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MEDITERRANEO

L'Italia sta perdendo la Libia

Tagliata fuori dai principali incontri internazionali che riguardano la crisi libica, l'Italia paga disinteresse, inattività e gaffes del governo giallo-rosso. Il prezzo potrebbe essere salato. Se peggiora la crisi fra Haftar e la Turchia l'Italia si troverebbe contro Tripoli, senza rendersene conto. Ed è da Tripoli che può arrivare un'altra ondata migratoria.

Editoriali 15_12_2019

Gli sviluppi sul fronte libico sono al momento limitati sul piano tattico della battaglia in atto da otto mesi intorno a Tripoli, ma assumono invece un notevole rilievo strategico ponendo l’Italia e l’Europa in una posizione molto vicina all’irrilevanza.

In appena due settimane il trattato militare e sulla Zona economia esclusiva (ZEE) marittima tra il governo Tripoli e la Turchia, firmato a Istanbul il 27 novembre scorso, ha radicalmente lo scenario spiazzando Roma e la Ue. Sul fronte dei combattimenti il feldmaresciallo Haftar ha annunciato l’ennesima offensiva finale (”l’ora zero per liberare Tripoli è scoccata”)  sulla capitale che per ora ha visto il suo Esercito nazionale libico (LNA) conseguire solo modesti progressi nel settore di Saadiyah, a sud-ovest di Tripoli. Successi definiti bugie da Fayez al Sarraj, premier del Governo di accordo nazionale (GNA) riconosciuto dall’Onu. “Nessuna ora zero, nessun controllo o presa d'assalto di Tripoli" ha detto il premier, forte anche dal rinnovato flusso di armi, veicoli e munizioni dalla Turchia che con i fondi del Qatar ha finora schierato a Tripoli e Misurata consiglieri militari e droni che hanno contributo in modo determinante in questi mesi a impedire il successo di Haftar, sostenuto da forniture militari e contractors provenienti da Egitto, Emirati Arabi Uniti e più recentemente anche da un numero di contractors russi stimati tra 600 e 1.400 unità .

Una presenza che Mosca ha negato in più occasioni ma che deve avere un fondamento se la crisi libica è oggetto di colloqui (e forse di trattative) tra il presidente turco Recep Tayyp Erdogan e quello russo Vladimir Putin. Leader che potrebbero avere tutte le carte in regole per guidare una possibile intesa che quanto meno congeli il conflitto libico, obiettivo fallito finora dalla comunità internazionale. “La situazione in Libia è uno dei temi su cui si sono concentrati ultimamente i contatti tra Russia e Turchia” ha detto il vice ministro degli Esteri russo Aleksandr Grushko. "Abbiamo un dialogo politico intenso praticamente giornaliero" con la Turchia "su questioni assolutamente chiare, note. Discutiamo tutte le questioni che dal nostro punto di vista hanno importanza per la sicurezza regionale", ha detto Grushko, precisando che "la Libia è al centro dei colloqui" della Russia con la Turchia "così come con altri partner" e che Mosca sta cercando "un terreno comune" con Ankara sulla situazione nel Paese nordafricano.

Del resto se gli aiuti turchi hanno permesso di salvare Tripoli da Haftar, quelli russi (con egiziani ed e emiratini) impediscono il fallimento dell’offensiva dell’LNA gettando le basi per un’intesa russo-turca che farebbe il paio con quella messa a punto recentemente in Siria. La rapida evoluzione dello scenario strategico evidenzia i limiti di un’Europa ancora una volta inconcludente e in gran parte, con l’eccezione di Italia e Francia, poco interessata a quanto accade nella ex colonia italiana. Ora Roma e Parigi si trovano però spiazzate dall’intesa tra al-Sarraj ed Erdogan dopo essersi schierate apertamente contro la Turchia per l’invasione della Siria Settentrionale e per l’intesa marittima turco-libica che penalizza direttamente Grecia e Cipro e indirettamente Egitto e Israele, minacciando la realizzazione del Gasdotto EuroMed destinato a portare in Europa il gas degli enormi giacimenti del Mediterraneo Orientale.

