L'India vuole "purificarsi" dal cristianesimo
Aumentano gli attacchi contro i cristiani in India, ancora più esposti al pericolo di pogrom, come quello (impunito) dell'Orissa, nel 2008. Leader nazionalisti, come Rajeshwaar Singh parlano chiaramente in termini genocidi, lanciando proclami sulla "purificazione" dell'India. La testimonianza in esclusiva di John Dayal.
«Entro il 2021 l’India sarà purificata da religioni estranee quali il cristianesimo e l’islam». Rajeshwaar Singh, leader del gruppo nazionalista Dharm Jagran Manch [Forum del Risveglio della Fede] ha scelto proprio la Giornata nazionale delle minoranze - il 18 dicembre – per annunciare il suo proposito ai microfoni di una televisione nazionale indiana. Prima di lui, esponenti di un'altra fazione induista avevano proposto di impedire ai cristiani l’accesso alle regioni himalayane, considerate sacre dai fedeli indù.
Non è difficile immaginare con quale spirito i cristiani dell’India abbiano festeggiato il Natale, dopo mesi in cui simili affermazioni hanno trovato ampio spazio sui principali media della federazione e in cui le violenze ai danni delle minoranze sono nettamente aumentate. E se ciò non bastasse, ad inizio dicembre alcuni rappresentanti del governo hanno proposto di indire, proprio il 25 dicembre, la Giornata del Buon Governo: un’occasione per riflettere sui valori di una giusta governance, nell’ambito di incontri organizzati in scuole e università, che resterebbero così aperte nonostante la festività cristiana sia osservata in tutti gli stati. La scelta di tale data non ha ovviamente nulla a che vedere con la nascita di Gesù, bensì con quella di Atal Behari Vajpayee, il primo premier indiano appartenente al Partito Popolare (Bharatiya Janata Party, BJP), lo stesso dell’attuale primo ministro Narendra Modi.
La scorsa primavera, alla vigilia delle elezioni generali, i cristiani temevano una vittoria del BJP, il partito conservatore che fa della difesa della nazionalità indù la propria bandiera. Paure più che giustificate, visto che, in seguito all’avvento di Modi, negli ultimi mesi migliaia di cristiani sono rimaste vittima della violenza dei gruppi ultranazionalisti. Lo racconta a La Nuova Bussola Quotidiana John Dayal, tra i più noti attivisti cristiani dell’India, membro del National Integration Council e già presidente dell’All India Catholic Union.
«Le autorità hanno favorito l’aumento di attacchi da parte dei fondamentalisti indù, che hanno potuto godere della complicità delle forze di polizia e della benevolenza del sistema giudiziario». Modesta minoranza – appena il 2,3% a fronte dell’80% di induisti – i cristiani indiani si sentono sempre più vulnerabili. E alla frustrazione per i molti colpevoli dei pogrom del 2008 in Orissa rimasti impuniti – con un bilancio di oltre 120 morti sono state emesse appena due condanne per omicidio – si unisce la paura di nuovi attacchi.
«La minaccia è reale – afferma Dayal - La loro fede, libertà e vita sono a rischio, mentre la polizia sostiene le ondate di violenze, i magistrati non assicurano giustizia e il governo non ascolta il grido delle vittime». Gli attacchi anticristiani comprendono la profanazione delle chiese, violenze ai danni di pastori e sacerdoti, esclusione sociale ed una pratica chiamata ghar wapsi [ritorno a casa] che consiste nel “riportare” alla fede indù i cristiani e i musulmani. Molti gruppi ultranazionalisti hanno esortato i propri membri al ghar wapsi lanciando perfino delle campagne di raccolta fondi finalizzate a stipendiare i “lavoratori” impegnati in questa particolare missione. Riconvertire un cristiano costa circa 200mila rupie, mentre “riportare sulla retta via” un musulmano – compito ritenuto più arduo – richiede 500mila rupie.
Secondo Dayal, la vittoria di Modi è direttamente connessa alla radicalizzazione dei fondamentalisti indù. Narendra Modi è da sempre un membro del Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS) [Organizzazione Patriottica Nazionale], un’organizzazione ultranazionalista indù che mira a rendere l’India uno stato monoconfessionale. I membri e l’ideologia dell’RSS sono all’origine di dozzine di gruppi che formano la Sangh Parivar [famiglia delle comunità], il movimento nazionalista indù. «RSS e BJP sono di fatto indistinguibili - aggiunge Dayal – Ecco perché la vittoria di Modi ha rappresentato un trionfo per i membri dell’organizzazione. Il BJP governa lo stato, ma la RSS gode di un considerevole potere. Un potere che utilizza per terrorizzare le minoranze religiose e chiunque interferisca nella trasformazione dell’India in una nazione esclusivamente indù».
Tra i principali pericoli vi è la possibile approvazione a livello nazionale di una legge anti-conversione. Nate per prevenire le conversioni forzate - ma di fatto all’origine di dure discriminazioni, violenze e violazioni dei diritti delle minoranze religiose - le leggi anti-conversione sono in vigore in sei stati della federazione e sono state approvate in altri due. Il ministro per lo sviluppo rurale Venkiah Naidu, già presidente del BJP, ha recentemente dichiarato in Parlamento che l’attuale governo è favorevole all’adozione di una norma nazionale che vieti le conversioni. Un provvedimento che richiederebbe un emendamento costituzionale. «L’unico impedimento – spiega Dayal - è che Modi non può contare sulla maggioranza in entrambe le camere, necessaria per modificare la Costituzione. Ma è soltanto questione di tempo. Se continueranno ad aumentare i sostenitori dei partiti nazionalisti indù, questa legge potrebbe presto divenire realtà».