Lo svilimento del matrimonio nella dottrina di Lutero
Lutero riteneva che il matrimonio fosse l’unica forma di vita voluta da Dio e che non fosse un sacramento. In particolare negava che esso sia segno dell’unione indissolubile Cristo-Chiesa. Il suo pensiero in breve impoverisce la vocazione matrimoniale.
Nel contesto di un ecumenismo segnato da un incomprensibile senso di colpa dei cattolici su tutti i fronti, che spinge sempre di più al disprezzo autolesionistico di ciò che è proprio e al pressoché acritico apprezzamento di quanto caratterizza le altre confessioni cristiane, abbiamo di recente assistito all’entusiasta elogio della prospettiva di Martin Lutero sul matrimonio. In sostanza, il teologo di Wittenberg avrebbe il grande merito di aver difeso l’indissolubilità dell’amore di per sé, a prescindere dalla dimensione sacramentale, che, com’è noto, Lutero non attribuiva al matrimonio cristiano. Grandiosa enfasi che permetterebbe di constatare come, relativamente al matrimonio, sia più quello che unisce luterani e cattolici, che non quello che li divide. Leitmotiv, quest’ultimo, incautamente riproposto da certo ecumenismo, che non tiene conto però del punto di partenza.
Spieghiamo: se confrontiamo la concezione luterana dell’amore tra un uomo e una donna e quella del Don Giovanni di turno, di certo l’insegnamento cattolico risulta più prossimo alla prima che non alla seconda. Ma – e questo è il punto – non si può dimenticare che Lutero fu monaco e teologo cattolico; la sua dottrina venne costruita pertanto sulla base di una esplicita e ostinata rimozione degli elementi propri dell’insegnamento della Chiesa. E, sotto questo punto di vista, il viveur abituale non è poi così in svantaggio rispetto all’ex monaco agostiniano.
Se si pone mente a come Lutero abbia maturato la propria dottrina sul matrimonio, non si può fare a meno di rilevare le due coordinate fondamentali del suo pensiero, sorte sul terreno della sua vita personale: primo, il matrimonio è l’unica forma di vita voluta da Dio, in diretta e dichiarata opposizione alla vita monastica e verginale; secondo, il matrimonio non è un sacramento. Per completare il quadro, occorre tenere presente che, nella prospettiva luterana di una natura irrimediabilmente corrotta, anche l’atto coniugale non è mai esente dal peccato; peccato che però Dio non imputa all’uomo, dal momento che è necessario per la società umana.
La notte di Pasqua del 1523, un gruppo di dodici monache era fuggito dal proprio convento di Nimbschen in direzione del monastero di Wittenberg, ormai vuoto di monaci e dimora di Lutero, per decisione del Principe di Sassonia. Una di queste ex monache non lascerà mai più la residenza, perché si unirà in matrimonio con Lutero. A dire il vero, a Katharina von Bora (1499-1552) erano stati proposti altri pretendenti, che ella aveva però rifiutato. Alla fine divenne la promessa sposa del leader della rivoluzione protestante, di lei più vecchio di 16 anni. Non è ancora chiaro quale ragione decisiva abbia spinto Lutero al matrimonio. Secondo alcuni, egli avrebbe ceduto alle continue sollecitazioni che gli provenivano dalla cerchia degli amici, i quali gli rimproveravano di predicare a favore del matrimonio del clero, ma di non dare il buon esempio; altri ritengono decisiva la pesante e snervante lotta che Lutero avvertiva per cercare di vivere la continenza; infine, non è da sottovalutare la convinzione, in lui sempre più presente, che Dio abbia destinato tutti gli uomini al matrimonio. In effetti, in una lettera del marzo 1525, circa tre mesi prima della sua unione con Katharina von Bora, Lutero poteva scrivere: «È terribile giungere al momento della morte, senza aver avuto una donna. Se almeno si avesse la seria intenzione di sposarsi! Cosa rispondere a Dio quando ci dirà: “Ho fatto di te un uomo; non dovevi restare solo ma prendere una donna. Dov’è tua moglie?”» (cit. in Dictionnaire de Théologie Catholique, IX/1, Luther, col. 1165).
Quale che sia stata “l’ispirazione” che lo ha portato alle nozze, Lutero attese comunque il momento propizio della morte del suo protettore, Federico di Sassonia, che non era mai stato particolarmente favorevole al matrimonio del clero. Il 5 maggio 1525 Federico morì, e già il 13 giugno Martin e Katharina convolavano a nozze. Quest’idea secondo cui Dio destinerebbe tutti gli uomini al matrimonio si costruiva in parallelo all’attacco alla vita monastica e in particolare ai voti religiosi che, secondo Lutero, non solo non trovavano sostegno nella parola di Dio, ma le erano persino opposti. Il comando divino «crescete e moltiplicatevi» era da lui considerato «un’opera divina che non è in nostro potere rifiutare o accettare; quest’opera mi è così necessaria come l’essere uomo […]. Quest’opera è la nostra stessa natura, un istinto così profondamente radicato quanto le membra che abbiamo a questo scopo» (cit., col. 1279).
Ancora più evidente è la negazione da parte di Lutero che il matrimonio sia sacramento. Valutare questa sua posizione come un’enfasi posta sull’aspetto naturale del coniugio significa ignorare il pensiero di Lutero. Anzitutto, come si è già accennato, per lui l’unione coniugale è necessaria alla natura, ma non per questo la salva dall’essere ormai irrimediabilmente contrassegnata dal peccato; non dalle conseguenze del peccato originale, ma dal peccato stesso. Ma quello che risalta maggiormente (e negativamente) è la sua negazione che il matrimonio sia segno dell’unione definitiva e indissolubile tra Cristo e la Chiesa. La sacramentalità del matrimonio tra cristiani non può essere ridotta al fatto che Dio benedica i coniugi; essa significa invece che, in virtù del loro battesimo che li ha incorporati in Cristo come membra della Chiesa, essi non sono più solamente due individui che si uniscono per far crescere la stirpe umana, ma incarnazione espressa di quel vincolo che Cristo ha contratto con la sua Chiesa. Si avverte qui l’insufficienza della dottrina luterana sulla rigenerazione battesimale e sulla giustificazione. Chi viene battezzato, infatti, è realmente nuova creatura innestata in Cristo, che non vive più per sé stessa ma per Lui; il matrimonio del battezzato, perciò, non ha più semplicemente una connotazione di realizzazione individuale, di rimedio alla concupiscenza, di compimento di una vocazione naturale a pro della società umana, ma è realtà nuova, espressione dell’amore con cui Cristo ha dato Sé stesso per la Chiesa e della fedeltà della Chiesa a Lui.
Quella di Lutero non è affatto l’esaltazione del matrimonio naturale, ma la sua menomazione: la natura non è più elevata e trasfigurata dalla grazia, ma irrimediabilmente ripiegata su sé stessa e impoverita. In Lutero la grazia né risana né eleva; e neppure configura a Cristo; l’amore umano nella sua forma coniugale non trova pertanto alcuna vocazione e significazione più alta. Ed è per questa ragione che egli ammette ragioni di solubilità del matrimonio rato e consumato, cosa del tutto inammissibile nella prospettiva del matrimonio come sacramento dell’unione tra Cristo e la Chiesa.
Rimane insoluto il dubbio se quei cattolici che tanto magnificano il matrimonio secondo Lutero lo abbiano realmente compreso o, forse più realisticamente, non abbiano mai capito l’insegnamento cattolico.
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