L'ossessione per l'uguaglianza che livella tutti nella miseria
Paradossalmente, proprio a partire dalla caduta del muro di Berlino, il concetto di giustizia in Occidente è cambiato in senso marxiano. Dalla lotta alla povertà si è passati soprattutto alla lotta alla disuguaglianza. Come se i poveri fossero poveri perché i ricchi sono ricchi. In realtà c'è ben poca correlazione fra i tassi di povertà e la disuguaglianza. E, nei casi concreti, si è visto che ridurre le disuguaglianze economiche non equivale a ridurre la povertà. Semmai si ottiene la riduzione delle risorse utilizzabili in una società, rendendo tutti un po' più poveri di prima.
A un certo punto della storia recente, all’incirca a partire dalla caduta del muro di Berlino, il concetto di giustizia in Occidente si è trasformato da “a ciascuno il suo”, basato sul rispetto della proprietà privata e del merito, ad “a ciascuno secondo il bisogno”, che suona cristiano ma in realtà era lo slogan di Lenin e di cristiano ha solo, appunto, il suono. Cristo disse quasi esattamente l’opposto di Lenin, quando concluse la parabola dei talenti con “a chiunque ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (Mt 25,29), ma tant’è. Da diverso tempo i politici, le Ong e i guru del pensiero unico politicamente corretto, nonché ormai anche tanti della sponda opposta, di pensiero conservatore o libertario, dichiarano di impegnarsi non per combattere la povertà ma per ridurre le diseguaglianze, come se i poveri fossero poveri semplicemente perché i ricchi sono ricchi.
In realtà c’è ben poca correlazione fra i tassi di povertà e la diseguaglianza. Nella pratica dei fatti si è visto che ridurre le disuguaglianze economiche non equivale a ridurre la povertà. Anzi. Dal 2008 la recessione negli Usa e nel mondo ha ridotto le disuguaglianze, riducendo la ricchezza in mano ai ricchi ma non certo migliorando le condizioni dei poveri. La perdita di potere d’acquisto da parte dei benestanti non migliora ipso facto le condizioni dei poveri, semplicemente drena le risorse utilizzabili in una società.
La superstar della pubblicistica in tema di diseguaglianze è il francese François Piketty, il cui “Capital in the Twenty First Century” (2014) è il bestseller del settore. Peccato però che non si sia molto diffusa la notizia che il tema centrale della sua opera, l’affermazione secondo cui le diseguaglianze patrimoniali starebbero tornando a livelli di prima della prima Guerra mondiale, risulta minato da formule errate ed errori di trascrizione dalle fonti originali. Non lo dico io ma il Financial Times, secondo cui alcuni dati di Piketty risultano scelti arbitrariamente o costruiti senza una fonte originale al fine di far tornare il risultato voluto, mentre una volta ripuliti i dati e semplificati, i numeri europei dopo il 1970 non dimostrano alcuna tendenza verso l’incremento della disuguaglianza patrimoniale.
Il fatto però è che è comunque sbagliato utilizzare l’uguaglianza come misura del benessere economico. Infatti se da una parte non esiste un travaso automatico dalle tasche dei poveri a quelle dei ricchi, dall’altra le opportunità dei cittadini sono collegate fra loro ed è il lavoratore a rimetterci se un imprenditore manca dei mezzi per pagare gli stipendi, o se non investe nelle start-up, oppure se non trova compratori per le merci offerte. Se al privato che produce si sostituisce lo Stato con le sue burocrazie, i mezzi li preleverà dalle medesime forze produttive, ma aggiungendoci i propri costi e depurandoli del necessario per pagare stipendi e costi vari.
L’idea marxiana che i profitti di uno comportino necessariamente delle perdite da parte di un altro corrisponde a una visione ottocentesca dell’economia a somma zero, radicata nella società agraria pre-industriale. Di conseguenza la richiesta politica è sempre quella di interventi per aumentare le tasse sui ricchi (la famigerata nebulosa del “1 %”), al fine di spendere di più sulla scuola, dare più poteri negoziali ai lavoratori ed essere meno tolleranti delle fusioni fra multinazionali. Ma l’economia non è di dimensioni fisse, in cui l’unica variabile è la distribuzione. Grazie alla creatività dell’essere umano, l’intera torta può crescere, mettendo a disposizione di tutti una quantità maggiore di risorse… a patto di lasciare un’effettiva libertà d’impresa, il sistema economico giudicato migliore nell’enciclica sociale Centesimus Annus.
Concentrarsi sulle diseguaglianze anziché sulla povertà, insistendo, come fa ogni anno il conglomerato di Ong denominato Oxfam, che eliminare le disuguaglianze è condizione imprescindibile per agire sulla povertà, attribuisce la responsabilità di ridurle a un’autorità centrale, lo Stato, coltivando quindi nella società l’abitudine all’obbedienza passiva, assieme al sentimento massimamente divisivo dell’invidia (S. Gregg, L’invidia in un’era di disuguaglianza, Acton Institute 2014), oscurando così, come notava l’economista cattolico Michael Novak, l’importanza delle scelte effettuate dai poveri stessi, quali principalmente: la scelta di seguire e portare a termine un corso di studi, la scelta di mantenere rapporti familiari stabili, la scelta di lavorare stabilmente evitando di darsi a “consolazioni” che portano a dipendenze. La stessa lezione si ricava da uno studio condotto nel 2018 nel Regno Unito (J. Cribb, A. Hood, R. Joyce, A. Norris Keiller, Living standards, poverty and inequality, IFS, July 2017) che certifica che nelle regioni britanniche più povere si sono constatate disuguaglianze ridotte, mentre nelle regioni dove i poveri stanno meglio ci sono anche più diseguaglianze.
Fine prima parte