Lo "stupidario" ecclesiastico in tempi di Covid-19
Da Novellara (Reggio Emilia) a Trento, passando per Milano, parroci e diocesi hanno dato indicazioni insensate, oltre che ridicole, sulla ricezione dei sacramenti. Si va dal cotton fioc per la Cresima al convivente/congiunto che dà la Comunione al malato al posto del prete ritenuto di per sé più contagioso. Ecco a voi il nuovo vangelo.
Tutte le strade non portano a Roma, ma a Milano. Soprattutto quando si tratta di arricchire lo stupidario ecclesiastico. Eravamo partiti dalla segnalazione di un lettore, che ci informava di un’iniziativa piuttosto discutibile della diocesi di Trento; contattato il responsabile, veniamo a sapere che in realtà si tratta di un “contagio” partito dal focolaio della diocesi di Sant’Ambrogio e San Carlo Borromeo, la stessa del cotton fioc biodegradabile per le Cresime (vedi qui).
Di che cosa si tratta, questa volta? Visto l’interminabile periodo di emergenza COVID-19, il vicario dell’arcidiocesi di Milano, mons. Franco Agnesi, ha pensato di emanare una nota con delle indicazioni che nelle sue intenzioni dovevano certamente essere molto serie, ma che a leggerle si fa veramente fatica a non ridere. Ai ministri straordinari dell’Eucaristia, che dovranno recarsi dai malati, oltre alla solita igiene delle mani e la mascherina (che non dev’essere quella chirurgica, si precisa, ma una FFP2 o FFP3), viene chiesto di «arieggiare la camera prima e dopo la visita» e di «visitare un massimo di quattro ammalati, sempre gli stessi». E guai se qualcuno nel frattempo si rimette in salute.
Poi si raccomanda che «nella stanza ci siano meno persone possibili». Sarebbe stata un’ideona chiedere ai ministri di portarsi una webcam wireless, per collegarsi con gli smartphone delle persone presenti in casa, ma rigorosamente in altra camera; ma a tanto il vicario non è arrivato. Nemmeno un accenno ad una maggiore generosità rivolta a sacerdoti, diaconi, accoliti e ministri straordinari, come avrebbe fatto – e di fatto fece – San Carlo, affinché la Santa Comunione possa arrivare con maggiore frequenza alle persone sofferenti ed impossibilitate di recarsi in chiesa, visto che siamo in un periodo di emergenza. Ci mancherebbe.
Quello che però interessa maggiormente è il paragrafo finale della nota, che è appunto quello fatto proprio dalla diocesi di Trento: «Per portare la Comunione ai malati che per lungo tempo non possono venire in chiesa, i Parroci e i Responsabili di Comunità Pastorale, valutandone l’opportunità, possono affidare questo compito nel periodo dell’emergenza COVID-19 a un parente convivente con il malato che sia fidato e conosciuto da Sacerdoti della Parrocchia o Comunità Pastorale».
La diocesi di Trento ha preparato, per l’occasione, un modulo da compilare, nel quale il malato chiede di poter ricevere la Santa Comunione da parte del parente convivente. Con tanto di preoccupazione (metà del modulo!) per la privacy. Il vicario diocesano, da noi contattato, ha tenuto a precisare che tutto è in capo al parroco, il quale può dunque autorizzare o rifiutare la richiesta; e che si tratta di situazioni particolari, nelle quale è meglio che il malato non avvicini nessuno.
Non abbiamo motivo per non credergli. Ma la domanda che si pone - e che abbiamo fatto durante la conversazione telefonica - è perché mai la persona convivente con il malato dovrebbe essere ritenuta più “sterile” di un sacerdote o di un ministro straordinario. D’accordo che convive con il malato, ma andrà pure a fare la spesa, in tabaccheria, in edicola, al lavoro, sui mezzi pubblici? O magari a giocare al SuperEnalotto? Avrà pure dei contatti umani con altre persone, magari tanto quanto il sacerdote? Oppure i “conviventi abilitati” sono solo quelli che conducono una vita anacoretica, o persino da reclusi? Il buon vicario, se con ironia o arguzia non è dato sapere, ha convenuto che potrebbe trattarsi proprio di reclusi...
Ma il contagio delle fantasie liturgiche sta scendendo lo Stivale. In diocesi di Reggio Emilia, a Novellara, il parroco è già andato oltre le indicazioni di Milano e Trento. Sul sito della parrocchia si fa infatti presente che «c’è anche chi non può tornare a celebrare con noi, perché le condizioni di salute non lo permettono. Potrebbe ricevere la comunione con un piccolo rito domestico e assistendo alle celebrazioni in Tv, ma è sconsigliato che un ministro dall’esterno entri in casa. Potrebbe essere invece un congiunto, il quale, partecipando alla Messa può chiedere la comunione per chi resta a casa. Alcuni stanno vivendo così la loro partecipazione alla comunità ed è un dono per loro e per tutti noi: altri possono chiederlo a don Giordano».
Dal convivente al congiunto: l’importante è che non ci vada il prete, il quale sembra sia particolarmente contagioso. E al quale viene ormai sempre più sconsigliato, e talvolta perfino impedito, di essere a immagine del Buon Pastore. Almeno di quello che ci presentano i Vangeli canonici. Perché a Milano – come avevamo già detto (vedi qui) – sono in possesso di un quinto vangelo, probabile dono del Cardinale biblista che per lunghi anni ha retto l’arcidiocesi. Quinto vangelo, che deve suonare più o meno così: «Entrato [Gesù] in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: “Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente”. Gesù gli rispose: “Io non vengo, chiama il 118”. Ma il centurione riprese: “Signore, in effetti è bene che tu non entri sotto il mio tetto, ma dammi solo il modulo da compilare e al resto penso io. Perché io sono un centurione, tutto il giorno in mezzo ai soldati: hai voglia i contagi; ma i romani e i farisei hanno detto che tu sei più contagioso di tutti”. All'udire ciò, Gesù fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: “In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato un senso civico così grande”».