Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Francesco Saverio a cura di Ermes Dovico
USA VERSO IL VOTO

Lo slittamento a sinistra della politica americana

Ascolta la versione audio dell'articolo

La scelta di Tim Walz come vice di Kamala Harris è l'ulteriore dimostrazione dello slittamento a sinistra della politica americana, specialmente su temi etici quali aborto, famiglia, Lgbt. E l'avversario viene demonizzato perché "arcaico" e "patriarcale".

Editoriali 10_08_2024
Tim Walz e Kamala Harris (La Presse)

La scelta di Tim Walz, governatore del Minnesota, come candidato vice-presidente per il Partito democratico da parte di Kamala Harris è stata una decisione per molti inattesa. Non un aspirante vice che in qualche modo (come il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro) riequilibrasse la sua immagine fortemente caratterizzata ideologicamente a sinistra, in particolare su temi come femminismo, parole d'ordine Lgbt etc., politica estera filo-araba e anti-israeliana. Al contrario, un “duro e puro” di sinistra, pienamente allineato con tutte le parole d'ordine del radicalismo woke.

Sostenitore dottrinario dell'aborto senza limiti come “diritto fondamentale”, promotore della transizione di genere per gli adolescenti senza autorizzazione dei genitori, molto indulgente verso l'estremismo dei Black Lives Matter, allineato alle frange filo-palestinesi della sinistra, pro-legalizzazione della marijuana, addirittura considerato vicino al regime cinese. Una personalità in linea con la tendenza che su queste pagine avevamo già identificato qualche giorno or sono: quella alla radicalizzazione della contesa elettorale, ridotta a pura contrapposizione identitaria nella speranza di mobilitare una base elettorale di riferimento piuttosto che convincere incerti e indipendenti. Con la coppia Harris/Walz la campagna elettorale Dem si ridurrà a una sostanziale echo chamber di slogan per galvanizzare la piazza (soprattutto quella giovanile, femminile e dei “ceti medi riflessivi” delle metropoli), ispirati dal principio “niente nemici a sinistra”. Slogan accompagnati da una continua, stentorea demonizzazione di Trump e in generale degli avversari repubblicani.

Proprio in tale ultimo campo Walz si è guadagnato sul campo, nelle ultime settimane, una posizione di indiscussa preminenza, in quanto ha coniato un'etichetta spregiativa nuova per definire Trump e il suo candidato vice J.D. Vance, che ha conseguito una vasta risonanza: l'aggettivo “weird”, accompagnato da un altro ancora più pesante, “creepy”.

Il significato di weird nella lingua inglese spazia dai concetti di “misterioso” ed “eccentrico” a quelli ben più negativi di “strano” e “inquietante”. Creepy, se usato in coppia con weird, radicalizza questa ultima accezione: definisce un individuo “losco”, “viscido”, sospettabile  di essere un maniaco.

Che due termini del genere siano stati usati da Walz per indicare il ticket presidenziale trumpiano, e che essi abbiano immediatamente attecchito persso lo “zoccolo duro” degli elettori Dem più schierati e dei media amici, è estremamente sintomatico del modo in cui la sinistra statunitense intende rappresentare se stessa e la differenza che la separa dai propri avversari. I Dem radicalizzati che hanno scelto come loro rappresentanti la rimaneggiata “figurina” del riscatto black/femminista  Kamala Harris e il woke a 360 gradi Walz, piuttosto che attaccare, anche con durezza, Trump e Vance su temi di economia, di politica estera, di diritti sociali, di ordine pubblico, di immigrazione, preferiscono delegittimarli alla radice, additandoli come gente imbarazzante, poco raccomandabile, infrequentabile, insomma “anormale”.

La Harris, appena indicata come candidata, aveva dato subito il tono di quella che sarebbe stato l'approccio successivo della campagna, contrapponendo se stessa come paladina intransigente della giustizia e della legalità a un Trump definito come “predatore sessuale” e truffatore. Toni “giustizialisti” e moralisti che a orecchie italiane riportano alla mente, come molti dei tentativi di espellere Trump dal dibattito politico, le campagne di discredito e fango orchestrate a suo tempo contro Silvio Berlusconi.

