L'islam fa i conti col fantasma della laicità
Riflessioni a margine della Conferenza del Cairo e l'appello di 600 accademici musulmani e cristiani: l’estremismo islamista può venire debellato soltanto disarmandolo sul piano dottrinale. Poi però anche aiutando i Paesi arabi a uscire dalla morsa di un ristagno economico e da una disoccupazione e sotto-occupazione di massa che rende le loro giovani generazioni facile preda di qualsiasi estremismo.
Una Dichiarazione di mutua coesistenza tra cristiani e musulmani è stata siglata qualche giorno fa al Cairo al termine di una conferenza sul tema “Libertà, cittadinanza, diversità e integrazione” promossa dall’università di Al Azhar, massimo centro culturale dell’islam sunnita, e dal Consiglio islamico degli Anziani, un organismo che ha sede ad Abu Dhabi.
Facendo seguito al Messaggio di Amman del luglio 2005 e alla Dichiarazione di Marrakesh del gennaio 2016, questa nuova Dichiarazione è un’altra tappa importante del tentativo, ormai iniziato all’interno del mondo musulmano, di dare fondamento in termini di ortodossia islamica a principi quali la libertà di fede, la libertà di coscienza e le libertà civili. E quindi di delegittimare l’integralismo islamista vanificando la sua pretesa di essere l’islam autentico.
Si prendono a tal fine le mosse dalla Carta di Medina, ossia dall’accordo che Maometto sottoscrisse con gli abitanti di quella città garantendo a tutti loro la libertà di professare liberamente la loro fede qualunque essa fosse. Se è vero come è vero che l’islam può liberarsi dall’integralismo solo in forza di una sua riforma interna, e non per pressione dall’esterno, c’è da augurarsi che tale processo proceda positivamente. Da sé sole infatti le pressioni dall’esterno non possono che avere un effetto controproducente.
E’ importante e promettente il fatto che le tre iniziative abbiano avuto luogo sotto l’égida dei più autorevoli leader del mondo musulmano sunnita: i due re, Abdallah II di Giordania e Maometto VI del Marocco, le cui dinastie vantano una discendenza diretta dal Profeta, e il presidente egiziano Abdel Fatah Al-Sisi, ossia chi governa il più importante Paese del mondo arabo. Costituisce invece un limite, e un limite non da poco, il fatto che tutto ciò resti in ambito sunnita senza finora coinvolgere l’Islam sciita, minoritario ma consistente.
Con il Messaggio di Amman si fondava sul Corano la libertà della persona affermando che “l’islam onora ogni essere umano a prescindere dal suo colore, dalla sua razza e dalla sua religione”. Nella Dichiarazione di Marrakesh, considerando che “in varie parti del mondo musulmano la situazione si è deteriorata pericolosamente a causa del ricorso alla violenza e alla lotta armata come strumento per risolvere i conflitti e imporre agli altri il proprio punto di vista” si invitavano i Paesi a maggioranza islamica a riformare le loro costituzioni sulla base della Carta di Medina, della Carta delle Nazioni Unite e dei documenti relativi “tra cui la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo”. E si lanciava inoltre un appello agli “studiosi e agli intellettuali musulmani ovunque nel mondo a sviluppare una giurisprudenza sul concetto di cittadinanza, che è inclusivo dei diversi gruppi”.
Tale appello è stato evidentemente raccolto dalla Conferenza del Cairo: la cittadinanza, come si è visto, era il suo tema-chiave. Alla conferenza partecipavano oltre 600 tra accademici, politici e autorità religiose cristiane e musulmane provenienti da circa cinquanta diversi Paesi. La presiedevano il presidente del Consiglio islamico degli Anziani e il grande iman di Al Azhar, Ahmad Al Tayyib. Il papa cristiano copto Tawadros II era tra i partecipanti.
Alla ricerca di un fondamento del principio della libertà di coscienza e di fede - non essendovi nell’islam niente di simile a quel “Date a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare” che nei Paesi di tradizione cristiana fonda il principio di laicità - la pista della cittadinanza diventa quella più percorribile. Nel suo discorso in apertura dei lavori della Conferenza il Grande Imam ha ribadito l’incompatibilità tra il vero islam e la persecuzione dei non-musulmani osservando però che “la difesa della libertà dei cittadini compete agli Stati” e che nessun altro soggetto religioso o qualche che sia “può interferire con i governi legittimi in tale materia”.
A ben vedere anche nei documenti della Conferenza del Cairo le lacune e le reticenze non mancano. Ciononostante si tratta di un notevole passo avanti sulla via di quel processo di autoriforma dell’islam di cui si diceva. Fermo restando infatti il diritto-dovere nell’immediato della difesa di polizia, e se necessario anche di quella militare, a lungo termine e nella sostanza l’estremismo islamista può venire debellato soltanto disarmandolo sul piano dottrinale. Poi però anche aiutando i Paesi arabi a uscire dalla morsa di un ristagno economico e da una disoccupazione e sotto-occupazione di massa che rende le loro giovani generazioni facile preda di qualsiasi estremismo.