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1944-1991

Lituania, vittoria di una resistenza "impossibile"

Parla Rokas Tracevskis, storico, autore di La guerra sconosciuta, sulla resistenza armata della Lituania all'occupazione sovietica. Una guerra disperata, combattuta da una nazione cattolica contro l'occupazione comunista, che costò 22mila morti   300mila deportati. Ma che gettò le basi della liberazione, mezzo secolo dopo.

Cultura 21_11_2014
Rokas Tracevskis

La Collina delle Croci, a Šiauliai, Lituania, è uno dei luoghi simbolo della cristianità europea. È meta di pellegrinaggi e il 7 settembre 1993 fu visitata da San Giovanni Paolo II, che donò un crocefisso, tuttora ben visibile ai piedi della collina. Oltre che un luogo della fede è anche un monumento alla resistenza. Una resistenza quasi sovrumana, apparentemente inutile. Una volta che l’Urss annesse la Lituania, il Kgb distrusse tutti i crocefissi, ma i lituani continuarono a portare le loro croci e a piantarle, allora il Kgb le distrusse ancora e i lituani le riportarono al loro posto, poi le distrusse una terza volta e i lituani ne piantarono di nuove, nonostante la zona fosse sorvegliata giorno e notte. Finché non fu il Kgb ad arrendersi e l’Urss a crollare.

Il singolo episodio della Collina delle Croci è rappresentativo della resistenza al comunismo di tutto un popolo cattolico, quello lituano. Una resistenza armata, oltre che civile, poco conosciuta in Italia, incredibile per tenacia, abnegazione ed eroismo. Ma soprattutto per la sua durata. Dal 1944 al 1953 i soldati lituani non si arresero all’invasione sovietica. Per nove lunghi anni, senza alcun appoggio esterno, nutriti dalla popolazione locale, nascosti nelle foreste, dotati di armamenti catturati al nemico, circa 50mila partigiani dell’esercito baltico (“Fratelli del Bosco”) combatterono contro 300mila uomini dell’Armata Rossa, sostenuti da 40mila agenti della polizia politica (Nkvd). Il prezzo pagato dai lituani fu terribile: 22mila partigiani uccisi, 130mila civili deportati in Siberia, 150mila prigionieri politici internati nei Gulag. Anche dopo il 1953, centinaia di partigiani rifiutarono di arrendersi. L’ultimo uscì dal suo bunker solo nel 1986.

Di questa storia incredibile abbiamo già parlato su queste colonne, in occasione della pubblicazione in italiano del piccolo libro La guerra sconosciuta. La resistenza armata antisovietica in Lituania negli anni 1944-1953 (Il Cerchio). La Nuova Bussola Quotidiana ha incontrato uno dei due autori, lo storico lituano Rokas Tracevskis, che ha pubblicato i risultati delle sue ricerche assieme a Dalia Kuodyte. In questi giorni Tracevskis, si trova in Italia per presentare la sua opera. Aveva venticinque anni quando la Lituania proclamò la sua indipendenza e quando i carri armati mandati da Michail Gorbachev tentarono di stroncare di nuovo la resistenza lituana a Vilnius nel gennaio del 1991, quando un intero popolo trattenne il respiro nei giorni del golpe del Kgb, l'agosto successivo e tirò un sospiro di sollievo quando quel golpe fallì. Crescendo in un contesto così straordinario, è impossibile non occuparsi della propria storia. «I sovietici imposero una stretta censura su tutto ciò che riguardava la nostra resistenza almeno fino al 1989. Da quell’anno fu possibile parlarne e scriverne pubblicamente. Ma anche prima del 1989, segretamente, la storia veniva tramandata e scritta con pubblicazioni clandestine (samizdat, ndr). Mia madre me ne parlava molto, mi cantava le canzoni dei partigiani. La cosa veramente interessante era il cinema. I sovietici producevano diversi film sulla guerra di resistenza in Lituania, in cui ovviamente i Fratelli del Bosco erano i “cattivi” e i soldati sovietici i “buoni”. È difficile capirlo, per chi non ha vissuto in un sistema totalitario, ma noi riuscivamo a capire, da scene, gesti, sguardi, parole, che i “cattivi” erano in realtà i buoni. Era una specie di linguaggio in codice per la gente semplice».

