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Islam

L’Iran intensifica la persecuzione dei cristiani

Tre condanne al carcere sono state pronunciate a carico di tre cristiani, due dei quali convertiti dall’islam al cristianesimo

Continua a crescere la repressione dei cristiani in Iran. Nei giorni scorsi un Tribunale rivoluzionario di Ahvaz ha condannato a 15 anni di carcere Yasin Mousavi, convertito dall’islam al cristianesimo. L’accusa è di”appartenenza a gruppi che mirano a turbare la sicurezza nazionale” e di “propaganda contro la Repubblica Islamica tramite la promozione del cristianesimo sionista”. Era stato arrestato ad Izeh nel dicembre del 2023 insieme ad altri cristiani convertiti come lui e aveva trascorso 20 giorni in isolamento in un carcere del Ministero dell’intelligence, poi era stato trasferito nella prigione di Sheiban ad Ahwaz e infine rilasciato su cauzione il 30 aprile scorso. Era stato in carcere altre volte nel 2017, 2021 e nel 2022. A cinque anni invece è stato condannato Esmaeil Narimanpour, 37 anni, anche lui cristiano convertito e già più volte arrestato. L’accusa contro di lui è di aver agito “contro la sicurezza nazionale” e, come nel caso di Mousavi, di rapporti con “organizzazioni sioniste cristiane”. Era stato arrestato nel 2023 la vigilia di Natale e rilasciato su cauzione ad aprile. Narimanpour appartiene alla chiesa Payam Rahaee (Messaggio di liberazione) nota per la sua attività di evangelizzazione e di sostegno ai cristiani iraniani, in particolare quelli convertiti dall’islam, i più perseguitati. “I suoi membri – spiega l’agenzia di stampa AsiaNews – compresi i pastori e i convertiti, spesso subiscono arresti, interrogatori e incarcerazioni a causa della loro fede e delle loro attività religiose. È vista dalle autorità iraniane come una minaccia a causa del suo proselitismo e della crescente comunità cristiana nel Paese”. Una condanna a 10 anni di carcere è stato comminata in questi giorni anche a Hakop Gochumyan, un cristiano armeno di 35 anni che era stato arrestato il 15 agosto del 2023 insieme alla moglie Elissa, rilasciata poi su cauzione due mesi dopo. Elissa, che era tornata in Armenia, aveva detto che contro di loro era stata mossa l’accusa generica di “attività cristiane illegali”, inspiegabile perché né lei né il marito si erano dedicati ad attività cristiane durante il loro soggiorno in Iran. Come prevede il codice penale iraniano, Hakop è stato condannato, pur non essendo state riscontrate prove certe, per “presunzione di reato”. I reati presunti contestati sono “attività di proselitismo”, definito “deviante”, in contraddizione con “la sacra legge dell’islam e appartenenza e leadership di “una rete di cristianesimo evangelico”. È possibile che si tratti di una sorta di ritorsione o rivalsa. Il padre di Elissa, infatti è Rafi Shahverdian, un noto e stimato pastore iraniano-armeno che era riuscito a fuggire dall’Iran nel 1993.