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IMMIGRAZIONE

L'integrazione parte dal Comune. Il caso Svizzera

Immigrazione, meglio prendere esempio dai vicini. La piccola Svizzera ha una comunità di immigrati che è pari al 22,6% dell'intera popolazione. Ma non pone particolari problemi. Chi vuole "naturalizzarsi" lo fa attraverso il comune, la comunità più vicina a lui e ai suoi nuovi concittadini.

Politica 13_07_2017
Gli italiani sono la più grande comunità di immigrati in Svizzera

Anche al di là dello scontro politico che specificamente ne sta derivando, il pasticcio della prospettata nuova legge detta dello “ius soli” (anche se poi con lo ius soli c’entra solo fino a un certo punto) conferma ancora una volta quanto bassa continui purtroppo ad essere la qualità della produzione legislativa e della pubblica amministrazione in Italia. 

In un Paese come il nostro - che deve appunto fare i conti con una pubblica amministrazione imparagonabile con quella dei Paesi di analogo sviluppo – il confronto con buone pratiche in atto altrove dovrebbe essere la regola. Il nostro ceto politico invece non ci pensa nemmeno: qualsiasi novità, qualsiasi riforma vengono progettate, con inevitabili pessimi risultati, ripescando nel medesimo pentolone pieno di tutto ciò che ci ha portato nell’angolo dove siamo ora.

Nel caso delle politiche dell’immigrazione, come in tanti altri, non c’è nemmeno bisogno di andare lontano. Basta guardare ad esempio alla Svizzera con cui confiniamo, e dove per di più l’italiano è una delle lingue nazionali; quindi leggi, regolamenti, circolari e ogni altro atto ufficiale sono accessibili anche in italiano. Con una popolazione straniera pari al 22,6 per cento dei residenti, salvo il piccolo Lussemburgo la Svizzera è il Paese europeo con il maggior numero di abitanti stranieri. Si aggiunga che ci sono Cantoni dove gli stranieri residenti superano la media complessiva: a Ginevra sono il 36,2 per cento, a Basilea Città il 33,4, nel Vaud (Losanna) sono il 31,4.  Anche nel Ticino stanno sopra la media essendo il 26,6 per cento. Tutto ciò significa che sui poco più di 8 milioni di abitanti della Svizzera, oltre un milione e 800 mila sono stranieri. Il gruppo più numeroso è costituito dagli italiani, 288 mila, seguiti dai tedeschi, 275.300, e dal portoghesi, 223.700.

Quando si mette mano sul problema dell’immigrazione, la Svizzera, con i suoi stranieri notoriamente molto bene integrati, è perciò il primo esempio cui si dovrebbe guardare. Il caso svizzero dimostra tra l’altro che il loro numero è solo un aspetto della questione.  Tanto per fare un confronto, il Belgio, con tutti i suoi problemi in materia, ne ha solo l’8,4 per cento.

E’ innanzitutto significativo che la  maggior parte degli stranieri residenti in Svizzera resti tale. Non c’è affatto una corsa alla naturalizzazione. Questo è il primo insegnamento che dovremmo trarre dall’esperienza elvetica con riguardo al nostro caso italiano. Se infatti, come accade in Svizzera, lo straniero residente è realmente equiparato al cittadino per quanto concerne lavoro, previdenza e assistenza, spesso preferisce conservare la propria cittadinanza originaria. 

In quanto alla concessione della cittadinanza a stranieri, la cosiddetta “naturalizzazione”, in Svizzera essa viene conferita non dalla Confederazione (noi diremmo dallo Stato) bensì dal comune ove lo straniero risiede. La cittadinanza cantonale e quella federale sono infatti soltanto una conseguenza della cittadinanza comunale. Questa può venire richiesta da chi abbia vissuto in Svizzera con “permesso permanente” per almeno 12 anni (gli anni trascorsi in Svizzera tra il 10º ed il 20º anno d'età sono contati doppiamente), e negli ultimi 3 o 5 anni prima della richiesta della cittadinanza. In alcuni Cantoni si richiede pure che nell’ultimo periodo il candidato abbia vissuto nel medesimo comune.

Per ottenere la cittadinanza  lo straniero deve avere un’ottima conoscenza della lingua del luogo, e deve  “essere integrato con la vita in Svizzera; rispettare le leggi della Svizzera; non costituire un pericolo per la sicurezza interna od esterna della Svizzera”.  Non bastano insomma semplici requisiti formali, come la frequenza di un certo numero di anni di scuola o simili. Conta la sostanza, e la decisione viene presa a maggioranza, secondo i vari statuti o costituzioni comunali, dal municipio (la nostra giunta) o dal consiglio comunale; oppure, in quei piccoli comuni dove vige la democrazia diretta, dall’assemblea comunale di tutti i cittadini.  Contro la mancata concessione l’interessato ha diritto di fare ricorso. Con questo sistema, in tutti gli anni che trascorrono prima che chiedere la cittadinanza sia loro possibile, i singoli stranieri residenti o le famiglie di stranieri residenti che la desiderano devono ovviamente dimostrare con i fatti -  là dove vivono - di essersi integrati e di non costituire un “pericolo per la sicurezza interna o esterna”. Altrimenti il comune respingerà la loro domanda di cittadinanza. Il meccanismo è insomma molto democratico, ma anche molto efficace. Non si potrebbe pensare a qualcosa di simile pure da noi?