Lo Stato contro gli ospedali cattolici, il conflitto che verrà
Il ministro Lorenzin riconosce il problema: nella legge sul Biotestamento manca il riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza. Promette di incontrare i rappresentanti delle strutture sanitarie cattoliche per risolvere la questione. Ma non basterà, perché la legge ha valore superiore a qualunque atto amministrativo.
"Non ignoro che la legge appena approvata non contenga una specifica disciplina in tema di obiezione di coscienza per i medici''. Rispondendo all'interrogazione del deputato della Lega, Alessandro Pagano, al question time di mercoledì alla Camera, il Ministro Lorezin ha dovuto riconoscere la fondatezza delle preoccupazioni esposte dai gruppi pro life, dalle associazioni di giuristi e dalle organizzazioni dei medici durante tutto l’iter della discussione della legge sul biotestamento e volutamente trascurate dai relatori del testo e dalle forze politiche che hanno sostenuto il provvedimento. La Lorenzin ha quindi assicurato che sarà possibile per gli operatori sanitari applicare l'obiezione di coscienza sulle Dat, le disposizioni anticipate di trattamento appena approvate dal Parlamento. È mia intenzione - ha detto - immediatamente dopo la pubblicazione della legge, incontrare i rappresentanti delle strutture sanitarie private cattoliche, per condividere con loro opportune modalità applicative della legge.
Sul tema è anche intervenuto il Segretario di Stato vaticano card. Pietro Parolin, che ai microfoni di Tv2000 ha detto che l’assenza dell'obiezione di coscienza è uno dei punti carenti di questa legge e che è una posizione legittima quella degli ospedali cattolici che hanno preannunciato che potrebbero fare obiezione di coscienza non applicando su alcuni punti la legge.
Tutto risolto quindi? Niente affatto. Anche volendo ignorare che le norme approvate qualche giorno fa configgono con più disposizioni della Costituzione italiana e pur apprezzando la franchezza del ministro, il Centro Studi Livatino, formato da magistrati, docenti universitari, avvocati e notai, ha fatto notare che gli atti eventualmente seguenti, come ad esempio una circolare ministeriale, non avranno mai la forza di colmare una voluta e conclamata lacuna della legge primaria. Concetto ribadito alla Nuova Bq dal vice presidente del Livatino, Alfredo Mantovano, secondo il quale, anche se dalla riunione tra il Ministro e i rappresentati delle strutture cattoliche accreditate uscisse un buon verbale, resterebbe sempre un atto amministrativo che non ha forza di contrastare le norme di legge. In caso di contenzioso qualsiasi giudice – sottolinea Mantovano – applicherebbe la norma e non la circolare, quindi la questione si risolve solo con una modifica della legge”.
Per questo motivo, lo scorso lunedì, con una lettera inviata al Presidente della Repubblica, Mauro Ronco, Presidente del Centro studi Livatino; Massimo Gandolfini, Presidente del Comitato Difendiamo i nostri Figli; mons. Massimo Angelelli, Responsabile Ufficio Pastorale Sanitaria della CEI; padre Virginio Bebber, Presidente dell’Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari; Filippo Boscia, Presidente dell’Associazione Italiana Medici Cattolici; Aldo Bova, Presidente del Nazionale Forum Associazioni Sanitarie Cattoliche e Francesco Bellino, Presidente della Società Italiana Bioetica e Comitati Etici, hanno chiesto al Capo dello Stato di rinviare al Parlamento con proprio messaggio il disegno di legge Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento.
Il rischio concreto che venga tolto l’accreditamento alle strutture sanitare cattoliche non è un iperbole agitata da direttori di istituto in malafede ma la conseguenza indicata dalla relatrice del disegno di legge, nonché presidente della Commissione Igiene e Sanità, senatrice Emilia De Biasi. Il 12 giugno 2017, nel corso dell’audizione al Senato dei rappresentanti del Livatino e del Comitato Difendiamo i nostri figli (Family day), a fronte delle preoccupazioni manifestate da costoro, la senatrice del Pd De Biasi ha affermato testualmente: “Il tema dell’obiezione di coscienza della struttura noi lo abbiamo già affrontato nella prima audizione che abbiamo fatto. In particolare, parliamo naturalmente della sanità convenzionata (…). E quelle di carattere religioso è evidente che hanno un problema, che è un problema che riguarda però il Concordato. E quindi non è evidentemente la sede legislativa la sede adeguata per poter discutere di questo argomento. Nel senso che ci sono accordi precisi fra Stati e quindi evidentemente ci si richiamerà in eventuali ricorsi alla Corte costituzionale per sciogliere questo nodo. È molto difficile che lo possa fare una legge”.
