L'Ue impedisce un'agricoltura libera. Ora impone la rotazione
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Niente nuovi incentivi europei per l'agricoltura se non si obbedisce alle nuove regole che impongono la rotazione delle colture. Questa tecnica può dare dei vantaggi, ma per il Sud Italia, ad esempio, comporta anche molte difficoltà. Ennesimo esempio di dirigismo.
Secondo la notizia diffusa da Confagricoltura e riportata dal Corriere della Sera del 23 ottobre l’Unione Europea limiterà le coltivazioni di mais e grano duro, di cui l’Italia è oggi pesantemente deficitaria in quanto importa dall’estero circa il 50% del fabbisogno nazionale. Limiterà nel senso che se non si effettuerà la rotazione delle colture non si adempirà alla condizionalità rafforzata, principio cardine della Politica Agricola Comune (PAC) per il periodo 2023-2027 e dunque non si potrà usufruire degli incentivi comunitari di cui gli agricoltori godono.
Per rotazione delle colture si intende la variazione, da un ciclo produttivo all'altro, della specie agraria coltivata su un dato appezzamento (come esempi possiamo citare la rotazione biennale mais – soia o la quinquennale barbabietola, fumento, erba medica, erba medica, frumento). Al contrario la successione ininterrotta di una coltura a se stessa è detta monosuccesione e in Italia la si trova spesso praticata per mais, grano duro e riso. Per quest’ultimo la condizionalità rafforzata non impone tuttavia di effettuare una rotazione in quanto trattasi di una coltura spesso praticata su terreni che non hanno concrete alternative alla monosuccessione.
Occorre a questo punto sottolineare che le rotazioni presentano significativi vantaggi in quanto contribuiscono a conservare la fertilità dei suoli aumentando i livelli di sostanza organica ed evitando al contempo l’accumulo nel campo dei propaguli di parassiti (insetti, nematodi, ecc.), patogeni (funghi, batteri, ecc.) e malerbe. Le rotazioni presentano tuttavia anche significativi svantaggi ed in particolare il fatto che non consentono ogni anno di disporre del prodotto nei quantitativi attesi (ad esempio la granella di grano duro per l’azienda cerealicola o il trinciato di mais per quella zootecnica) o il fatto che alternare colture diverse impone parchi macchine più complessi (i macchinari necessari per una coltura non sono gli stessi necessari per un’altra) con aumento dei costi. Per questo l’agricoltore nello scegliere in piena libertà se effettuare o meno una rotazione ha sempre posto sul piatto della bilancia i vantaggi e gli svantaggi di cui sopra, giungendo a soluzioni che variano ovviamente da un’azienda all’altra. Peraltro qualora gli svantaggi superino i vantaggi l’imprenditore può sempre sospendere la monosuccessione e ripristinare temporaneamente la rotazione.
Il regime di incentivi in atto e il vincolo delle rotazioni
La nostra agricoltura gode di un regime di incentivi (grossomodo 200 Euro per ettaro di superficie coltivata, il che si traduce in 10mila Euro per un’azienda di 50 ettari). Tali incentivi nascono da un lato per garantire la sostenibilità economica delle nostre colture e dunque la sicurezza degli approvvigionamenti dell’Unione Europea e dall’altro per ripagare l’agricoltore del fatto che l’Unione lo ha privato di innovazioni tecnologiche (gli Ogm in primis) di cui i suoi colleghi di altre parti del mondo dispongono da tempo e che si traducono in riduzione dei costi di produzione e maggiore salubrità dei prodotti agricoli. Gli incentivi sono da anni subordinati al fatto che l’agricoltore attui misure favorevoli all’ambiente, per cui l’agricoltore che intenda usufruire degli incentivi deve fare domanda presso gli uffici pagatori, che erogano i fondi dopo aver verificato la coerenza di quanto indicato nella domanda con i vincoli imposti dalla condizionalità rafforzata.
Occorre qui ricordare che molti agricoltori quando le normative di condizionalità rafforzata si affacciarono all’orizzonte pensavano che per rotazione si potesse intendere anche l’alternanza fra una coltura di mais o frumento e una coltura da sovescio, che non viene cioè raccolta ma interrata alla scopo di accrescere al fertilità. Tale interpretazione è stata però di recente smentita dal Masaf con una circolare in cui si chiarisce che la coltura in rotazione dev’essere una coltura che permanga in campo almeno 90 giorni e che venga poi regolarmente raccolta.
Nel caso specifico del mais, specie estiva irrigua caratteristica del Nord Italia, tipiche colture da porre in rotazione per garantire un raccolto di mais ogni anno potrebbero ad esempio essere la loiessa (graminacea foraggera a uso zootecnico che si semina in autunno e per la quale si effettua uno sfalcio a inizio maggio, dopo di che la si interra e si semina il mais) oppure il pisello da industria (semina a febbraio, raccolto a maggio e semina del mais) o ancora cereali vernini (frumento, orzo o triticale) da granella (semina a ottobre, raccolta a giugno e semina del mais) o da trinciato raccolti a maturazione cerosa (20 giorni prima rispetto a quelli da granella) o infine orzo da foraggio (raccolta alla spigatura a fine aprile). Tali ipotesi sono tutte fattibili su piano tecnico ma l’imprenditore agricolo deve verificare se esse reggano sul piano economico nel proprio specifico contesto aziendale.
Nel caso poi del grano duro coltivato al Sud la strada si fa ancora più in salita in quanto la mancanza di acqua irrigua tipica del suo areale di elezione (tavoliere delle Puglie, Sicilia interna, ecc.) impedisce di praticare dopo di esso una seconda coltura che risulti redditizia.
Quali conseguenze?
In un mondo ideale occorrerebbe ad avviso di chi scrive lasciare all’imprenditore agricolo la libertà di scelta circa l’opportunità di effettuare una rotazione o una monosuccessione. La Ue e il Masaf stanno invece imponendo una sorta di sovietizzazione dell’agricoltura, nella quale l’imprenditore viene messo sotto tutela e obbligato ad assumere decisioni che non di rado violano i requisiti di sostenibilità economica, facendogli andare i bilanci in rosso e disincentivandolo così dal proseguire con la propria attività.
Va però anche ricordato che i sussidi Ue sono tutto sommato contenuti (come dicevamo si parla di 200 Euro per ettaro all'anno) il che potrebbe indurre gli agricoltori a farne a meno riprendendosi la propria libertà imprenditoriale. In sostanza vedremo se questa ennesima decisione dirigistica sarà la goccia che farà traboccare il vaso.