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PROSPETTIVE GRIGIE

Lite fra Inps e Governo su quanti saranno i disoccupati

Nella tabella dell'Inps inserita nel Decreto Dignità risulta che verranno persi 8.000 posti di lavoro con le nuove misure contro il precariato. Di Maio grida al complotto e Tria smentisce la scientificità dell'analisi dell'Inps. L'economia non è una scienza esatta. Ma chi interviene sulle imprese, deve aspettarsi qualche conseguenza inattesa.

Economia 17_07_2018
Di Maio e Boeri

Il Dl Dignità, da qualche giorno, è legge: dopo essere stato firmato dal presidente della Repubblica e pubblicato nella gazzetta ufficiale lo scorso 12 luglio, il dl 87/2018 è ufficialmente entrato in vigore il 14 luglio. Eppure, anche dopo la sua definitiva emanazione, non si placano le polemiche fra il presidente dell'Inps Tito Boeri e i due azionisti di controllo del governo lega-stellato, Matteo Salvini e Luigi Di Maio.

Il primo, in una sorta di auto-nomina a tecnico capo dell'opposizione (in un momento in cui la figura del “tecnico” non riscuote grande favore popolare), ha infatti attaccato il governo sulla base di una stima secondo cui il decreto tanto voluto dal leader grillino farebbe perdere 8mila posti di lavoro l'anno. Una stima comparsa misteriosamente nella relazione tecnica al Dl Dignità un giorno prima dell'invio alla presidenza della Repubblica che ha mandato su tutte le furie Di Maio che ha parlato di una “manina” dispettosa e di un attacco coordinato di non precisate “lobby di tutti i tipi”: il ministro del Lavoro è arrivato a sollevare indirettamente dubbi sul ministro dell'Economia Giovanni Tria che ha però smentito categoricamente qualsiasi tentativo di sabotaggio del “Dl Dignità”. Dalla sua Tria ha, sempre indirettamente (quando si parla di grosse istituzioni pubbliche romane lo scaricabarile velato è d'obbligo), puntato il dito contro l'Inps (che di sicuro è la fonte della stima) e il suo presidente Boeri, che del resto ha pubblicamente rivendicato la correttezza del dato. “Il mio sospetto è che questo numero sia stato un modo per cominciare ad indebolire questo decreto e per fare un pò di caciara” ha detto Di Maio mentre Salvini ha chiesto di nuovo, dopo la polemica sui migranti che “ci pagano le pensioni” le dimissioni di Boeri.

In questa infinita querelle è pressoché inutile chiedersi chi abbia ragione. Al contrario di quel che spesso si pensa, infatti, l'economia non è una scienza esatta: non è un'opinione, certo, ma nemmeno una disciplina in grado di predire, con assoluta certezza, i risultati di ogni determinata scelta. Così se da una parte Boeri può dichiarare che il governo sarebbe colpevole di una forma di “negazionismo economico”, dall'altra Tria può sostenere che le tesi di Boeri sono “prive di basi scientifiche e in quanto tali discutibili”. Chi avrà ragione? Lo si vedrà forse tra un anno, quando avremo i dati aggiornati sull'occupazione? No, non lo sapremo nemmeno allora se pensiamo che un'oscillazione di 8mila contratti a tempo determinato, se davvero si verificasse, potrebbe benissimo essere legata ad altri fattori. Inoltre lo stesso stesso Boeri in una nota ammette: “In termini assoluti l’effetto è trascurabile: si tratta dello 0,05% dell’occupazione alle dipendenze in Italia. Da notare che l’effetto, contrariamente a quanto riportato da alcuni quotidiani, non è cumulativo. In altre parole il numero totale non eccede mai le 8.000 unità in ogni anno di orizzonte delle stime”. Ciò significa che, di media, un lavoratore su 2mila potrebbe trovarsi disoccupato per un certo periodo di tempo. Poca roba rispetto agli 80mila posti di lavoro persi secondo le previsioni delle opposizioni.

Detto questo se andiamo a prendere le novità contenute nel Dl Dignità non sembra che si possa parlare di quella rivoluzione positiva che Di Maio ha paventato. Al di là dello stop alle pubblicità al gioco d'azzardo il passaggio più significativo è la stretta sui contratti a termine, con un limite di durata che si riduce da 36 a 24 mesi (da 5 a 4 le proroghe massime) e un costo contributivo crescente dello 0,5% a ogni rinnovo. L'aggravio contributivo - che si aggiunge all'1,4% introdotto dal 2012 da Elsa Fornero e che finanzia la Naspi - scatterà «in occasione di ciascun rinnovo» di un rapporto a termine, inclusa la somministrazione. Ora nelle intenzioni del legislatore il costo dei rinnovi dovrebbe spingere a stipulare più contratti a tempo indeterminato, ma non è escluso che alcuni imprenditori possano trovare più conveniente sostituire il lavoratore dopo due o tre rinnovi, per pagare di meno. Se così fosse una norma pensata per tutelare i dipendenti potrebbe rivelarsi un vero e proprio boomerang. Tanto più che il decreto dignità prevede l'aumento del 50% degli indennizzi, minimi e massimi, sui licenziamenti illegittimi nei contratti a tutele crescenti. Contratti a tempo indeterminato che diventano, così, più onerosi, almeno nella mente del proprietario d'azienda, spesso anch'egli schiacciato dalla precarietà e dall'instabilità dell'economia reale.

Al di là delle ragioni di ognuno la polemica fra Boeri e il governo nasce da un vulnus di fondo: l'idea che alle imprese si possano imporre vincoli senza pensare che abbiano delle conseguenze. Ciò non vuol dire, ovviamente, che non debbano esserci tutele per chi lavora. L'importante è che queste tutele si innestino su un tessuto economico e produttivo in grado di assorbirle: quando così non è sono quelle stesse tutele a rivolgersi contro coloro che avrebbero dovuto proteggere.