Nella realtà, i “cattivi” partigiani erano sostenuti da gran parte della popolazione nonostante i metodi brutali di controguerriglia applicati da Stalin. «Secondo i documenti svedesi del 1949, in Lituania era operativo il più grande movimento anti-sovietico in Europa. E questo anche perché – ci spiega lo storico – la Lituania è stata una delle poche nazioni occupate dai nazisti, durante la Seconda Guerra Mondiale, che non ha fornito ai tedeschi unità di SS. Nonostante i sovietici abbiano appiccicato ai resistenti l’etichetta di “collaborazionisti”, i leader della resistenza lituana volevano restaurare l’indipendenza, la democrazia e istruire un processo per i crimini di guerra nazisti e comunisti». Era una guerra di popolo, nemica delle ideologie, dunque.

Oltre a tutto, il reclutamento continuava «… nonostante i sovietici ripetessero che fosse una lotta senza speranza. Così come hanno continuato a insegnare alla nostra generazione che l’indipendenza lituana fosse una causa persa. In realtà, devi sempre avere il coraggio di batterti per l’incredibile. E abbiamo vinto, alla fine. Perché combattere? Libertà, indipendenza, per molti fu la religione. Libertà, in quell’epoca, voleva dire, soprattutto, non subire la persecuzione, l’esproprio e la morte, per ciò che si era. Durante la guerra partigiana 12mila sostenitori civili della resistenza e 6mila Fratelli del Bosco vennero arrestati dai sovietici. Una cifra relativamente piccola rispetto ai 22mila uccisi. Il più delle volte, i partigiani preferivano morire in battaglia o suicidarsi, piuttosto che cadere vivi nelle mani dei sovietici. Sapevano di andare incontro a torture terribili, o di essere costretti a tradire». In una nazione all’80% cattolica, «Vi furono migliaia di preti che sostenevano la resistenza, celebravano messa nei bunker e nei campi dei Fratelli del Bosco e molti di essi morirono o furono deportati. Il sentire religioso fu fondamentale per la resistenza: dava forza la convinzione di avere una vita anche dopo la morte».

Anche dopo quei nove anni di resistenza armata, i Fratelli del Bosco continuarono a esercitare un’influenza notevole nella memoria collettiva lituana, nonostante i decenni di occupazione sovietica e il controllo capillare dei servizi segreti: «Gli unici che non volevano ricordare la resistenza, o per lo meno evitavano di parlarne, erano le famiglie deportate durante la repressione. Avevano subito traumi tali da evitare ogni ulteriore contatto con il loro passato. Ma per tutti gli altri, la storia della resistenza era comunemente discussa. Questo, soprattutto, durante il periodo hippie, tra la fine degli anni ‘60 e gli anni ‘70: da voi fu una moda anticapitalista e di ritorno alla natura, da noi, sotto i sovietici, fu un’espressione del dissenso anticomunista. Solo il portare i capelli lunghi, come i Fratelli del Bosco, era una provocazione per il Kgb. Il nuovo movimento indipendentista, nato alla fine degli anni ’80 iniziò con la ripubblicazione, prima clandestina poi legale, di quotidiani della resistenza, memorie e diari scritti dai partigiani. Vendevano centinaia di migliaia di copie. Di lì a due anni prese forma il movimento per l’indipendenza e per la democrazia, che portò alla “Via Baltica” del 23 agosto 1989: una catena umana di tre milioni di persone, che univa, idealmente oltre che fisicamente, le tre capitali delle repubbliche baltiche».

Quella che venne considerata come una “resistenza inutile”, alla fine ebbe la meglio. La Lituania è sopravvissuta come nazione e nel 1990 ha dichiarato l'indipendenza. Un anno dopo, in compenso, collassava l’Unione Sovietica.