Il governo italiano rischia di pagare caro disinteresse, inattività e gaffes nei confronti di Tripoli, apparsi evidenti rispetto al passato e anche all’esecutivo giallo-verde caduto in agosto, che aveva visto un forte attivismo soprattutto del Viminale e dei servizi d’intelligence nel cecare una mediazione tra i protagonisti della crisi libica senza nascondere il sostegno al GNA e senza risparmiare condanne ai bombardamenti degli aerei di Haftar su obiettivi civili. Negli ultimi tre mesi invece Tripoli si è sentita abbandonata da Roma che pretende di rinegoziare l’accordo sui migranti e chiede ai libici una migliore assistenza a poche migliaia di clandestini nei campi di detenzione quando il GNA ha la priorità di occuparsi di oltre 100mila sfollati a causa dei combattimenti nella sola area della capitale.

Come fanno notare diverse voci autorevoli a Tripoli e a Misurata, Roma ha continuato a fornire motovedette alla Guardia Costiera libica (ultime consegne a inizio novembre) ma non ha concesso nessun aiuto militare diretto per la difesa della capitale contro le forze di Haftar. Certo, in teoria è in vigore dal 2011 un embargo dell’Onu sulle forniture a di armi alle fazioni libiche che viene però da anni quotidianamente violato da almeno una mezza dozzina di paesi che secondo l’inviato dell’Onu Ghassan Salamè, interferiscono direttamente nella crisi libica. Neppure l’abbattimento di un drone della nostra Aeronautica, il 20 novembre scorso, ad opera della contraerea di Haftar, sembra determinare un maggiore attivismo di Roma e del resto al recente vertice Nato di Londra la questione libica è stata discussa da un gruppo ristretto franco-tedesco-turco-britannico che ha escluso l’Italia.  

Non va poi dimenticato che a Tripoli e Misurata ha sollevato malumori la visita in Marocco del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, perché il GNA si aspettava che il neo-titolare della Farnesina attribuisse a Tripoli la priorità tra i paesi del Nord Africa. La superficialità italiana ha certo favorito in Tripolitania le pressioni per un più stretto abbraccio con Ankara, come quelle del Gran Mufti Sadiq al-Ghariani, massima autorità religiosa libica e vicino alla Fratellanza Musulmana, dichiaratosi a favore non solo del trattato (che permetterebbe a turchi e libici di sfruttare le ingenti risorse marine di idrocarburi) ma pure con l‘invio di truppe turche a Tripoli.

In questa situazione non mancano gli aspetti paradossali. L’Italia ha duramente criticato gli accordi marittimi turco-libici definendoli “inaccettabili”, schierando di fatto Roma al fianco di Grecia e Cipro ma, per la prima volta negli ultimi anni, anche di Haftar che minaccia di affondare le navi turche dirette nei porti libici. Un approccio che potrebbe favorire “rappresaglie” contro gli interessi italiani a Tripoli, anche ispirate dai turchi che dalle coste libiche potrebbero raddoppiare la minaccia reiterata all’Europa di aprire i confini a nuovi massicci flussi migratori illegali: ora non più solo sulla rotta balcanica ma anche su quella libica minacciando direttamente l’Italia. Il governo di al-Sarraj non è peraltro autorizzato a stipulare accordi internazionali senza il via libera del Parlamento di Tobruk (riconosciuto anch’esso dall’Onu e vicino ad Haftar) in base agli Accordi di Skhirat che nel 2015 diedero vita al GNA.

Paradossale inoltre che la pretesa di gestire una ZEE libica e turca che taglia in due il Mediterraneo tra Creta e Cipro si basi sulla proiezione dell’estensione costiera della Libia Orientale, cioè di quella Cirenaica controllata dal governo di Tobruk e dalle truppe di Haftar su cui Tripoli non ha alcun controllo. In questo contesto l’appello di Conte, Merkel e Macron di sostegno alla ormai strutturalmente inefficace azione dell’Onu e al coinvolgimento di Unione Africana e Lega Araba, sottolinea l’irrilevanza dell’Europa e vede Roma rinunciare a giocare le sue carte in autonomia limitandosi a partecipare ad un’azione diplomatica europea di scarsa incisività di cui non avrà neppure la leadership come la conferenza di Berlino sulla Libia.