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la traslazione del corpo

Livatino, il giudice beato che si è messo sub tutela Dei

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Domani la solenne traslazione del corpo del beato Rosario Livatino, giudice antimafia martirizzato in odium fidei. Il suo lascito spirituale e il suo esempio per conciliare fede e diritto. 

Ecclesia 14_03_2025

Come coniugare Fede e diritto? Come fare della giustizia la propria missione? Come vivere la vocazione del giudice nell’ottica del cristianesimo, rivendicando tale ruolo come servitore umile della giustizia? Una risposta. Una frase: Sub tutela Dei!

È così che il magistrato Rosario Livatino ha vissuto la sua vocazione al servizio della Fede e del diritto, ambito quest’ultimo in cui è necessario il ricorso a Dio e alla coscienza del bene comune, in quanto – come lui stesso affermava – «è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio». 

Parole forti, lapidarie, da inscrivere nel cuore di ciascun giurista e non solo. Livatino è una voce che si leva forte ancora oggi dalla terra dove ha versato il suo sangue come martire in odium fidei e per la sua dedizione fedele alla verità che mai lo ha visto scendere a compromessi con il mondo mafioso.

Queste parole giungono di grande attualità oggi, alla vigilia della solenne traslazione delle spoglie mortali del Beato che avrà luogo domani dalla cappella di famiglia sita nel cimitero comunale a “una più idonea collocazione” nella chiesa di Santa Chiara a Canicattì, così come comunicato dall’arcidiocesi di Agrigento. 

Per lui non vi era altro Padrone che Dio solo, sotto la cui tutela non vi era nulla da temere, al contrario delle false protezioni dei padrini che dal magistrato siciliano non trovavano alcun appoggio.

Senso del dovere, umiltà e ricerca assidua della verità accompagnata da una fede profonda: sono le caratteristiche che distinguono il nostro giudice, il quale non amava apparire in pubblico ma che ci ha lasciato – oltre al suo esempio di vita – alcuni scritti delucidatori e di grande intensità, come il testo della relazione “Fede e Diritto” svolta nell’aprile 1986.

Fede e diritto infatti - esordisce Livatino - sono due aspetti che la maggior parte delle volte vengono considerati antinomici, autonomi e del tutto distinti tra loro, «destinati ad evolversi senza alcun contatto o reciproca interferenza: estranei l’uno all’altro» (Fede e diritto).

Ma così non è, in quanto «queste due realtà sono continuamente interdipendenti fra loro, sono continuamente in reciproco contatto, quotidianamente sottoposte ad un confronto a volte armonioso, a volte lacerante, ma sempre vitale, sempre indispensabile» (ibidem). È solo in quest’ottica che la figura del magistrato, così tanto a contatto con il mondo del male, ha la certezza che l’esercizio della sua funzione, grazie alla fede e al sacrificio quotidiano, può condurre a virtù eroiche.

Infatti, nel «difficile, a tratti terribile, lavoro del giudice […] vi è chi scorge nelle tavole processuali i drammi umani che vi si celano e che è consapevole di quanto una decisione potrà lenirli o esasperarli», e che «si compenetra talmente in quei problemi che li soffre fino al punto di farli propri e portarli con sé». Qui sta la differenza tra l’essere «operatori del diritto» e l’essere «operatori di giustizia».

Un altro punto importante che tocca Livatino è quello per cui «non vi può essere relazione alcuna fra l’immagine del magistrato e la società che cambia, nel senso che la prima non dovrà subire modificazione alcuna, quali che siano i capricci della seconda» […] (Ruolo del giudice). Compito del magistrato è quello altissimo di «dare alla legge un’anima, tenendo sempre presente che la legge è un mezzo e non un fine» (Fede e diritto).

La giustizia ricorda ancora il santo giudice, «è necessaria, ma non sufficiente e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell'amore, amore verso il prossimo e verso Dio, ma verso il prossimo in quanto immagine di Dio, quindi in modo non riducibile alla mera solidarietà umana» (ibidem). Infatti, «la legge, pur nella sua oggettiva identità e nella sua autonoma finalizzazione, è fatta per l'uomo e non l'uomo per la legge, per cui la stessa interpretazione e la stessa applicazione della legge vanno operate col suo spirito […]» (ibidem).

Attualissimo poi il passo in cui Rosario Livatino ribadisce il ruolo di Cesare nei confronti di Dio. Così scrive sempre in “Fede e Diritto”: «Non occorre […] che Cesare sia un credente. È sufficiente che ogni singolo Stato rispetti, nella sua legislazione terrena, quelle esigenze della persona, dei gruppi, della comunità che sono indicate dalla loro stessa umanità di vita», perciò «la legge dello Stato non potrà consentire, senza intervenire con la norma indicativa e con la punizione adeguata, che una persona tolga la vita ad un'altra (qui si presenta sintomatico il campione concettuale della pratica abortiva); non potrà imporre la sterilizzazione umana; non dovrà esigere tributi vessatori unicamente per paralizzare l'esercizio di un tipo di libertà di associazione; e via dicendo».

Dunque, come rapportarsi con la massima evangelica “Date a Cesare ciò che è di Cesare”? Risponde: «Date a Cesare significa date ciò che è giusto che Cesare chieda; ma Cesare ha, a sua volta, una regola naturale che deve osservare» (ibidem). Cesare, quindi, non può e non deve ostacolare il diritto naturale utilizzando il diritto positivo come arma.

Accanto a ciò, Livatino ricorda – commentando alcuni passi evangelici - che Gesù è venuto per dare compimento alla Legge e non per abolirla, richiamando all’osservanza dei comandamenti secondo la legge dell’amore. Il magistrato di Canicattì con la sua vita insegna ad essere cristiani autentici, fedeli al sommo Legislatore - che ogni mattina visitava prima di cominciare la sua giornata – e che come giusto giudice ci indica la via della giustizia autentica, quella che non si piega alla menzogna e ai compromessi, ma che si adopera per la Verità.

L’eredità che Livatino ci lascia con il suo amore per la giustizia coniugato a una fede forte vissuti “Sub tutela Dei”, è un programma di vita da scolpire nell’intimo del cuore. Egli è – come lo definì Giovanni Paolo II - «martire della giustizia e indirettamente della fede».



IL LIBRO

Rosario Livatino, un giudice come Dio comanda

08_05_2021 Giulia Tanel

Domani, domenica 9 maggio, è in programma la cerimonia di beatificazione del giudice Rosario Livatino, ucciso in odium fidei il 21 settembre 1990 da quattro uomini della Stidda. Una figura straordinaria, che alla professionalità unì una grande fede, come spiega il libro “Un giudice come Dio comanda” (Il Timone), a firma di Alfredo Mantovano, Domenico Airoma e Mauro Ronco.

IL DECRETO

Sarà beato il giudice Livatino, martire in odium fidei

23_12_2020 Ermes Dovico

La Chiesa riconosce il martirio «in odio alla fede» di Rosario Livatino, ucciso dalla Stidda il 21 settembre di 30 anni fa. Visse la professione di giudice come una vocazione, strettamente legata alla carità cristiana. Andò controcorrente, come su difesa della vita e obiezione di coscienza. Parlano alla Nuova Bussola il postulatore diocesano e il magistrato Domenico Airoma.