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LA BATTAGLIA DI TRIPOLI

Libia, una «vittoria catastrofica»

Dieci anni dopo l'Undici Settembre l'Occidente porta la shari'a a Tripoli.
- In Libia non ha vinto nessuno
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di Massimo Introvigne

Attualità 23_08_2011
Libia

 

Dopo aver combattuto per sei mesi contro il regime di Muhammar Gheddafi (20mila raid aerei effettuati e migliaia di bombe e missili lanciati) l'Occidente comincia ad avere qualche dubbio sulle capacità e soprattutto sull'affidabilità degli insorti libici. Quelli di Bengasi come  quelli della Tripolitania che pure hanno ricevuto tonnellate di armi e munizioni non solo da alcuni Paesi arabi ma soprattutto da Francia e Italia e il supporto insostituibile di mercenari e forze speciali britannici, francesi, statunitensi e italiani.

Dopo l'assassinio del generale Mohammed Fattah Younes, l'ex ministro di Gheddafi divenuto capo militare degli insorti ucciso ail 28 luglio a quanto sembra dai miliziani islamisti, tutte le perplessità circa i "nostri  alleati" libici sono venute a galla.

Il 17 agosto il Times ha definito l'ormai imminente caduta di Tripoli nelle mani dei ribelli «un successo catastrofico», citando le ammissioni di un diplomatico occidentale a Bengasi secondo il quale l'opposizione al governo di Gheddafi è dilaniata da faide tribali e non è pronta a governare. «Una frase ampiamente usata alla Nato è che ci aspetta una vittoria catastrofica in Libia» ha affermato il diplomatico. «Non c'è nessuna struttura all'interno del Consiglio Nazionale Transitorio, il comitato esecutivo si è sciolto e nulla ha preso il suo posto. Credo che sarebbe il peggiore scenario possibile se Tripoli cadesse adesso e non ci fosse nessuno a prendere il potere».

A spaventare è il rischio che la Libia sprofondi nell'anarchia soprattutto dopo che lo allo scioglimento dello pseudo-governo istituito dal Cnt non ha fatto seguito la costituzione di nessun organismo amministrativo. Le anime della rivolta sono almeno una quarantina, tante quante le formazioni paramilitari di combattenti, e tutte rispondono in modo autonomo a interessi tribali e gruppi politici.

La sintesi delle perplessità occidentali è simboleggiata dal discorso del presidente americano Barak Obama che lunedì ha dichiarato che «il regime di Gheddafi ha raggiunto il punto di non ritorno. Restano incognite ma il futuro della Libia appartiene al popolo libico».

Il basso profilo della Casa Bianca sembra quasi voler prendere le distanze da quella "vittoria catastrofica" che gli Stati Uniti (con Francia e Gran Bretagna) hanno contribuito in modo rilevante a determinare prima lanciando centinaia di missili da crociera da navi e sottomarini nella fase iniziale delle operazioni belliche e poi con il rafforzamento del dispositivo aereo che nei giorni scorsi ha appoggiato l'avanzata delle formazioni dei ribelli su Tripoli.

Incluse quelle degli estremisti islamici che dopo le scarse prestazioni belliche offerte dai miliziani di Bengasi si sono rivelati i combattenti migliori tra le fila degli insorti, anche grazie alla loro indiscussa esperienza.

Queste milizie sono infatti composte e addestrate da veterani del Gruppo combattente islamico libico, movimento già legato ad al-Qae'da che alla fine degli anni '90 venne sbaragliato dalle truppe di Gheddafi (e dai mercenari serbi) e che inviò centinaia di uomini in Iraq a combattere nelle milizie di "al-Qae'da in Mesopotamia".

Jihadisti esperti che rappresentarono una delle più consistenti componenti delle formazioni di guerriglieri e terroristi responsabili della morte di migliaia di iracheni e statunitensi nel cosiddetto "triangolo sunnita" del centro nord Iraq. Combattenti rientrati in Libia dopo l'inizio della rivolta concentratisii soprattutto a Derna, Zawya e in altre località e che hanno avuto un ruolo di rilievo nelle battaglie decisive dei giorni scorsi. A Zawya le forze lealiste sono state cacciate al grido di "Allah Akbar".

Comprensibile l'imbarazzo di Washington che appoggia con le armi anche miliziani jihadisti che in Iraq hanno ucciso soldati statunitensi ma è impossibile non chiedersi quali strategie (ammesso che ne abbiano) animino le decisioni di una leadership occidentale che appare sempre più incapace e inadeguata per le sfide, non solo militari, dei nostri giorni.

Quanto al peso degli estremisti islamici in Libia per faresi un'idea del futuro che attende il Paese africano è sufficiente leggere la Dichiarazione Costituzionale resa nota giovedì scorso dal Consiglio Nazionale di Transizione che sancisce per la Libia un futuro di «Stato democratico e indipendente», nel quale «la shari'a è la principale sorgente legislativa».

Un interessante esperimento politico istituzionale dal momento che non esiste al mondo un solo Paese democratico né uno Stato di diritto retto sui principi della legge Coranica. Per ora si tratta solo di una road map, ma è paradossale che, dieci anni dopo l'11 settembre, l'Occidente che aveva cacciato il regime islamico talebano a Kabul porti con le armi la shari'a a Tripoli.

- In Libia non ha vinto nessuno, di Massimo Introvigne