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liturgia

L'ottava di Pentecoste, un tesoro da restituire ai fedeli

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Da più parti si reclama il ritorno dell'ottava di Pentecoste, falciata dalla riforma liturgica. Oggi accade solo a Natale e Pasqua, ma in passato molte feste si prolungavano... all'infinito, perché otto giorni è il numero dell'eternità.

Ecclesia 12_06_2025 Español

Nella tradizione liturgica, le ottave hanno occupato un posto di grande rilievo. Ogni solennità, ed in seguito anche altre feste importanti, hanno avuto la loro ottava. Per sette giorni consecutivi a quello della festa, la liturgia continua a cantarne il mistero, a riproporne la grazia particolare sotto il velo dei segni. Mistero e grazia che, per così dire, si dilatano e permettono ai fedeli di poterli penetrare e lasciarsi da essi penetrare.

Ma perché otto giorni e non sette o nove? Perché l’otto è il numero dell’eternità. Sette sono i giorni della creazione, che segnano la realtà del tempo; il tempo però è direzionato verso il giorno unico dell’eternità (l’ottavo appunto), ed è già raggiunto da esso. L’ottavo giorno, quello definitivo, che non tramonterà mai e non conoscerà alcuna vicissitudine, alcun prima o poi, è il giorno della vita nuova, già incipiente nel tempo del sette, ma non ancora pienamente rivelata e vissuta. L’ottavo giorno è quello della Risurrezione di Cristo, che l’evangelista Giovanni (cf. Gv 20, 19) indica come il primo giorno dopo il sabato (che è appunto il settimo giorno), il giorno in cui l’umanità del Figlio di Dio entra nella dimensione dell’eterno e dà origine ad una nuova creazione, alla stirpe dell’umanità rinnovata, di cui egli è capo e noi membra. Per questo gli antichi battisteri erano ottagonali: il battesimo è il sacramento della vita nuova, precisamente perché ci innesta nel Cristo risorto. Ancora, otto sono le beatitudini (cf. Mt 5, 1-12), che indicano la vita nuova del cristiano e legano profondamente la vita di quaggiù, segnata dalla povertà, dall’afflizione, dalla persecuzione, al premio eterno, che già iniziano a gustare coloro che rinunciano ad ogni cosa e soprattutto a se stessi, per entrare nella vita di Cristo.

Neppure si può negare la grande rilevanza pedagogica delle ottave. La conoscenza dell’uomo non è caratterizzata dalla pura intellezione, come quella angelica, ma è raziocinio, processo, penetrazione progressiva. Così pure in generale la sua vita è segnata dalla ripetizione, che meglio favorisce l’apprendimento. Il “prolungamento” delle feste liturgiche nelle loro ottave permette dunque all’uomo di meglio immergersi in esse, di gustarle più a lungo, di estendere il tono particolare di quella festa nel tempo, impedendo così alla festa liturgica di “fuggire via”. Il tempo profano risulta così più fortemente compenetrato e ritmato dal tempo liturgico.

Già purtroppo ampiamente “sfoltite” in precedenza, con l’ultima riforma liturgica del Rito romano sono ormai rimaste le sole ottave di Pasqua e di Natale. Tra le ottave maggiori colpisce l’abolizione dell’ottava di Pentecoste, che pure risale agli inizi dell’VIII secolo, come quella di Natale. La motivazione fu quella di ripristinare i cinquanta giorni del tempo pasquale, le sette settimane, che con l’inserzione dell’ottava di Pentecoste erano diventate otto; la Pentecoste, si diceva inoltre, doveva chiudere il tempo di Pasqua: non sembrava aver senso che una domenica di chiusura del settenario delle settimane desse origine ad un’ottava.

Le due obiezioni appaiono però piuttosto fragili e poco condivisibili. Anzitutto perché la “matematica liturgica” non ha gli stessi criteri dell’aritmetica, perché dal punto di vista liturgico l’ottava forma in realtà un unico giorno “dilatato”. Per il secondo aspetto si deve rilevare che la solennità di Pentecoste non è una semplice chiusura di un tempo, ma una festa liturgica con connotati propri che la distinguono sia dalla Pasqua che dall’Ascensione (la quale aveva a sua volta un’ottava, sebbene di grado inferiore).

Venne avanzata anche la motivazione che, con l’abolizione dell’ottava, le Tempora d’estate sarebbero state svincolate da un presunto innaturale legame con la Pentecoste. La realtà mostra però che le Quattro Tempora sono praticamente svanite dal calendario liturgico. L’argomento poi non tiene conto che il legame con l’estate, ed in particolare con la mietitura del grano, era già saldo nella Pentecoste ebraica. La festa di Shavuot era infatti anche chiamata “festa della mietitura” o “festa delle primizie”, perché si portavano al Tempio di Gerusalemme i Bikkurim (primizie) di frumento, fichi, orzo, uva, olive, melagrane e datteri.

E così, per decisione di un gruppo di liturgisti, la Chiesa ha perduto un tesoro inestimabile, conservato ormai solo nel Rito romano antico. In ogni giorno dell’Ottava, la liturgia della Messa dopo la lettura, prevede il bellissimo canto dell’Allelúja, con il versetto Veni, Sancte Spíritus, reple tuórum corda fidélium, et tui amóris in eis ignem accénde – Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore. Il versetto viene cantato in ginocchio ed è immediatamente seguito dalla Sequenza Veni, Sancte Spíritus.

Particolare enfasi viene data all’ora terza, che corrisponde all’ora in cui lo Spirito Santo si effuse sugli Apostoli congregati nel cenacolo, secondo quanto riferito dal discorso che l’Apostolo Pietro, a nome degli Undici, rivolse a quanti erano presenti a Gerusalemme per la festa ebraica di Pentecoste: «Uomini di Giudea, e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme, vi sia ben noto questo e fate attenzione alle mie parole. Questi uomini non sono ubriachi come voi sospettate, essendo appena le nove del mattino. Accade invece quello che predisse il profeta Gioele: Negli ultimi giorni, dice il Signore, Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona» (At 2, 14-17). L’inno Nunc, Sancte, nobis Spíritus viene dunque sostituito dal Veni, Creátor Spíritus, cantato anche a Vespro. Il risultato di queste disposizioni è che durante i giorni dell’ottava dalla Chiesa si eleva un’incessante invocazione allo Spirito divino perché scenda in essa, penetri il cuore dei suoi fedeli, illumini, risani, purifichi, fortifichi.

Ormai, dopo oltre cinquant’anni dalla riforma liturgica voluta da Paolo VI, da sempre più parti nella Chiesa si fa insistente la richiesta del ripristino dell’ottava di Pentecoste. In un tempo in cui tutto appare secolarizzato, persino la vita della Chiesa, il sensus fidei fidelium, stanco che gli venga offerta dell’acqua stantia e salmastra di vasi screpolati, esprime la sua sete dell’acqua viva che sgorga dal Signore Gesù, il suo Spirito «che è Signore e dà la vita».



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