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QUALE PACE?

L'ipocrisia UE sulla Russia ostacola una soluzione

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I motivi di preoccupazione per la politica di Putin sono più che giustificati ma il conflitto non è tra "buoni" e "cattivi", si deve invece decidere con chiarezza se si vuole il confronto militare o si vuole far cessare il fuoco, magari anche congelando la situazione.

Esteri 14_03_2025

L’iniziativa del presidente statunitense Donald Trump sull’Ucraina e la risposta europea hanno giustamente riacceso il dibattito sulla sicurezza in Europa e quali sono le condizioni possibili per una soluzione pacifica duratura. Alla fin fine il vero nucleo del dibattito verte sulla pericolosità della Russia di Putin, negata oppure affermata come la minaccia più grave che abbiamo di fronte. Questa seconda ipotesi è quella sposata dalla leadership dell’Unione Europea (UE), che ha quindi promosso un piano di finanziamento delle spese militari (molto pomposamente chiamato “Rearm Europe”). E su questa linea si trova certamente Alberto Leoni, nell’articolo qui contestualmente pubblicato.

Purtroppo pare che non si riesca ad uscire da questa contrapposizione rigida, che porta a un vicolo cieco. Il discorso di Leoni, certamente ragionevole, è: Putin non vuole solo l’Ucraina e se gliela si dà vinta qui, poi aspettiamoci altre iniziative militari sui Paesi Baltici e, perché no, sulla Polonia.

Non possiamo in linea di principio escludere questa possibilità, né possiamo far finta di non vedere che dichiarazioni minacciose siano state realmente fatte e che ci sia anche una ideologia del “mondo russo” quanto meno preoccupante. A questo si aggiunga che l’Ucraina è stata realmente invasa, lasciando intendere che per Mosca esista veramente un diritto all’annessione, e tale violazione del diritto internazionale non può certo essere giustificata da qualsivoglia atto ostile o provocazione subite in precedenza.

Detto questo però ciò che risulta fuorviante è assolutizzare il “male” rappresentato da Putin facendo apparire tutti i suoi antagonisti senza macchia né peccato. Dipingere la realtà in bianco e nero, in buoni e cattivi, è certamente la chiave del successo di tanti film di Hollywood e anche della propaganda, ma è un pessimo servizio alla verità. L’Unione Europea che suona la carica in nome della democrazia contro l’autoritarismo è la stessa che proprio in queste settimane sta appoggiando il “golpe bianco” in Romania; che ha voluto il cambio di governo in Polonia, dove sostiene un regime che sta facendo strame della democrazia, e la stessa cosa vorrebbe fare in Ungheria.
E l’Unione Europea che si scandalizza per l’invasione dell’Ucraina moltiplicando le sanzioni contro la Russia, è la stessa Unione Europea che resta al fianco del Ruanda che ha invaso il Congo, UE che solo ora minaccia debolmente delle sanzioni; ancora è la stessa Unione Europea che nulla ha da dire sulle espropriazioni di case e terreni in Cisgiordania realizzate dai coloni israeliani. E soprattutto è la stessa Unione Europea che resta in silenzio, complice, davanti ai massacri che il nuovo governo siriano sta compiendo ai danni delle minoranze, cristiani compresi. Non è difficile capire che della Siria importava soltanto togliere di mezzo un presidente filo-russo, a costo di sostenere un governo jihadista: così tanto si “mostrificava” Bashar al-Assad, così oggi si giustificano i massacri di Ahmad al-Shara.

E quando si sostiene che una “pace giusta” implica il riconoscimento dei confini dell’Ucraina ante-2014, sicuramente si afferma un principio ideale, ma bisogna anche riconoscere che nella storia non è mai esistita una “pace giusta” in questo senso, dato che tutti i Paesi hanno confini disegnati dalle guerre che si sono succedute, con territori guadagnati e persi a seconda che delle guerre si sia stati vincitori o sconfitti. Basti guardare ai confini attuali dell’Italia e alle ferite ancora aperte. E molto spesso si è costretti ad accettare situazioni “ingiuste” perché l’alternativa è decisamente peggiore.

Ne abbiamo un esempio proprio entro i confini dell’Unione Europea: il caso di Cipro, invasa nel 1974 dalla Turchia e tuttora divisa da una Linea Verde – pattugliata da una forza ONU - che divide il nord guidato dai turchi dal sud greco. Soltanto la Turchia riconosce la repubblica turca del nord, eppure nessuno ha mai pensato di muovere guerra alla Turchia o di armarsi per difendersi dalla Turchia, che pure mire imperiali non ne ha mai nascoste ed oggi lo vediamo dal ruolo preminente che ha guadagnato in Medio Oriente e in Nordafrica. Non solo, la Turchia è anche membro della Nato e nessuno l’ha mai messo in discussione. In effetti da allora la situazione rimane congelata: una pace “ingiusta” e tutto sommato precaria è stata ritenuta migliore di una guerra tra Turchia e Grecia  (che inevitabilmente avrebbe coinvolto altri Paesi) con lo strascico di morti che avrebbe comportato.

Ma la vera domanda a cui bisogna rispondere con chiarezza, senza ipocrisia, è: verso quale soluzione vogliamo dirigerci? Sconfiggere militarmente Putin? Bene, allora l’unica strada è entrare apertamente in guerra contro la Russia, perché – se non accadono fatti straordinari ma al momento non prevedibili – è impensabile che l’Ucraina, pur con gli armamenti occidentali, possa rovesciare le sorti sul campo. Dopo tre anni di guerra è chiaro che armare l’Ucraina serve soltanto a logorare la Russia, ritardandone il momento della vittoria militare, sperando così di togliere la voglia a Putin di tentare altre avventure: obiettivo infatti perseguito finora, ma a costo della vita di centinaia di migliaia di ucraini, che però presto o tardi si ritroveranno a concedere alla Russia quello che un negoziato serio poteva risolvere tre anni fa senza sparare un colpo.

Se invece non si ha la volontà – e la possibilità di mezzi e uomini – per entrare in guerra contro la Russia è doveroso cercare una soluzione negoziata che faccia tacere le armi il prima possibile. Una tregua di 30 giorni, come proposta da Trump, non è la soluzione definitiva ma può essere un inizio, ammesso che dopo Zelensky anche Putin l’accetti. È ovvio che un qualsiasi accordo debba prevedere delle garanzie, per l’Ucraina e per l’Unione Europea, che peraltro sta pagando cara questa guerra a cui ha aderito con entusiasmo dietro alla regia dell’amministrazione Biden.

Questo non significa accettare il diritto all’annessione: proprio il caso di Cipro dimostra che, per quanto sia una soluzione imperfetta, è possibile avere un cessate il fuoco permanente pur non accettando e non riconoscendo diplomaticamente la situazione venutasi a creare sul campo.

Quello che c’è da decidere non è la strategia in base a quelle che sono le intenzioni che attribuiamo a Putin, ma l’obiettivo verso cui indirizzare i nostri sforzi: il confronto armato o una soluzione negoziata?