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DIPLOMAZIA SANITARIA

L'Oms vara un'inchiesta sulle origini del Covid senza nominare la Cina

Con una risoluzione quasi unanime all’Assemblea mondiale della sanità, ieri 122 Paesi, fra cui la Cina, hanno votato una risoluzione che promuove un’inchiesta indipendente sulle origini del coronavirus. Dopo essersi opposta per tutto il tempo a un'indagine internazionale e aver imposto sanzioni economiche all'Australia che la chiedeva, la Cina ha accettato una risoluzione molto più morbida, mediata dall'Ue, dandosi tempo e modo per mostrare al mondo quel che vuole.
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Esteri 20_05_2020
Ghebreyesus (direttore Oms)

Con una risoluzione quasi unanime all’Assemblea mondiale della sanità, ieri 122 Paesi, fra cui la Cina, hanno votato una risoluzione che promuove un’inchiesta indipendente sulle origini del coronavirus. Le opposizioni ad un’inchiesta di questo genere sono state molto forti. L’epidemia di Covid-19 è partita da Wuhan, ma la Cina non lo ammette, per tutelare la sua immagine. Per questo Pechino non voleva un’inchiesta indipendente sul suo operato. L’approvazione da parte della stessa Repubblica Popolare è giunta solo dopo un lungo lavoro di mediazione, che ha portato all’approvazione di un testo molto ammorbidito che, molto probabilmente, non ci permetterà di conoscere tutta la verità.

«L’origine del virus è un serio problema scientifico e dovrebbe essere maneggiato da scienziati ed esperti, invece che politicizzato», aveva detto nei giorni scorsi al South China Morning Post il portavoce del ministro degli Esteri cinese, Geng Shuang. La Cina ritiene di essere al centro di una teoria della cospirazione, promossa dagli Usa. Quel che finora sappiamo del coronavirus, però, confermerebbe le accuse statunitensi, almeno su alcuni punti fondamentali: l’epidemia è iniziata a Wuhan, il regime cinese ha taciuto sulla sua diffusione per un minimo di sei giorni e un massimo di tre settimane, pur conoscendo la gravità della situazione. Questo ritardo ha causato l’enorme diffusione dell’epidemia di Covid-19 in tutto il mondo. E questa, una volta accertata, è una responsabilità oggettiva del regime comunista cinese. Meno supportata da prove è l’altra accusa lanciata dagli Usa, secondo cui il virus sarebbe sfuggito da un laboratorio di Wuhan. Ma un’inchiesta indipendente internazionale dovrebbe servire proprio ad accertare anche questa origine o escluderla del tutto.

Le responsabilità cinesi sono emerse anche dal dossier di intelligence dei Five Eyes, i cinque paesi anglosassoni (Usa, Canada, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda), nel quale si sottolinea anche lo sforzo compiuto dal regime di Pechino nel distruggere e nascondere prove sull’origine del coronavirus. La risoluzione è nata soprattutto su insistenza del governo conservatore australiano, in particolar modo del suo ministro degli Esteri, Marise Payne. L’Australia si è unita da subito alla protesta degli Stati Uniti. E ha pagato caro il suo impegno, a causa delle dure rappresaglie economiche cinesi. A fine aprile, Pechino ha minacciato di imporre dazi (tariffe dell’80%, dunque di fatto è un embargo) sui prodotti di importazione australiana come vino, orzo e carne di manzo. Il 12 maggio la Cina ha sospeso le importazioni da quattro grandi produttori e trasformatori di carne australiani. Il 18 maggio, la Cina ha imposto i dazi previsti sull’orzo australiano, avviando una guerra commerciale. Per ora si tratta solo di una guerra unilaterale perché il governo australiano ha annunciato che non intende rispondere con contro-sanzioni. Ma migliaia di posti di lavoro, nel Paese oceanico, sono già a rischio.

L’Australia è riuscita a promuovere l’iniziativa, ma non a mettere la Cina sul banco degli imputati. Infatti, la prima bozza nominava esplicitamente la Cina e la responsabilità del suo governo nelle prime fasi dell’epidemia, ma il testo è stato ammorbidito soprattutto dopo un passaggio diplomatico con l’Unione Europea, che ha l’evidente interesse di mantenere buoni rapporti con il regime comunista asiatico. Alla fine la versione definitiva della bozza di risoluzione è prodotto di una mediazione dell’Unione Europea e ha ottenuto il sostegno (non scontato) anche della Russia. Nel suo testo non viene mai menzionata la Cina. La settimana scorsa l’ambasciatore cinese a Londra, Liu Xiaoming, ha fatto capire che Pechino avrebbe dato luce verde all’inchiesta internazionale, fermo restando che fosse l’Oms a guidarla.

Ebbene, secondo la risoluzione passata ieri, si chiede semplicemente di fare tutti gli approfondimenti necessari per una «migliore comprensione delle circostanze che hanno permesso a questa pandemia di svilupparsi». È implicito che si parli anche di Cina. Ma Pechino ha un ampio margine di manovra per evitare ogni accusa. Il presidente Xi Jinping ha inoltre chiesto che ogni indagine sia rinviata a dopo che la pandemia sarà terminata. Tutto il tempo necessario, insomma, per preparare il terreno.

La risposta ufficiale degli Usa alla risoluzione che istituisce l’inchiesta è positiva: “garantirà una comprensione completa e trasparente dell’origine del virus, della sequenza temporale degli eventi e del processo decisionale che ha portato alla risposta dell’OMS alla pandemia di COVID-19”. Ma nei due giorni di dibattito, il presidente Donald Trump ha mostrato tutta la sua insofferenza nei confronti dell’Oms, accusandola esplicitamente di essere “un burattino nelle mani della Cina”. Salvo contrordini, i fondi degli Usa all’Oms saranno ridotti a 40 milioni di dollari, un decimo rispetto agli anni precedenti. Se l'Oms «non si impegna su sostanziali miglioramenti nei prossimi trenta giorni, renderò definitiva la mia decisione temporanea di sospendere i finanziamenti Usa all'Organizzazione mondiale della sanità e riconsidererò la nostra adesione all'Oms».