Chi in quel momento veniva audito ha fatto presente che, dando per scontata l’insorgenza di conflitti così seri da adire la Consulta, fosse il caso di prevenirli con una differente articolazione. La replica della presidente De Biasi è stata che nell’ipotesi di conflitti la soluzione sarebbe stata togliere “le convenzioni” agli enti ospedalieri d’ispirazione cattolica. Il tutto è consultabile sul sito Internet del Senato, a partire dal minuto 35.
Malgrado l’assenza dell’istituto dell’obiezione, nelle corsie di un ospedale cattolico potrebbe infatti verificarsi che tutti i medici si rifiutino di dare attuazione a delle disposizioni ritenute eutanasiche, a questo punto la responsabilità ricadrebbe sull’istituto e quindi la controversia dovrebbe essere risolta in regime concordatario. Questo la sa bene anche Padre Virginio Bebber, Presidente dell’Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari, che, parlando alla Nuova Bq, si dice fiducioso che sarà trovato un accordo con lo Stato italiano e ricorda che nei Patti Lateranensi si parla di rispetto dei valori delle attività ecclesiastiche. Il camilliano padre Bebber sottolinea quanto sia importante la collaborazione delle strutture sanitarie cattoliche con il servizio sanitario nazionale. Strutture accreditate che non fanno alcuna differenza di credo nell’accogliere malati e pazienti in tutto il Paese. “La priorità, più che altro, è dare la sanità a chi ha bisogno”, dice Bebber invitando chi pone la questione dell’accanimento a visitare gli hospice cattolici, dove quasi mai “troveranno sondini nasogastrici” ma solo un dignitoso accompagnamento alla morte. “Noi non abbandoniamo nessuno”, aggiunge Bebber, “chiediamo solo di seguire i pazienti secondo i nostri valori. Idratazione e nutrizione sono somministrati nei casi in cui li riteniamo fondamentali per salvare una vita”.
Il Presidente del Forum nazionale che riunisce tutte le associazioni socio-sanitarie cattoliche (medici, psichiatri, farmacisti) Aldo Bova non ha dubbi a riguardo le Dat: “Non lasceremo morire di sete e di fame nessuno”. Bova sostiene che i professionisti cattolici che si troveranno davanti ad un malato che non è in fase terminale non potranno esaudire la richiesta di staccare i sostegni vitali.
Sulla stessa linea il presidente del Family day e neurochirurgo Massimo Gandolfini, che ha ricordato che l’obiezione di coscienza è costituzionalmente riconosciuta tramite alcune sentenze delle Corte Costituzionale. “La posta in gioco è il valore della vita umana – ha detto Gandolfini - riteniamo incomprensibile che si garantisca l’obiezione di coscienza per la sperimentazione sugli animali e non sia prevista per la vita di una persona”.
L’impressione è che non si sia compresa, anche in parte del mondo cattolico, la portata della questione. La legge sul biotestamento potrebbe rappresentare la Caporetto della sanità cattolica. Dobbiamo avere presente che la perdita dell’accreditamento avrebbe come effetto di impedire tout court l’operatività di realtà come la Fondazione Policlinico Gemelli, l’Ospedale pediatrico Bambin Gesù, l’Ospedale Fatebenfratelli, l’Ospedale Cristo Re, il Campus Bio-Medico, l’Associazione la Nostra famiglia, la Fondazione Poliambulanza di Brescia, la Fondazione Maugeri, la Casa di Sollievo della Sofferenza di S. Giovanni Rotondo, e le altre 100 strutture analoghe esistenti sul territorio nazionale. L’attività di questi istituti non rappresenta solo un contributo fondamentale per il sistema sanitario pubblico; al di là della riduzione dei servizi e della possibilità di scelta del malato di farsi curare da strutture che condividono le sue sensibilità, l’esclusione delle grandi strutture sanitarie cattoliche sarebbe anche un impoverimento generale dell’approccio antropologico della medicina.