L'influenza della Turchia in Africa almeno previene una nuova guerra
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Fra Etiopia e Somalia non è scoppiata la guerra, nonostante le premesse ci fossero tutte. A evitare il conflitto è stato Erdogan. Perché la Turchia è una potenza sempre più influente nel continente africano, assieme a Cina e Russia.
L’anno sta per finire e ancora una volta in Africa si chiude con un bilancio complessivo sostanzialmente negativo. Continua in molti dei sui 54 stati il deterioramento delle istituzioni democratiche e delle condizioni di sicurezza che preclude la possibilità di consolidati progressi sociali ed economici. Il Sahel è diventato l’epicentro del terrorismo islamico e la minaccia jihadista ormai costituisce un problema in almeno 23 paesi. Inoltre nel 2024 nessuna delle guerre africane ha trovato una soluzione: dalla più lunga, quella dichiarata nel 1987 in Somalia contro Siad Barre e proseguita, a partire dal 1991 dopo la sconfitta del dittatore, tra i clan in cui la popolazione somala è divisa, a quella più recente, iniziata in Sudan nell’aprile del 2023, responsabile attualmente della peggiore crisi umanitaria del pianeta.
Se non altro sembra che almeno sia scongiurato l’insorgere di un nuovo conflitto armato, quello tra Etiopia e Somalia, che per tutto il 2024 si è temuto potesse scoppiare con conseguenze destabilizzanti per tutto il Corno d’Africa, una regione strategicamente rilevante e già gravata da tensioni. A sorpresa, ma non per chi segue con regolarità le vicende africane, a risolvere la situazione è stato l’intervento del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Lo scontro tra i due paesi ha avuto origine dalla decisione del primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali di assicurarsi un accesso al mare che al suo paese manca. Lo ha fatto stipulando con Musa Bihi Abdi, il presidente del vicino Somaliland, un contratto di affitto che gli dà diritto per 50 anni a una porzione di costa sul Mar Rosso. Solo che il Somaliland è un territorio somalo che si è autoproclamato indipendente nel 1991, ma non ha mai ottenuto il riconoscimento né dell’Unione Africana né delle Nazioni Unite. Quindi Abiy ha trattato l’occupazione di un’area costiera che tuttora ufficialmente appartiene alla Somalia. Per questo il governo somalo ha subito reagito dichiarando che non avrebbe per nessun motivo accettato quella che considera una violazione della “sacrosanta integrità territoriale” del paese. «Otterremo un porto sul mar Rosso – replica Abiy – lo vogliamo fare con mezzi pacifici, ma se non sarà possibile useremo la forza».
Diversi tentativi di mediazione finora erano falliti. Invece Erdogan, a seguito di una serie di colloqui intrattenuti separatamente con i leader dei due paesi, li ha convinti a incontrarsi per trovare un accordo che consenta all’Etiopia di avere – così si è espresso il presidente turco – «un accesso affidabile, sicuro e sostenibile da e verso il mare». Con un comunicato congiunto diffuso nella sera dell’11 dicembre Somalia ed Etiopia hanno annunciato di aver concordato l’avvio di negoziati tecnici che porteranno a una conclusione entro quattro mesi.
Il successo di Erdogan è il frutto dei suoi stretti rapporti con entrambi i governi ai quali da tempo fornisce cooperazione militare e assistenza allo sviluppo nell’ambito di un più ampio piano di penetrazione nel continente africano. In passato circoscritta al nord Africa, ormai l’influenza della Turchia si estende a diversi stati del Sahel e dell’Africa sub-sahariana tra cui la Nigeria, il Senegal, il Kenya, il Ghana, il Rwanda.
Negli ultimi 20 anni gli scambi commerciali tra la Turchia e l’Africa sono passati da 5,4 miliardi di dollari a oltre 40 miliardi. I prodotti e i servizi turchi sono comparsi sempre più numerosi sui mercati africani, competitivi per costo e per qualità. Oltre alla Somalia e all’Etiopia, inoltre, diversi altri paesi hanno stipulato con la Turchia accordi di assistenza militare che vanno dall’addestramento militare alla vendita di armi. La vendita in Africa di armi prodotte dalla Turchia aumenta in maniera esponenziale. Nel 2021 ha raggiunto i 460 milioni di dollari, cinque volte più che nel 2020.
Sul piano diplomatico, negli ultimi 20 anni la Turchia ha moltiplicato il numero delle ambasciate. Ne aveva 12 nel 2002. Nel 2022 il numero era salito a 44. A loro volta i paesi africani hanno risposto istituendo delle ambasciate ad Ankara. All’inizio del 2008 erano otto. Nel 2022 erano diventate 38. A incrementare le attività e le iniziative nel continente ha inoltre contribuito l’apertura di numerose sedi delle principali agenzie di cooperazione turche. Oltre a moltiplicare e intensificare le relazioni bilaterali con i paesi africani, la Turchia si è impegnata a consolidare i rapporti con l’Unione Africa. Ne è diventato membro osservatore nel 2005 e nel 2008 è stata dichiarata partner strategico del continente in occasione del primo Vertice di partenariato Turchia-Africa svoltosi a Istanbul.
A facilitare i rapporti con i governi africani concorre il fatto che la Turchia, come la Cina e la Russia e a differenza dei paesi occidentali, non pone condizioni per fornire assistenza e aiuti, non fa questioni di governance e rispetto dei diritti umani.
Forte della sua crescente influenza, Erdogan adesso ha deciso di intervenire anche sul fronte della guerra che devasta il Sudan dove due generali, il presidente Abdel Fattah al-Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo che era suo vice fino all’aprile del 2023, si contendono il controllo del paese: il primo con il sostegno di Egitto e Iran, il secondo con quello di Russia ed Emirati Arabi Uniti. Il primo passo tentato da Erdogan è dirimere la questione degli aiuti militari che gli Emirati forniscono al generale Dagalo. Più in generale ha detto ad al-Burhan di ritenere prioritario che la sovranità del Sudan sia tutelata e che si impedisca che il paese diventi l’arena in cui si scontrano potenze straniere. Al-Burhan ha risposto dichiarando di accogliere con favore qualsiasi ruolo la Turchia sia disposta a svolgere per porre fine alla guerra e ha sollecitato maggiori investimenti turchi.