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WORLD HUMANITARIAN SUMMIT

L'Onu vuole introdurre l'aborto "umanitario"

Assieme all’idea di imporre una “tassa globale per l’aborto”, l'Onu vuole introdurre l'aborto all'interno del diritto umanitario internazionale. Il documento sarà presentato al prossimo World Humanitarian Summit di Istanbul. L'Ong C-Fam denuncia: è una distorsione delle leggi di guerra in senso abortista.

Vita e bioetica 22_04_2016
Contraccezione, rapporto Guttmacher Institute e Unfpa

Assieme all’idea di imporre una “tassa globale per l’aborto” camuffata sotto altro nome e con imposte che potrebbero colpire perfino i biglietti aerei, l’Onu sta lavorando a un documento che introduca l’aborto all’interno del diritto umanitario internazionale, cioè quell’insieme di norme sulla protezione delle vittime di guerra. Secondo quanto rivela C-Fam, una Ong impegnata da anni nel contrasto delle politiche abortiste, le Nazioni Unite proporranno il documento al World Humanitarian Summit che si terrà a Istanbul a maggio: l’obiettivo è una dichiarazione che abbia portata generale e bypassi così la volontà (e la sovranità) di quegli Stati che hanno legislazioni a difesa della vita nascente. 

L’Onu sta preparando il terreno da mesi, agevolata anche dal Parlamento europeo, che a dicembre ha votato una risoluzione che sollecita “un impegno globale per assicurare alle donne pieno accesso a tutti i servizi sulla salute sessuale e riproduttiva, incluso l’aborto sicuro, in crisi umanitarie, come richiesto dalle Convenzioni di Ginevra e dai loro Protocolli addizionali”. In realtà, come spiega Susan Yoshihara della C-Fam, la risoluzione di Strasburgo si basa su un assunto falso perché “né nelle Convenzioni di Ginevra né nei Protocolli addizionali si parla mai di aborto”. Nell’affermare che le prime vittime di questo attacco al diritto internazionale sono i bambini, la Yoshihara sottolinea pure i problemi a cascata che si avrebbero sull’intero piano degli interventi umanitari: “Una distorsione delle leggi di guerra in senso abortista avrebbe conseguenze inimmaginabili per i gruppi che danno aiuto umanitario nelle aree segnate da conflitti. Dal momento che in molte di queste aree l’aborto è illegale e culturalmente inaccettabile, anche il solo sospetto di fornire servizi abortivi potrebbe mettere a serio rischio la vita dei cooperanti internazionali”. 

Eppure, alcuni Paesi occidentali stanno mostrando una sempre maggiore aggressività sul tema, tanto che in una riunione di fine marzo i governi di Danimarca, Francia e Svezia hanno abbandonato l’eufemismo “diritti sessuali e riproduttivi” (usato per decenni per assuefare gradualmente la società) e definito l’aborto “una condizione essenziale”: non a caso, moderatore della riunione è stato Tewodros Melesse, direttore generale dell’International Planned Parenthood, un’organizzazione che gestisce centinaia di cliniche abortive in tutto il mondo, fattura oltre un miliardo di dollari nei soli Stati Uniti ed è scesa in campo proprio con l’Onu per tentare di allargare le maglie dell’aborto in Sudamerica, usando il pretesto del virus Zika. Nel frattempo, la Camera dei Lord britannica si è spinta addirittura a criticare una norma degli Usa, l’emendamento Helms, che vieta di finanziare aborti a livello internazionale (ma i candidati democratici Hillary Clinton e Bernie Sanders hanno già promesso che in caso di elezione l’abrogheranno).  

Un altro fatto di questi giorni conferma poi che cosa intendano veramente al Palazzo di Vetro quando parlano di sviluppo sostenibile. Con buona pace della trasparenza, il segretario generale Ban Ki-moon si è rifiutato di produrre il consueto rapporto che da quasi 20 anni specifica i finanziamenti ricevuti in materia di salute riproduttiva e ha invitato ad adottare una metodologia più “integrata”, suggerendo di prendere come modello l’ultimo report del Guttmacher Institute e dell’Unfpa (il Fondo Onu sulla popolazione). Perché proprio quello? Perché in quel report, sintetizzato da un’immagine che non lascia spazio a dubbi (rilanciata l’anno scorso su Twitter, paradossalmente prima della festa della mamma), si suggerisce che ogni dollaro investito in campagne contraccettive fa risparmiare 47 centesimi in assistenza alla maternità e cure da Hiv (alimentando anche il falso mito che l’Aids si combatta con la contraccezione). La grande idea dell’Onu per rendere più felice il pianeta è insomma non troppo originale: si chiama controllo delle nascite e vuole convincerci che il miglior modo per proteggere i bambini sia non farli nascere.