Ma nel processo di delegittimazione, Walz ha fatto un passo decisivo in più. Accomunando Trump al suo vice radicato nell'America profonda più lontana dalle élites “oceaniche” - il governatore del Minnesota ha lasciato chiaramente intendere che il ticket repubblicano è “inquietante” e poco raccomandabile innanzitutto a proposito dei temi bioetici e culturali: in quanto si oppone all'aborto (Vance con più nettezza rispetto a Trump), è contrario all'ideologia gender, sostiene la famiglia naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna e sulla fertilità.

L'antitesi proposta è nettissima: i Dem pretendono di rappresentare l'America “normale”, quella “moderna”, cioè quella che abbraccia tutti i dogmi dei “diritti” intesi secondo il relativismo divenuto dottrina ufficiale delle élites; mentre Trump e Vance sono da loro indicati come espressione di un'America “arcaica”, arretrata, “patriarcale”, oscura, ai limiti delle turbe mentali.

Si tratta di un'antitesi che conduce il rozzo manicheismo dell'”illuminismo” nichilista woke fino alla “patologizzazione” e “psichiatrizzazione” dell'avversario. Un meccanismo che fu visto ampiamente all'opera all'epoca dei regimi comunisti. E che negli ultimi decenni si è ripresentato con sempre maggiore insistenza nelle liberaldemocrazie occidentali, dove il pluralismo delle opinioni viene additato da sinistra come un pericolo, e chiunque si opponga alle priorità proclamate dalla retorica progressista/woke è bollato come razzista, colpevole di “crimini d'odio”, “fobico” e via dicendo, invocando la necessità che venga zittito ed escluso dal dibattito pubblico.

In questo caso la contrapposizione fondata sul concetto di “normalità” e “anormalità” colpisce particolarmente. Innanzitutto perché, con una clamorosa contraddizione logica, essa proviene dalla parte ideologica che ha sostenuto fino alla noia che la normalità non esiste, che la realtà coincide con l'autopercezione e autorappresentazione, che le diverse visioni del mondo sono tutte moralmente equivalenti. In secondo luogo perché è l'espressione di una visione della società dai tratti di un vero e proprio “mondo al contrario” (per citare l'ormai proverbiale espressione coniata dal generale Vannacci) rispetto a tutta la storia occidentale antica e recente. La famiglia naturale, il matrimonio, la fertilità, la difesa della vita del nascituro, l'etica cristiana sono additati come creepy e weird, mentre l'aborto al nono mese e a nascita parziale, il bloccaggio della pubertà senza freni negli adolescenti attraverso trattamenti chimici irreversibili, la demolizione della famiglia (e anche degli specifici diritti femminili) per accondiscendere alle più cervellotiche rivendicazioni delle innumerevoli categorie “arcobaleno” sarebbero, per Walz e i suoi sodali, espressione di una società normale, equilibrata, governata dal buon senso.

Non sappiamo quanto tale rappresentazione caricaturale servirà ai democratici a mobilitare gli elettori che vorrebbero portare alle urne nella “crociata” contro Trump e Vance. Ma il fatto stesso che essa, in spregio del ridicolo, possa essere impunemente proposta ai massimi livelli del dibattito è un segno – questo sì “inquietante” - che ormai anche nella società statunitense (da questo punto di vista finora diversa rispetto a quelle del vecchio Continente) la secolarizzazione radicale e il relativismo nichilista si sono radicati al punto da costituire un blocco elettorale individuato da qualcuno come potenzialmente decisivo nella corsa alla Casa Bianca. Un dato che dovrebbe far riflettere i repubblicani statunitensi e anche le destre europee.

Non spingendoli però ad annacquare le proprie posizioni sui temi bioetici – come Trump ha fatto proprio a proposito dell'aborto – ma a sposarli al contrario con più convinzione, senza farsi intimidire, come espressione di una coerente visione del mondo capace a sua volta di mobilitare con convinzione, nella logica ormai obbligata della contrapposizione identitaria, tutta la larghissima parte di società che si oppone al nichilismo woke, ma è spaventata dalla sua propaganda martellante, monopolistica e minacciosa.