L’ipocrisia del governo che sa difendere solo certe vite
Conte ha sostenuto che «la nostra comunità deve stringersi forte, come una catena a protezione del bene più importante: la vita». Intanto alcune associazioni e Ong hanno fatto appello a lui e all’Aifa, affinché sia deospedalizzato l’aborto con la pillola RU486. Ma se fosse coerente il premier dovrebbe guardare ai dati e al volontariato che tutela la vita di tutti, anche dei bambini, e che aiuta le donne sole.
In un recente intervento il Premier Conte, con tono perentorio, che saluto con speranza non disgiunta dalla trepidazione, ha sostenuto che «mai come ora la nostra comunità deve stringersi forte, come una catena a protezione del bene più importante: la vita. Se dovesse cedere anche solo un anello, questa barriera di protezione verrebbe meno, esponendoci a pericoli più grandi, per tutti».
La speranza nasce dal clima di emergenza in atto, sociale oltreché sanitaria, normalmente propenso a originare un senso di solidarietà reale. Il che dovrebbe significare, nel caso di specie, verso OGNI vita umana, in qualsivoglia stadio si trovi. La trepidazione scaturisce dal connotato ideologico che non di rado ha accompagnato le affermazioni e i provvedimenti governativi, sovente sordi alle proposte provenienti da Gruppi parlamentari e dalla società civile, tese a promuovere i valori antropologici, nella concretezza del sostegno alla vita umana, alla famiglia, alla libertà di educazione. E si acuisce pensando ad una sorprendente contraddizione, quella di certa cultura dominante così pronta a proclamare diritti fondamentali e ad affermare l’umana dignità, salvo poi sottoscrivere appelli per la soppressione della vita più fragile.
Mi riferisco al recente appello lanciato da alcune Associazioni e ONG - sostenuto vieppiù da personaggi politici e non - al Presidente del Consiglio, al Ministro della Salute e all’Agenzia Italiana per il Farmaco (AIFA), affinché sia deospedalizzato l’aborto, quello praticato con la pillola RU486, per limitare gli accessi ospedalieri, e siano allungati i tempi sino a nove settimane (oggi sono sette) per l’assunzione di quel farmaco! Di fronte a ciò la citata affermazione del Presidente del Consiglio acquista un rilievo particolare, carico di responsabilità di fronte al popolo italiano, non solo per la fonte da cui proviene, ma pure per il contenuto che esprime e la pregnanza che riveste.
Posso capire la possibile solitudine, finanche la disperazione di tante madri in gravidanza, ancor più in angoscia a causa dell’attuale pandemia. Ma si pensa davvero di liberarle dall’angoscia e dalla disperazione facilitando il percorso abortivo? Alla luce di tanti anni di volontariato, nutro profonde perplessità e invito i protagonisti di siffatto appello ad un ripensamento. Perché?
I dati ufficiali parlano chiaro e offrono un’alternativa ricca di speranza e di futuro: 236 mila bimbi aiutati a nascere negli ultimi 45 anni in Italia dai Centri di Aiuto alla Vita (CAV) - 7271 nel 2018 - e 770 mila donne assistite. Nessuna si è mai dichiarata pentita, mentre ho visto donne accusare chi le aveva sospinte alla decisione abortiva oppure vivere la relativa sindrome, che si affaccia non di rado, con conseguente notevole disagio e una sofferenza destinata a protrarsi nel tempo (conosciuta come sindrome da post aborto).
Perché relegare quelle mamme in totale solitudine, con tutto quello che ciò porta con sé, quando vi sono servizi a disposizione (CAV, SOS Vita, Case d’Accoglienza) con soluzioni più umane per tutti attraverso l’ascolto e la condivisione in un clima di totale riservatezza? Perché esporle al rischio di possibili complicanze anche fisiche, anch’esse non infrequenti nell’aborto farmacologico?
Anche in piena emergenza Covid 19, pur non potendo garantire una prossimità fisica, restano attive le linee telefoniche e le chat di quei servizi, per accogliere e sostenere anche psicologicamente chi ne avesse bisogno. Anzi, stanno aumentando le chiamate al numero verde di SOS Vita (800813000), aperto 24 h su 24.
A tutt’oggi i citati servizi, in varie parti d’Italia, non fanno mancare neppure i generi alimentari a chi ne ha bisogno, o direttamente o a domicilio. E pure nell’attuale delicato periodo si sono registrate nascite grazie ai CAV: dentro uno sguardo che condivide ansie e speranze nasce la gioia e la fiducia nell’avvenire.
Presidente Conte, il contenuto delle sue parole non può forse inverarsi e trovare finalmente compimento nell’esperienza del volontariato per la vita cui ho fatto cenno? Cosa vuol dire, altrimenti, che «non deve cedere nessun anello» della «catena a protezione del bene più importante, quello della vita»? Pena il «venir meno di questa barriera di protezione, esponendoci a pericoli più gravi, per tutti»? Sottoscrivo queste Sue parole, ma esse si rivelerebbero contraddittorie se non fossero seguite da fatti!
La pregnanza dell’affermazione governativa origina poi una pressante domanda: se un volontariato, con pochi mezzi, è riuscito nella non facile opera di dare volti e sguardi ai dati riportati, quanto più alti essi sarebbero, per giunta ricchi di significato umano e culturale, se pure le Istituzioni facessero la loro parte! Del resto, che sia loro dovere difendere la vita umana, ce lo ricorda perfino la Costituzione (art. 2), oltreché la legge ordinaria (art. 1 legge 194/78). E pure altro. Un dovere terribilmente attuale e carico di responsabilità per tutti - a partire da chi ci governa – tanto più nell’inverno demografico in atto.
Perché non cogliere la centralità anche politica della vita e della dignità dell’uomo, che riguarda il compimento stesso della democrazia, se essa non è soltanto regola formale ma pure contributo sostanziale e cioè espressione di un sistema di valori che pone alla sua base la dignità di ogni essere umano? Sul diritto alla vita “si fonda l’umana convivenza e la stessa comunità politica”, annotò S. Giovanni Paolo II (E.V.n.2), e quindi la sua protezione riguarda anche l’ambito più propriamente politico e statale. Perché non unire le forze politiche, al di là di contrapposizioni ideologiche sterili, nel nome di qualcosa di concreto e di alto qual è la vita umana più fragile, che è poi la condizione per dare concretezza al principio d’eguaglianza e realizzare una reale giustizia? Certo con la necessaria gradualità, ma avendo ben chiaro il fine del non oblio dei figli non ancora nati e delle loro madri.
La legge 194/78, che ha legalizzato l’aborto, non era forse nata per socializzare il dramma delle donne in gravidanza difficile intenzionate ad abortire, sia per non lasciarle sole sia perché la comunità ne fosse coinvolta? E la pratica della RU 486 non è invece destinata a relegare le gestanti e la loro angoscia in una totale solitudine, contrariamente alla ratio della legge? Perché allora il Governo non adotta misure per sostenere la maternità? La vita umana sembra essere ancora una volta relegata al ruolo di Cenerentola. Non dovrebbe invece finalmente godere di prioritaria attenzione, atteso il suo ruolo di insostituibile risorsa e quindi di speranza per il futuro della società?