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IN VIAGGIO CON ENEA/ 26

L’ira di Giunone e lo scoppio della guerra tra i Troiani e i Latini

Cultura 28_03_2022

Il destino dei Troiani è segnato da difficoltà, lo ha promesso la regina degli dei Giunone, che non può tollerare di scorgere felicità sul loro volto. Per queste ragioni la dea si reca dalla furia Aletto perché semini divisione e discordia. Recatasi dalla moglie di Latino (di nome Amata), Aletto le invia un serpente che le spira «fiato di vipera» e la sprona a lamentarsi col marito per il fatto che Turno non può più sposarsi con Lavinia, ora promessa ad un troiano. Una volta che il veleno del serpente la pervasa tutta, in preda a visioni mostruose, Amata si aggira per la città compiendo empietà, nasconde la figlia Lavinia, pur di non darla in sposa a stranieri. Poi, diffonde la voce che verranno celebrate le nozze della figlia con Turno.

Nel frattempo, travestita dell’anziana Calibe, custode del tempio di Giunone, Aletto si reca dal giovane Turno e lo avvisa che sta per essere defraudato della sposa Lavinia, che gli spetta, lo sprona a combattere contro i nuovi arrivati:

            La gran potenza dei Celesti lo esige. Lo stesso re Latino,

            se non consente alle nozze e non mantiene la parola,

            sperimenti una buona volta chi è Turno sul campo!

Turno respinge le ire dell’anziana Calibe, invitandola a pensare alla custodia del tempio, piuttosto che alla guerra. Irata ancor di più, Aletto inietta in Turno tizzoni «che fumano luce nera» e lo sobilla alla guerra. Così, il giovane Turno non è più libero di scegliere, agisce in preda ad un furore che non è suo.

In quest’Eneide l’uomo sembra spesso deprivato della sua libertà e della facoltà di decidere. La scelta del male non è qui una deliberata adesione dell’uomo ad una tentazione, ad una provocazione, ad un’opzione dinanzi alla quale la persona ha comunque e sempre la possibilità di discostarsi dalla malvagità e agire per il bene. Il re Turno aveva scelto di non dare credito a voci che alimentavano il conflitto, ma la furia Aletto si è impossessata di lui, deprivandolo di qualsiasi arbitrio. Turno così dichiara guerra a re Latino, reo di aver promesso in sposa Lavinia ad uno straniero.

Per gli antichi (Greci e Romani) le divinità sono inaffidabili e capricciose, possono mantenere la parola data, ma sono in grado anche di mentire e di tradire. Pieni di limiti e di difetti, di passioni e di sentimenti, proprio come gli uomini, le divinità non sono onnipotenti. Capricciose, intervengono nelle azioni umane per soddisfare propri desideri.

Non esiste per gli antichi il concetto di libertà che conosce la cultura occidentale. Pensiamo al mito di Edipo nella cultura greca. Il re di Tebe, Laio, era venuto a conoscenza dall’oracolo di Delfi che la sterilità della moglie Giocasta era per lui una benedizione, perché il figlio nato lo avrebbe ucciso e avrebbe sposato la  madre. Per impedire ciò Laio ripudia la moglie, che riesce comunque a giacere con lui, dopo averlo ubriacato. Nato da quel rapporto e cresciuto presso la corte del re di Corinto, Edipo un giorno viene a conoscenza dall’oracolo di Delfi che ucciderà il padre e sposerà la madre. Per questo agisce in modo da scongiurare questa profezia. Tutte le sue azioni e i suoi tentativi di ostacolare il destino lo porteranno, invece, a commettere quel barbaro parricidio e a compiere inconsapevolmente l’incesto. Lo scoprirà, però, solo dopo. Qual è la sua responsabilità di fronte a questo fato malvagio e avverso? Qual è la sua libertà di fronte alla scelta?

Scrive Charles Moeller in Saggezza greca e paradosso cristiano:

Proprio nel fare il bene […] Edipo si è perduto […]. Il male si cela sotto le apparenze del bene. Sofocle [tragediografo che ha scritto la famosa trilogia dedicata al personaggio] ha spinto il paradosso all’estremo, dando a Edipo un carattere generoso, ardente. L’ardore stesso del suo attaccamento al bene lo precipiterà ancora più in basso.

Ritorniamo all’azione della furia Aletto, che agisce su comando di Giunone: anche lei obbedisce quindi ad un ordine. La furia si reca ora dai Troiani, facendo in modo che Iulo ferisca durante una battuta di caccia un cervo sacro, caro alla popolazione autoctona. Scoppia così uno scontro cruento tra i due schieramenti: il troiano e quello locale. Trionfante, Aletto abbandona l’Italia e, giunta da Giunone, propone di diffondere ancor più la guerra. Giunone teme, però, la reazione di Giove, marito e padre degli dei. Le ragioni per una guerra ormai sono state poste. Non occorre più l’intervento di Aletto che può ritornare nell’Ade attraverso uno dei tanti accessi: un lago maleodorante, nella valle dell’Ampsancto, circondato da due parti da un costone roccioso, ove scorre un torrente che produce mulinelli e si apre un «immane crepaccio che spalanca le fauci pestifere/ sul ribollire dell’Acheronte». Lì, attraverso quell’accesso, Aletto sgombra il cielo della sua presenza.

  Giungono nella città di re Latino i contadini a lamentare la morte di alcuni, mentre anche Turno accresce il desiderio di guerra per i torti che ha subito da quando sono arrivati i Troiani. Re Latino non può opporsi agli eventi, si chiude in casa dopo aver pronunciato queste parole in segno di maledizione di Turno:

            I fati ci spezzano […] l’uragano ci investe!

            Voi sconterete nel sangue la pena del sacrilegio,

            disgraziati! Su te, Turno, incombe (che orrore!) un atroce

            castigo, e supplicherai gli dei con preghiere tardive.

Si prepara la guerra aAtina (città dei Volsci), Tivoli, Ardea e in altri luoghi. Per indirla è consuetudine aprire la porta del tempio di Giano. Il re si rifiuta, però, di assolvere a quella incombenza. Allora, Giunone scende dal Cielo ed adempie lei in persona a quel compito.

  All’epoca in cui Virgilio scrive l’Eneide, il tempio del dio Giano era stato chiuso soltanto durante il regno di Numa Pompilio (715 a. C. - 673 a. C.) e sotto il primo consolato di Tito Manlio Torquato (235 a. C.). Sotto l’impero di Augusto il tempio sarebbe stato di nuovo chiuso nel 10 a. C. in nome di quella pax che l’imperatore voleva promuovere.

Per raccontare le vicende epico-militari il poeta chiede l’aiuto delle Muse ad ispirare il suo canto:

            E ora aprite, dèe, l’Elicona, e ispiratemi il canto:

            quali re sorsero in guerra, quali schiere dietro a questo

            o a quello invasero i campi, di quali guerrieri già allora

            fioriva la dolce terra d’Italia, di che armi si accese.

            Voi ricordate, dèe, e rammemorarlo potete

            A noi, sfiorati appena dal tenue alito della fama.

Inizia ora una nuova Eneide.