L'Onu si inventa la "tassa" sul razzismo per l'Occidente
L'Alto Commissario per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, presenta un Rapporto in cui si denuncia il razzismo sistemico di Europa e America, figlio di secoli di colonialismo e tratta degli schiavi. E chiede che sia pagato un congruo risarcimento agli africani. È la riproposizione dell'agenda bocciata alla Conferenza di Durban del 2001.
Il 28 giugno l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Michelle Bachelet ha lanciato un appello urgente agli stati affinché si impegnino a sradicare il razzismo sistemico e istituzionale. Lo ha fatto in occasione della pubblicazione di un rapporto, presentato durante la 47esima sessione del Consiglio per i diritti umani, che contiene una rassegna dettagliata delle violazioni dei diritti economici, sociali, culturali, civili e politici inflitte agli africani e alle persone di origine africana in diversi paesi e giurisdizioni. “La situazione attuale è insostenibile – ha dichiarato l’Alto Commissario – il razzismo sistemico richiede una risposta sistemica. C’è bisogno di un approccio integrale, non frammentario per demolire dei sistemi radicatisi in secoli di discriminazione e violenza. Faccio appello a tutti gli stati affinché smettano di negare e incomincino a eliminare il razzismo, mettano fine all’impunità e creino fiducia, ascoltino le voci delle persone di origine africana, si confrontino con le eredità del passato e risarciscano i danni”.
Nel rapporto si dice che intenzione dell’iniziativa è dare seguito e attuazione alla “Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e altre forme correlate d’intolleranza”, svoltasi a Durban nel 2001 e di cui ricorre il ventennale.
È un bene che lo abbiano precisato, così si spiega l’altrimenti incomprensibile taglio dato al rapporto. La Conferenza di Durban, per chi non lo ricordasse, era stata annunciata come un evento mondiale contro il razzismo, una svolta storica, ma in realtà è stata l’occasione di un attacco a tutto campo contro l’Occidente. Nel testo proposto al voto dell’Assemblea generale, elaborato dalla Commissione ONU per i diritti umani in collaborazione con le Organizzazioni Non Governative che avevano accettato di partecipare ai lavori preliminari e di organizzare un forum parallelo, gli Stati occidentali, e in particolare i membri del G7, venivano accusati di essere “plasmati da secoli di razzismo”, causa e al tempo stesso effetto dello schiavismo e dell’imperialismo coloniale.
Si voleva quindi che i paesi denunciati riconoscessero formalmente di essersi macchiati di crimini contro l’umanità, esprimessero il loro rincrescimento, porgessero scuse ufficiali per i danni materiali e morali arrecati e ammettessero di dover risarcire sia i discendenti degli africani vittime della tratta atlantica degli schiavi sia i paesi africani danneggiati dallo schiavismo e dalla colonizzazione europei. Inoltre si equiparava il sionismo a una “forma di razzismo” e Israele era accusato di politiche razziali discriminatorie nei confronti dei palestinesi.
Vista la situazione, la delegazione Usa e quella israeliana abbandonarono il summit, al quale peraltro avevano inviato una delegazione di basso profilo avendo capito dalla lettura dei documenti preliminari le vere intenzioni degli organizzatori. Che i diritti umani non fossero l’oggetto della Conferenza lo aveva chiarito ad esempio il fatto che la Commissione nazionale indiana per i diritti umani e le organizzazioni non governative indiane di ispirazione cristiana avessero chiesto invano, per mesi, che il sistema delle caste fosse incluso nelle forme di discriminazione da condannare nell’ambito della Conferenza.
Sotto la minaccia anche dei paesi dell’Unione Europea di lasciare Durban, alla fine il testo è stato emendato nelle parti che contenevano le ammissioni di colpevolezza, le richieste di scuse e l’impegno di risarcire, richiesti ai paesi occidentali, che adesso il rapporto dell’Alto commissario per i diritti umani ripropone.
Bachelet infatti si rivolge a “tutti gli stati”, ma nel suo rapporto si parla praticamente solo di paesi occidentali, denunciati e incriminati a ogni pagina, mentre nelle 95 pagine del testo sono nominati solo una volta la Cina, dicendo che nell’ambito dei provvedimenti contro la pandemia in alcune parti del paese si sono verificati comportamenti xenofobi contro degli Africani; l’India, citata per comportamenti ostili nei confronti di Africani e persone di origine africana; l’Egitto, per dire che nel 2015 vi sono state registrate discriminazioni e stigma contro membri della comunità nera e degli stranieri sub-sahariani; la Mauritania, dove nel 2016 gli Haratini e gli afro-mauritani costituivano la maggioranza delle persone che non erano riuscite ad avere una carta d’identità (senza dire che la Mauritania è un paese islamico, che gli Haratini e gli afro-mauritani erano schiavi e che la schiavitù è stata abolita nel 1981, ma è tuttora praticata).
Ripetutamente, in modo addirittura ossessivo, il testo ritorna sulla “troppo a lungo trascurata necessità”, per estirpare il razzismo negli Stati Uniti e nei paesi europei, “di fare i conti con le eredità dello schiavismo, della tratta transatlantica degli schiavi e del colonialismo”.
Tutto il mondo ha praticato lo schiavismo, che in certi paesi non è neanche un “lascito”, ma la realtà attuale. L’Africa ha vissuto tre colonizzazioni: quella delle popolazioni di lingua bantu, poi quella arabo-islamica e, ultima, quella europea, ma nel rapporto solo quest’ultima è presa in considerazione come lascito di cui liberarsi per fare giustizia. Della tratta arabo-islamica, che ha portato via dall’Africa altrettanti schiavi, e più ancora, di quella transatlantica, non si dice una parola. I termini “musulmano”, “islam”, non compaiono mai in tutto il rapporto.