamente”. Attenzione dunque a scagliare le pietre contro Ungheria e Polonia, il confronto politico aspro e duro non divenga clava giudiziaria o sanzionatoria, valga per tutti il saggio avvertimento, ‘chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere’.